Richiesta documentazione contabile all’amministratore

Capita spesso che il condomino richieda all’amministratore di visionare ed estrarre copia dei documenti condominiali. A volte, la predetta richiesta viene giustificata dal condomino richiedente, dalla necessità di poter valutare ed esprimere, in sede di assemblea, un voto consapevole. Il caso è stato, recentemente, trattato dal Tribunale di Roma, con la sentenza 3463 depositata il 3 marzo 2022.

La vicenda

L’attrice, a sostegno delle proprie ragioni, deduceva di aver inviato richiesta via pec all’amministrazione per ottenere alcuni documenti «necessari, a suo avviso, per la partecipazione all’assemblea indetta» e per richiedere delucidazioni sulla situazione contabile di alcune gestioni ma di non aver ricevuto da parte dell’amministratore i documenti giustificativi, ma «solo l’invito a consultare la documentazione presso il proprio studio». Di conseguenza, lamentava il fatto di non aver potuto «deliberare con cognizione di causa» sulle spese indicate in bilancio per mancanza della documentazione.

Il Tribunale di Roma, con un lungo excursus giurisprudenziale sul punto, ha ricordato che già nel 2003 la Cassazione (sentenza 11940/03 ) ha spiegato che il non rendere disponibile ai condòmini che lo richiedano la documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo comporta la violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di rendiconto e l’invalidità della delibera di approvazione e che, più di recente, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Napoli sentenza 8259 del 13 settembre 2017), ha sottolineato il dovere dell’amministratore di esporre e documentare la verità ed entità dei costi sostenuti e del relativo riparto.

La fonte del diritto alla visione documentale

Ha però precisato alcuni punti essenziali. L’amministratore è legato al condominio da un contratto di mandato e che, dunque, nei rapporti tra condòmini e amministratore, sono applicabili, in quanto compatibili, le norme dettate dagli articoli 1703 e seguenti Codice civile. Tra queste norme vi è anche quella, contenuta nell’articolo 1713 Codice civile relativa all’obbligo gravante sul mandatario di rendere al mandante conto del suo operato. Ed è proprio sulla base di tale previsione, che si riscontrerebbe la fonte del diritto dei condòmini a prendere visione della documentazione condominiale, esercitando così anche quel potere di controllo che è proprio del mandante.

Ovviamente, si legge in sentenza, «il potere di controllo trova il suo limite nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa», nel senso che la richiesta del condomino non può essere di ostacolo all’attività di amministrazione e non deve essere contraria ai principi di correttezza e non si deve risolvere in un onere economico per il condominio. Il condomino, quindi, ha diritto di prendere visione della documentazione gratuitamente ed estrarne copia a proprie spese. Gli unici costi da sostenere sono, però, quelli per le spese vive per le mere copie. «Non può considerarsi legittima, pertanto, l’eventuale richiesta da parte dell’amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario».

Nessun onere economico per il condominio

Anche su questo aspetto ha avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito (sentenza  4686/18 Cassazione civile, II sezione ), come l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non debba risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condòmini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale  (in tal senso, già Cassazione 15159/2001), «e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale».

Regolamento condominiale che esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese

Secondo la Corte di Cassazione – VI sez. civ. – sentenza n. 993 del 14-01-2022 è legittima la clausola del regolamento che, indipendentemente dalla titolarità o meno di una parte comune, esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese condominiali di detta parte condominiale.

La vicenda

Un condominio richiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti dei proprietari di un garage facente parte del caseggiato per spese relative alla manutenzione straordinaria di un impianto idraulico, delle scale e dell’androne dell’edificio, spese regolarmente approvate con apposita delibera. Gli opponenti sostenevano che, essendo proprietari di un garage ubicato nell’edificio condominiale, non erano tenuti a concorrere nella spesa per le scale e per l’androne, poiché il regolamento contrattuale e la conseguente Tabella II (scale ed androne) esonerava da tali esborsi i proprietari delle botteghe con accesso diretto dalla strada, ai quali dovevano equipararsi anche i titolari dei box. In ogni caso, con domanda riconvenzionale, richiedevano agli altri condomini il pagamento della quota del canone di locazione dell’alloggio adibito a portineria.  Il giudice di Pace dava torto ai titolari del garage. La Corte di Appello, invece, riteneva la predetta delibera assembleare affetta da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio nel giudizio di opposizione; di conseguenza accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. In particolare secondo i giudici di secondo grado la delibera era invalida perchè non aveva distinto le spese per l’impianto idraulico (che dovevano indistintamente gravare su tutti i condomini), da quelle per l’abbellimento di scale ed androne che – come prevedeva il regolamento e ai sensi di apposita conseguente tabella – non potevano gravare anche sui proprietari dei garage: infatti l’esonero previsto da detta tabella non si riferiva alle sole spese di pulizia e dell’energia elettrica. In ogni caso la Corte accoglieva pure la domanda riconvenzionale proposta dai titolari del box, in quanto si riconosceva la comproprietà in capo a tutti i condomini dell’alloggio portineria, quindi, il diritto comune e per quote al canone di locazione.

Il condominio ricorreva in cassazione sottolineando la natura condominiale di scale ed androne ed il conseguente obbligo di tutti i condomini (compresi quelli proprietari dei box e dei locali con accesso diretto dalla strada) a concorrere alle spese inerenti a tali beni comuni. Del resto il condominio faceva presente anche la circostanza secondo cui, anche i condomini opponenti, avevano sempre avuto accesso (proprio attraverso l’androne e le scale) ad un terrazzino ove risultavano collocate vasche per la raccolta delle acque.

La questione

È legittima la clausola del regolamento che esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese condominiali relative ad androne e scale?

La soluzione

La Cassazione ha dato ragione ai titolari di box. I giudici supremi infatti hanno ricordano come la contitolarità delle parti comuni non comporti necessariamente l’obbligo di concorrere nelle spese, essendo legittime (a date condizioni) eventuali deroghe, in favore di singoli condomini, ai criteri fissati dall’art. 1123 c.c.; in altre parole secondo la Cassazione il fatto che le scale o l’androne appartengano anche ai titolari dei garage non rende inapplicabile o illegittima la previsione del regolamento adottato all’unanimità, nel punto in cui esclude dal concorso nelle spese per l’androne e le scale i proprietari dei garage aventi un accesso autonomo.

Le riflessioni conclusive

La sentenza conferma che i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere oggetto di pattuizioni derogative posto che l’adozione di discipline convenzionali, che differenzino gli obblighi di concorrere alle spese di gestione del condominio, non è preclusa dalla natura degli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c. fino ad arrivare a prevedere, addirittura, l’esenzione totale o parziale per alcuni condomini dall’obbligo di partecipazione alle spese. Ne consegue che il riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale. Deve, pertanto, ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese di una parte o impianto comune. In quest’ultima ipotesi si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato. Secondo alcune sentenze di merito però la diversa convenzione deve essere assistita da una causa che la giustifichi (vale a dire che giustifichi il diverso criterio di ripartizione delle spese). Secondo questa tesi, infatti, la derogabilità non può sottrarsi al controllo ed al giudizio di validità propri di qualsiasi atto convenzionale (Trib. Roma 16 febbraio 2021, n. 2786).

Condominio e comunione: disciplina differente tra rispettive delibere

La Corte di Cassazione, con la sentenza 26 gennaio 2022, n. 2299 (testo in calce), ha indicato chiaramente le differenze di disciplina intercorrenti tra le delibere condominiali e quelle assunte dall’assemblea dei comunisti.

Tali differenze scaturiscono dalla diversità tra condominio e comproprietà. A titolo di esempio, nel caso del condominio di edifici, v’è la coesistenza, nel medesimo bene, di enti in signoria esclusiva (i singoli appartamenti) e di beni comuni (scale, androni et cetera; mentre, nella comunione di diritti reali su immobili, il bene è in comproprietà pro indiviso tra tutti i titolari del diritto di proprietà secondo le rispettive quote.

Nel primo caso, i beni comuni sono indivisibili (art. 1119 c.c.) mentre, nel secondo, è ammissibile la divisione del bene comune (art. 1111 c.c.).

Nel condominio, la convocazione, lo svolgimento e la deliberazione sono regolate da norme specifiche e si applica la doppia maggioranza (per teste e per millesimi); nel caso della comproprietà, le delibere sono assunte secondo la maggioranza calcolata solo in base alle quote di comproprietà (art. 1105 c.c.) e la convocazione e lo svolgimento dell’assemblea dei comunisti sono regolate dal principio della libertà di forme.

Tutto ciò premesso, l’istituto dell’eccesso di potere assembleare – previsto in ambito societario (art. 2373 c.c.) – è applicabile solo in relazione alle deliberazioni dell’assemblea del condominio, mentre non opera per le delibere assunte dai comproprietari, stante «l’ontologica diversità delle situazioni afferenti alla comunione del diritto reale di proprietà su un bene immobile ed il condominio negli edifici».

Non è necessario costituire il fondo spese se le opere (urgenti) di manutenzione straordinaria sono state interamente eseguite e l’amministratore ha già provveduto a pagare il corrispettivo dei lavori

La vicenda

La vicenda nasceva a seguito dei lavori di riparazione del lastrico solare di proprietà esclusiva, finalizzati principalmente al ripristino delle condizioni di tenuta dell’impermeabilizzazione di detta copertura. A seguito di tali lavori volti ad eliminare le infiltrazioni negli appartamenti sottostanti, l’amministratore aveva versato all’appaltatore il corrispettivo (a carico del condominio) delle opere di manutenzione straordinaria necessarie a risolvere i problemi sorti. Successivamente l’assemblea, compresa la necessità di intervenire urgentemente sulla copertura del caseggiato, approvava l’intervento di rifacimento del terrazzo, già eseguito, e la relativa spesa, ratificando, così, l’operato dell’amministratore.

Alcuni condomini, però, impugnavano tale delibera, deducendo, fra l’altro, l’illegittimità della stessa per mancanza del carattere di urgenza; in particolare, gli attori ritenevano che la spesa sostenuta fosse voluttuaria e gravosa, con la conseguenza che era obbligatoria la preventiva autorizzazione dell’assemblea e la preventiva istituzione del fondo speciale previsto dall’articolo 1135 c.c.

Il condominio convenuto, costituitosi in giudizio, contestava la fondatezza dell’impugnazione proposta e ne chiedeva il rigetto.

Inoltre, i condomini evidenziavano che l’intervento era stato approvato dall’assemblea che lo aveva qualificato come manutenzione straordinaria e non come innovazione e tale decisione non era stata assolutamente impugnata dagli attori, con conseguente effetto sanante di ogni possibile vizio.

La questione

È necessario costituire il fondo spese anche se le opere di manutenzione straordinaria sono urgenti, i lavori sono già stati saldati dall’amministratore e l’operato di quest’ultimo è stato ratificato dall’assemblea con successiva delibera?

La soluzione

Il Tribunale di Roma, sentenza del 19/6/2017 ha dato ragione al condominio.

Secondo lo stesso giudice, la costituzione del fondo speciale sarebbe stata inutile. Infatti i lavori erano stati già completamente eseguiti e ratificati dall’assemblea, la spesa era già stata sostenuta ed inserita nel consuntivo ed approvata dall’assemblea e, quindi, non sussisteva nessun rischio di una possibile esposizione debitoria del condominio verso il terzo appaltatore/creditore. Alla luce di quanto sopra il Tribunale ha escluso ogni possibile nullità della delibera per mancata costituzione del fondo speciale.

Le riflessioni conclusive

L’assemblea che delibera opere di manutenzione straordinaria e innovazioni deve costituire obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti (art. 1134, comma 1, n. 4).

L’esame della disposizione suddetta denota come la ratio della norma sia quella di circoscrivere l’esposizione dei singoli condomini verso fornitori e appaltatori del condominio in caso di delibere relative ad interventi implicanti significativi impegni economici.

Il Tribunale di Latina con sentenza n° 359 del 6 febbraio 2019 ha ritenuto che l’assemblea non possa deliberare di non costituire il fondo speciale prima della stipula del contratto d’appalto.

Più recentemente il Tribunale di Modena con sentenza n° 763 del 16 maggio 2019 ha dichiarato la nullità della delibera con la quale venivano disposti lavori straordinari senza la contestuale previsione di un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.

L’obbligatorietà del fondo speciale induce a ritenere che, senza la sua costituzione, non si possa dare il via ai lavori, anche se va tenuto conto che la norma che lo prevede non è inderogabile (né sono previste sanzioni in caso di sua violazione).

L’articolo 1135 c.c. consente ai condomini di stabilire in delibera che il contratto da stipulare con l’appaltatore dei lavori di manutenzione straordinaria o delle opere di innovazione preveda un pagamento collegato agli stati di avanzamento, nel qual caso il fondo speciale può essere costituito in relazione ai pagamenti dovuti di volta in volta.

Come sostengono alcuni autori però, il fondo graduale, venendo allestito soltanto dopo l’approvazione dei singoli stati d’avanzamento, suppone la già avvenuta esecuzione delle opere contabilizzate e, quindi, a differenza del fondo integrale, pure l’immediata esigibilità del credito dell’appaltatore per la parte di prezzo corrispondente a quello specifico stato di avanzamento.

In ogni caso tale fondo non deve essere costituito se le opere sono urgenti, i lavori sono stati già completamente eseguiti e saldati, la spesa è stata approvata dall’assemblea che ha ratificato così l’operato dell’amministratore: in tal caso si può escludere il rischio di una possibile esposizione debitoria del condominio verso il terzo appaltatore/creditore.