Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile e obbligo di verifica

L’amministratore è obbligato a sottoporre l’acqua a controlli periodici?

Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile deve essere effettuato dall’ente erogatore oppure insiste un obbligo di verifica anche in capo all’amministratore, in qualità di supervisore degli impianti condominiali? La legge al riguardo non è chiara, cerchiamo di fare il punto della situazione.

Acqua potabile: definizione normativa.
Si intende per acqua potabile quella destinata al consumo umano, quella trattata o non trattata, destinata ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dall’origine, sia essa fornita tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori (art. 1 lett. a) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Contratto di fornitura del condominio.
Il negozio di erogazione dell’acqua potabile è un contratto di somministrazione di natura privata pur avendo ad oggetto l’esercizio di un servizio pubblico (Cass. SU. 8103/2004).

Proprio in ragione della sua peculiare natura, il regolamento contrattuale ha delle particolarità, come il prezzo, definito da disposizioni regolamentari. Inoltre, l’ente erogatore deve rispettare la carta dei servizi. Il controllo circa il rispetto degli standard qualitativi dei servizi idrici è rimesso all’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico (AEEGSI)

Gli impianti condominiali.
L’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni, fa riferimento alla sicurezza e alla salubrità degli impianti. La norma risulta fortemente innovativa; infatti, in passato, si poneva rilievo unicamente alla sicurezza della struttura dell’edificio, mentre adesso assume importanza anche l’affidabilità degli impianti.

L’impianto idrico e i relativi collegamenti sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche (art. 1117 n. 3 c.c.). Il d. lgs. 31/2001 offre delle definizioni molto precise in materia di distribuzione dell’acqua.

Analizziamole e poi valutiamo il ruolo dell’amministratore.
Le condutture, i raccordi, le apparecchiature installati tra i rubinetti normalmente utilizzati per l’erogazione dell’acqua destinata al consumo umano e la rete di distribuzione esterna rappresentano l’impianto di distribuzione domestico (art. 1 lett. b) n. 1 d. lgs. 31/2001).

La delimitazione tra impianto di distribuzione domestico e rete di distribuzione esterna, denominata punto di consegna, è costituita dal contatore, salva diversa indicazione del contratto di somministrazione. L’acqua viene distribuita dal gestore del servizio idrico, ossia colui che fornisce acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili (art. 1 lett. c) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Controlli: deve farli l’ente erogatore o l’amministratore?
L’art. 5 del d. lgs. 31/2001 dispone che per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, come i condomini, il titolare ed il titolare della gestione dell’edificio o della struttura devono assicurare che i valori di parametro fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto. Il dettato normativo pare suggerire quanto segue:

  • il gestore (vale a dire chi somministra l’acqua) deve verificare la salubrità dell’acqua sino al punto di consegna (ossia il contatore);
  • l’amministratore (il titolare della gestione dell’edificio secondo la lettera della legge) deve verificare la sussistenza dei valori di legge dal punto di consegna sino al rubinetto.

Parere del Ministero della Salute: nessun obbligo per l’amministratore.
La norma così interpretata (art. 5 d. lgs. 31/2001) porrebbe un compito assai gravoso in capo all’amministratore. Sul punto è intervenuto un parere del Ministero della Salute che chiarisce la corretta interpretazione della disposizione. Il parere del 10 giugno 2004 sull’articolo 5 del d. lgs. 31/2001 statuisce che per gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, “l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dagli artt. 7 e 8 del decreto in oggetto, bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”.

In buona sostanza, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili all’impianto idrico del condominio.

Il parere del Ministero, infatti, dispone che se vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore all’utenza le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, “l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità”.

I controlli che deve fare l’amministratore di condominio.
Come si è visto, spetta all’amministratore il controllo sullo stato degli impianti, compreso quello idrico. Ad avviso di chi scrive, l’amministratore, inoltre, in base allo stato della rete idrica condominiale, dovrebbe farsi carico di un controllo sulla salubrità dell’acqua.
Infatti, certune tipologie di impianti, a causa dell’usura o per i materiali utilizzati nella realizzazione delle tubature di adduzione, potrebbero esporre i condomini a dei rischi; pertanto un controllo periodico, in quelle circostanze, sarebbe quantomeno opportuno.
L’acqua, infatti, può essere portatrice di batteri letali, si pensi alla legionella, questo impone un’attenzione ancora maggiore quando si tratta di controlli.

Sanzioni penali in caso di acqua contaminata.
L’importanza di effettuare dei controlli sulla salubrità dell’acqua emerge anche dalla circostanza che il d.lgs n.31/2001 preveda sanzioni molto elevate; in particolare dispone il pagamento della somma:

  • da euro 10.329 a euro 61.974 per chi fornisca acqua che contenga microrganismi o parassiti o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana (art. 19 comma 1);
  • da euro 5.164 a euro 30.987 quando i valori di parametri fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, non siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto (art. 19 comma 2).

Qualora l’amministratore, conoscendo il cattivo stato delle condutture ovvero la presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condomini, non abbia preso provvedimenti ed assunto le verifiche necessarie, si presentano profili di responsabilità e può essere soggetto alle sanzioni di cui sopra. Egli, infatti, in qualità di mandatario dei condomini, deve agire con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.) e compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio (art. 1130 n. 4 c.c.)

La normativa comunitaria: la direttiva acque potabili.
L’Unione Europea è sempre in prima linea nella tutela dell’ambiente. Attualmente si applica la direttiva 2015/1787/UE in materia di controlli e analisi delle acque potabili, recepita con D.M. 14 giugno 2017.

La citata direttiva ha modificato la precedente 98/83/CE del Consiglio, attuata con d. lgs. 31/2001 sopra citato come modificato dal d. lgs. 27/2002. La normativa ha lo scopo di tutelare la salute pubblica dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia; mira, inoltre a verificare che le misure previste per contenere i rischi perla salute umana, in tutta la filiera idro-potabile, siano efficaci e che le acque siano salubri e pulite nel punto in cui i valori devono essere rispettati. Si segnala che allo studio della Commissione v’è una nuova direttiva che “prevede un monitoraggio sulle microplastiche nei bacini idrici e misure per migliorare l’accesso all’acqua potabile degli europei nelle aree svantaggiate”

Conclusioni.
L’amministratore non è tenuto per legge ad effettuare controlli capillari sulla salubrità dell’acqua; tuttavia su di lui grava l’obbligo di verifica sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto. In altre parole, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale. Qualora le condizioni dell’impianto (vetustà, usura, tipologia di materiali impiegati) possano cagionare un’alterazione della qualità dell’acqua, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è obbligato ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità. In difetto, è passibile delle sanzioni previste dall’art. 19 d. lgs. 31/2001.

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Necessaria l’unanimità di tutti i condomini per la rimozione di una siepe su area condominiale

E’ nulla la delibera condominiale che approva a maggioranza la rimozione di una siepe situata in area condominiale. In tal senso ha deciso il Tribunale di Tivoli con la sentenza n. 1513 del 2 novembre 2022.

Il caso: Mevia, nel chiedere la nullità e/o annullamento di una delibera condominiale, deduceva che:

  • di essere proprietaria di una villa facente parte del condominio convenuto;
  • l’assemblea condominiale convocata in data 17.1.2019 aveva deliberato positivamente per la rimozione, per ragioni di sicurezza, di una siepe situata nella zona inferiore del condominio, di fronte ad alcune ville, tra le quali la sua;
  • di essersi già in precedenza opposta a tale ipotizzato lavoro evidenziando il grave pericolo che sarebbe derivato dalla suddetta rimozione (abbassamento livello terreno, importante fuoriuscita di acqua, difficoltà di drenaggio della stessa, cedimento terreno, ecc);
  • riguardando l’eliminazione di un bene comune, avrebbe dovuto essere assunta all’unanimità.

Si costituiva il Condominio, il quale, nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva, tra l’altro, che:

  • l’abbattimento della siepe non poteva essere considerata come innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.
  • in ogni caso, la delibera era stata adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell’art. 1136 c.c. che consente di disporre ogni innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo dei beni comuni.

Per il Tribunale la domanda deve essere accolta, sulla base della seguente motivazione:

  1. la Corte d’Appello di Roma con sentenza 478/2008,ha avuto modo di affermare che: “L’abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune, deve considerarsi un’innovazione vietata e, in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della spesa relativa all’abbattimento, possa costituire valida ratifica dell’opera fatta eseguire di propria iniziativa dall’amministratore”;
  2. va quindi preliminarmente verificato se all’abbattimento dell’albero di cui si parla nella suddetta sentenza possa essere validamente assimilato l’abbattimento della siepe, elementi, entrambi, certamente rientranti nella categoria delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c.;
  3. si ritiene che tale assimilazione sia possibile, non rinvenendosi alcun motivo di regolamentare in modo diverso il destino di beni che, sia pur nella diversità di funzioni e di incidenza rispetto alle proprietà dei singoli, debbono incontestabilmente considerarsi comuni a tutti i condomini.
I motivi di opposizione al decreto ingiuntivo su compensi dell’amministratore condominiale

Tribunale di Lecce n. 2812 pubblicata in data 11 ottobre 2022

Compensi dell’amministratore e motivi di opposizione a decreto ingiuntivo: la vicenda

L’avvocato sig, X presenta opposizione all’ingiunzione per cui ha avuto la declaratoria di condanna al pagamento compensi amministratore, asseritamente dovuti, per l’attività di amministrazione di condominio dal marzo 2009 al settembre 2018 e di quota di pochi mancati corrispettivi per consumi idrici.

L’avvocato opponente porta, alla base dell’illegittimità della pretesa creditoria azionata in sede monitoria, la propria carenza di legittimazione passiva, poiché la domanda andava rivolta al condominio mentre i dichiarati debiti dei consumi idrici dovevano essere richiesti solo dall’amministratore subentrato all’opposto; eccepisce l’intervenuta prescrizione annuale ed, in subordine quinquennale del credito, nonché la nullità della nomina del professionista, siccome sprovvista dell’indicazione del compenso, evidenziando altresì che l’opposto non avesse mai tenuto idonea contabilità e che era stato porta sottoposto all’assemblea condominiale un rendiconto; contestava l’omesso deposito nonostante la richiesta di integrazione documentale formulata dall’ufficio, di documentazione idonea a suffragare il credito vantato, in sede monitoria; si duole dell’esosità del compenso specificato come dovuto, avendo l’amministratore, in ipotesi di rinnovo della carica, prospettato un determinato compenso.

Al termine di quanto qui indicato, chiede la revoca del decreto ingiuntivo ed il rigetto della richiesta di pagamento.

L’amministratore opposto dichiara di aver sempre, in costanza dell’incarico, provveduto a convocare le assemblee, cui anche l’opponente aveva partecipato; sottolinea che l’attività svolta fosse documentata nell’istanza presenta al Tribunale, cui doveva scriversi la propria nomina su richiesta di alcuni condomini, tesa a sanare la consistente morosità maturata rispetto ai corrispettivi della fornitura idrica; deduce che il recupero delle somme in danno dell’opponente risultasse, ammissibile ex art. 1131 c.c. nei limiti della quota sul medesimo gravante, attesa l’estinzione dell’obbligazione da parte degli altri condomini; dichiara di aver sempre documentato l’entità delle somme versate alla Società idrica nel corso della propria gestione, in occasione del passaggio di consegne al nuovo amministratore; evidenzia che il decorso della prescrizione è non quinquennale bensì decennale essendo riferita ad un’ipotesi di mandato, reiteratamente interrotto con comunicazioni a mezzo pec; specifica la concludenza della documentazione contabile depositata segnalando che mai, nel corso del decennio interessato dalla propria amministrazione, l’opponente avesse contestato le modalità di espletamento dell’ufficio.

La causa viene dal Giudice portata in decisione, dopo aver emesso provvedimento di rigetto ex art. 648 c.p.c. della domanda di provvisoria esecuzione dell’ingiunzione.

I principi evidenziati dal Tribunale: la determinazione del compenso

in primis viene evidenziato puntualmente dal Giudice che “la determinazione del compenso dell’amministratore nominato dal Tribunale è regolata dall’articolo 1709 del Cc, secondo cui ove le parti non abbiano stabilito la misura, lo stesso è stabilito in base alle tariffe o agli usi o, in mancanza, dal giudice” (cfr. Cass. Civ. n. 11717/21).

Impossibile prescrizione dei crediti

Entrando quindi nel merito della vicenda, il Tribunale osserva in tema di eccezione di prescrizione, che la pretesa in contestazione sia soggetta al termine decennale, siccome inerente prestazioni ricollegabili al contratto di mandato.

Ricorda che la Suprema Corte ha puntualizzato che non sono qualificabili quali obbligazioni periodiche né il credito per somme di denaro anticipate nell’interesse del Condominio né il compenso per l’ attività di amministratore, rimarcando, in ordine a tale ultimo profilo, che la cessazione legale dell’incarico determini la necessità di corrispondere a quest’ultimo la retribuzione, cosicché il relativo obbligo deve essere adempiuto non già periodicamente, ma al compimento della prestazione posta a carico dell’amministratore, ovvero al decorso annuale dell’incarico (Cfr. Cass. Civ. sent. n. 19348/05).

A corroborare questa affermazione, specifica che la notazione e l’avvenuta iscrizione a ruolo nel procedimento monitorio nel 2019 evidenzia l’impossibilità di questa prescrizione, essendo i compensi riferibili alle attività svolte con decorrenza dall’aprile 2009. Pertanto esigibili quanto al primo anno, dall’aprile 2010 per cui la tesi regge al termine decennale della prescrizione.

Invalidità della nomina a amministratore per mancata indicazione specifica del compenso

Coglie, invece, nel segno, seppur parzialmente, la contestazione svolta dall’opponente ex art. 1129 c.c.: a seguito della riforma introdotta con la l.220/12, l’ art. 1129 comma 14, prescrive che l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, debba specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta; il profilo di invalidità scaturente dalla mancata predeterminazione del compenso, è quindi una nullità “testuale”, poiché è stabilita dalla legge (cfr. Cass. Civ. sent. n. 12927/22).

Sulla base di questo principio, la stessa richiesta di liquidazione inoltrata al Tribunale nel 2017 attesta la già provata mancanza di predeterminazione contrattuale del compenso e la conseguente nullità del rapporto di mandato, per cui le competenze maturate con riferimento agli anni ricompresi tra il 2013 – anno di entrata in vigore della riforma condominiale – ed il 2018 non risultano esigibili.

In relazione alle annualità comprese tra il 2009 ed il 2012, in assenza di convenzione tra l’amministratore ed il condominio, la consistenza delle spettanze dell’opposto dovrebbe essere determinata dall’Ufficio: osta però a questa operazione specifica, la valutazione del fatto che l’amministratore non abbia provveduto al deposito in giudizio della documentazione attestante la propria complessiva gestione, quali, a titolo esemplificativo, comunicazioni, convocazioni di assemblea, relativi verbali, rendiconti; egli, in particolare, si è limitato a depositare alcune missive, l’elenco di atti consegnato al nuovo amministratore, nonché l’elenco unilateralmente predisposto delle comunicazioni ai condomini allegato all’istanza di liquidazione inoltrata al Tribunale, evidentemente inidonei allo scopo.

La conclusione è che non può dirsi che il mandatario condominiale avesse soddisfatto l’onere probatorio inerente l’entità e concreta natura dell’attività in relazione alla quale ha chiesto la liquidazione.

Peraltro, non aveva depositato copia quietanzata della fattura condominiale dell’acqua di cui al pagamento richiesto all’opponente – fattura soltanto indicata nell’elenco rimesso al nuovo amministratore – e neppure vi era stato il deposito del rendiconto in cui la medesima risultava contemplata, per cui neppure l’esborso effettuato in esecuzione del mandato risulta in via documentale in atti.

Conclusioni

Da tutto ciò consegue la pronuncia di revoca dell’ingiunzione e la relativa domanda deve essere rigettata con conseguente condanna alle spese di giudizio.