Precompilata e oneri detraibili: se si paga con la carta di credito serve l’estratto conto

La presentazione diretta del 730 precompilato

Il 730/2021 precompilato può essere inviato direttamente dal contribuente oppure tramite il proprio sostituto d’imposta, il CAF o intermediario di fiducia. Quale può essere il commercialista. La dichiarazione sarà disponibile sul portale dell’Agenzia delle entrate a partire dal 30 aprile 2021. Se decidiamo di provvedere direttamente all’invio, è necessario essere in possesso delle seguenti credenziali:

 – Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid),

 – Carta d’identità elettronica (CIE),

 – Carta nazionale dei servizi (CNS),

 – Credenziali dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate ossia Entratel.

Se il contribuente decide di inviare direttamente la dichiarazione o tramite il proprio sostituto d’imposta, senza apportare alcuna modifica: non saranno controllati i documenti che attestano le spese detraibili/deducibili indicate nella dichiarazione, cui dati sono stati forniti all’Agenzia delle entrate da soggetti terzi quali operatori sanitari, università, banche, assicurazioni, enti previdenziali, imprese di pompe funebri, ecc.
Se, invece, il contribuente modifica la precompilata (direttamente o tramite il sostituto d’imposta): l’Agenzia potrà eseguire il controllo formale, ex art.36-ter del DPR 600/73, su tutti gli oneri indicati, compresi quelli trasmessi dagli enti esterni sopra citati.

Anche l’inserimento degli oneri riportati solo nel foglio riepilogativo allegato alla precompilata, comporta che la dichiarazione sia considerata modificata.

La tracciabilità per il pagamento degli oneri nel 730

La Legge di bilancio 2020 ha disposto l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti degli oneri detraibili in dichiarazione dei redditi, 730 e modello Redditi. In particolare, il comma 679, della legge n. 160/2019, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2020  “Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, la detrazione dall’imposta lorda nella misura del 19 per cento degli oneri indicati nell’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e in altre disposizioni normative spetta a condizione che l’onere sia sostenuto con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

Sono esclusi dall’obbligo di tracciabilità gli acquisti di:

  • di medicinali e dispositivi medici
  • le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o private accreditate al Servizio sanitario nazionale.

Attenzione per le spese che possono essere pagate cash, c’è da rispettare comunque il limite

di utilizzo di contanti fino all’importo di 2.000 euro. Per singola spesa.

Ad ogni modo, salvo le eccezioni citate, la detraibilità degli oneri di cui all’art.15 del TUIR (spese funebri, universitarie, ecc) e in altre disposizioni normative è subordinata all’effettuazione del pagamento mediante «versamento bancario o postale» ovvero mediante i sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del d.lgs. n. 241 del 1997. Tale articolo fa riferimento a: carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari ovvero «altri sistemi di pagamento. Sono ammessi anche pagamenti con app e altri sistemi: paypal, amazon pay, google pay ecc.

Infatti, l’indicazione contenuta nella norma circa gli altri mezzi di pagamento tracciabili ammessi per aver diritto alla detrazione deve essere intesa come esplicativa e non esaustiva.

Le spese pagate con carta di credito nel 730.

In merito alla dimostrazione dell’effettivo sostenimento della spesa , l’Agenzia delle entrate, ha messo in evidenza che: l’onere possa considerarsi sostenuto dal contribuente al quale è intestato il documento di spesa, non rilevando a tal fine l’esecutore materiale del pagamento, aspetto quest’ultimo che attiene ai rapporti interni fra le parti. Tuttavia, occorre assicurare la corrispondenza tra la spesa detraibile per il contribuente ed il pagamento effettuato da un altro soggetto.

Ad ogni modo vale sempre la regola secondo la quale, la spesa la detrae chi effettivamente sostiene l’esborso.

Luogo di svolgimento dell’assemblea di condominio

La riunione di condominio deve tenersi nello stesso Comune ove si trova il palazzo e comunque in un luogo che non pregiudichi la presenza dei condomini. L’amministratore deve adattarsi alle richieste dei condomini.

In quale luogo deve riunirsi l’assemblea di condominio e chi lo decide? Cosa succede se alcuni condomini hanno difficoltà a raggiungere i locali indicati nell’avviso di convocazione perché ritenuti troppo distanti? Chi vede nell’amministratore di condominio un rivale può esigere che, al posto dello studio di quest’ultimo, l’assemblea si tenga in un posto neutrale? A queste domande ha offerto più volte risposta la giurisprudenza. Il principio sposato dai giudici è il seguente: la scelta del luogo ove deve tenersi l’assemblea di condominio deve garantire la presenza di tutti i condomini, ragion per cui non può essere troppo lontano dall’edificio, ritenuto come centro di riferimento degli interessi di tutti.

Chi sceglie il luogo dell’assemblea di condominio?

Se il regolamento di condominio non stabilisce nulla a riguardo, il luogo in cui l’assemblea deve riunirsi viene stabilito, di volta in volta, dall’amministratore. È lui infatti che compila e spedisce gli avvisi di convocazione, definendo giorno, ora e locali della riunione.

Laddove l’amministratore venga sollecitato da alcuni condomini a spostare il luogo della riunione dell’assemblea non potrebbe arroccarsi su scelte personali. Egli resta infatti pur sempre un mandatario del condominio. Sicché, non potrebbe imporre un posto a lui più congeniale ma scomodo per il resto della compagine.

La recente riforma ha stabilito poi che, se a chiederlo è la maggioranza dei condomini, l’amministratore è tenuto a disporre l’assemblea con modalità telematiche ossia a distanza (la cosiddetta teleassemblea) in modo totale o parziale (ossia consentendo, a chi lo vuole, di partecipare fisicamente).

Assemblea di condominio: in quale luogo?

Nell’individuare i locali ove l’assemblea di condominio debba tenersi l’amministratore deve scegliere un luogo appropriato, formula quest’ultima elaborata dalla giurisprudenza ma che non trova alcun riferimento né all’interno del Codice civile né delle disposizioni di attuazione. Queste ultime, all’articolo 66, stabiliscono solo che l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa.

Dunque, in assenza di previsioni della legge e di specifiche disposizioni del regolamento, la determinazione del luogo dell’assemblea viene rimessa alla discrezionalità dell’amministratore. Si può tuttavia far riferimento – come già avvenuto in passato – alle norme relative alla convocazione e allo svolgimento delle assemblee delle società di capitali (le Srl ad esempio). In particolare, l’articolo 2363 del Codice civile stabilisce che l’assemblea di una società debba essere convocata nel Comune ove ha sede la società stessa, salvo che lo statuto non preveda diversamente. Dunque, per analogia, potrebbe ritenersi che l’assemblea di condominio debba svolgersi nello stesso Comune ove si trova l’immobile (o in quello strettamente limitrofo se contiguo, come succede spesso in numerosi Comuni italiani tra loro attaccati) [1].

Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite [2], l’amministratore, a cui spetta la scelta del luogo ove debba tenersi l’assemblea, è tenuto a rispettare due limiti:

1) anzitutto quello territoriale, con la necessità di scegliere una sede entro i confini della città in cui sorge l’edificio in condominio;

2) quello della idoneità di tale luogo di riunione: idoneità per ragioni fisiche e morali, in modo tale da consentire la presenza di tutti i condomini.

Assemblea di condominio in un luogo troppo lontano 

Una distanza eccessivamente distante tra il luogo di svolgimento dell’assemblea e la collocazione dell’edificio condominiale renderebbe la delibera annullabile entro 30 giorni dalla data in cui si è tenuta o, per gli assenti, da quando è stato comunicato il relativo verbale.

Se il regolamento di condominio non stabilisce la sede in cui debbano essere tenute le riunioni assembleari, l’amministratore ha il potere di sceglierla. La Corte d’Appello di Milano [1] ha annullato una delibera emessa dall’assemblea a circa 40 chilometri dall’edificio condominiale, in quanto ritenuta pregiudizievole alle esigenze del condomino ricorrente che aveva problemi motori.

Non è stata l’unica ragione: il luogo prescelto sarebbe stato lo studio legale di un avvocato antagonista nel passato alle posizioni sostanziali del condomino ricorrente, dunque «non era sicuramente – scrivono i giudici – un luogo neutrale».

Assemblea in un luogo diverso

Potrebbe succedere che, all’ultimo minuto e con il consenso dei presenti, l’amministratore decida di modificare il luogo di svolgimento dell’assemblea. A riguardo, secondo la Corte di Appello di Firenze [3], è annullabile la delibera assembleare se l’assemblea si sia svolta in un luogo diverso da quello indicato nell’avviso di convocazione, poiché ogni condomino deve essere edotto con un congruo anticipo del luogo preciso, del giorno e dell’ora della convocazione dell’assemblea. Il diritto all’impugnativa sussiste, poiché il pregiudizio subìto dallo stesso per la mancata partecipazione consiste nel fatto che al condomino è stato impedito di essere presente all’assemblea condominiale, di esprimere in quella sede le proprie ragioni e, quindi, concorrere con il proprio voto alla formazione della volontà assembleare.

Delibere assembleari: effetti della mediazione sulla decorrenza del termine per l’impugnazione

Le controversie in materia condominale rientrano tra quelle per le quali l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 prevede l’obbligo della mediazione preventiva, pena l’improcedibilità delle domande giudiziali. Il condomino che intende impugnare una delibera assembleare, prima di procedere giudizialmente deve rivolgersi ad un organismo autorizzato dal ministero della Giustizia depositando la domanda di mediazione. Una volta depositata la domanda il mediatore fissa il primo incontro tra le parti. La domanda e la data del primo incontro vengono comunicate all’altra parte a cura della parte istante.

Come stabilito dall’art. 1137 cod. civ., contro le delibere assunte dall’assemblea condominiale contrarie alla legge o al regolamento di condominio, l’impugnazione va proposta entro il termine perentorio di trenta giorni che decorre per i dissenzienti e gli astenuti dalla data della delibera e per gli assenti dalla data della sua comunicazione.

Per impedire la decorrenza del termine decadenziale dei trenta giorni previsto per l’impugnazione delle delibere è sufficiente che il condomino depositi la domanda di mediazione presso l’organismo di mediazione oppure è necessario che entro tale termine il condominio deve ricevere l’invito ad aderire alla procedura di mediazione?

Ad oggi sulla questione non vi è univocità di vedute. Infatti, nell’ambito della giurisprudenza si sono formati due orientanti, l’uno l’opposto dell’altro.

La problematica nasce dal disposto dall’art. 5, comma 6, del D.Lgs. 28/2010 secondo il quale “dal momento della comunicazione alle altre parti, (…) la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”.

Un primo orientamento ritiene che il termine decadenziale dei trenta giorni si considera rispettato con la ricezione da parte del condominio dell’invito ad aderire al procedimento di mediazione (Trib. Torre Annunziata 3 luglio 2019 e Trib. Milano 4 gennaio 2019, Corte di appello di Milano , 27 gennaio 2020, sentenza 253/2020, Tribunale di Roma, sent. n. 3159/2021).

Un secondo orientamento ritiene, invece, che per il rispetto del termine decadenziale dei trenta giorni è sufficiente il deposito da parte del condomino dell’istanza di mediazione presso il competente organismo, essendo irrilevante a tal fine la ricezione da parte del condominio dell’invito ad aderire al procedimento oltre il predetto termine in quanto l’interruzione di una decadenza si produce con l’attività compiuta da parte del soggetto onerato al compimento della stessa e non da parte di soggetti terzi (Tribunale di Firenze 2718/2016, Tribunale di Sondrio 25 gennaio 2019, Tribunale di Brescia, sent. n. 648/2020).

Nel solco di quest’ultimo orientamento si è inserito di recente il Tribunale di Terni con la sentenza 560/2021, pubblicata l’8 luglio 2021, che nell’ambito di un giudizio di impugnazione di una delibera condominiale ha riget_tato l’eccezione preliminare di decadenza per tardività dell’impugnazione formulata dal condominio convenuto.

Secondo il Tribunale umbro, l’art. 5, comma 6, del D.Lgs. 28/2010, va interpretato, nel senso che l’effetto interruttivo della decadenza si produce sin dal momento del deposito della domanda di mediazione presso l’organismo competente e la successiva comunicazione alle altre parti costituisce una mera condizione per il “consolidamento” di tale effetto.

Un’interpretazione della norma coerente non solo con i principi generali espressi dalla Corte di cassazione e dalla Corte co_stituzionale (si pensi al principio della “scissione” degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, espressione della regola generale secondo cui una decadenza non può determinarsi in ragione del decorso del tempo di un’attività demandata a terzi e sottratta all’ingerenza dell’interessato), ma anche con la normativa comunitaria (articolo 8 della direttiva 2008/52 CE), ha osservato il giudicante, impongono di ritenere che l’interruzione del termine decadenziale per proporre l’impugnazione della delibera si ha con il deposito della domanda di mediazione presso il competente organismo.

Con la sent. n. 2273/2019 emessa nell’ambito di un giudizio di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo (legge Pinto), la Corte di cassazione ha affermato che, sulla base del chiaro tenore letterale del sopra citato comma sesto dell’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 “solo la comunicazione della domanda di mediazione, e non anche il merito deposito della stessa, impedisce il prodursi della decadenza”