SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO (CATANIA)

Valido per la formazione periodica DM 140/14-2024
5 OTTOBRE 2024 – ore 9 – PLAZA HOTEL (CT) – Viale Ruggero di Lauria, 43

Il corso è valido ai fini del completamento del programma didattico previsto per la formazione periodica secondo il DM 140/14 e include lo svolgimento della verifica finale, OBBLIGATORIA PER IL CONSEGUIMENTO DEL RELATIVO ATTESTATO.

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA (POSTI LIMITATI) – TEL. 091 344 385 – segreteria@arai.it

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SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO (PALERMO)

Valido per la formazione periodica DM 140/14-2024
21 settembre 2024 – ore 9 – CIRCOLO UFFICIALI PALERMO – P.zza Sant’Oliva, 25

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Amministratore: “Rimborso delle anticipazioni effettuate per il condominio”

L’amministratore che vuole ottenere il rimborso delle somme anticipate per il condominio deve provare il proprio credito

L’amministratore di condominio svolge un ruolo cruciale nella gestione delle attività ordinarie e straordinarie necessarie per il buon funzionamento dell’edificio. Tra i vari compiti che gli sono affidati, può capitare che l’amministratore si trovi nella necessità di anticipare somme di denaro per coprire spese condominiali urgenti o per svolgere attività che richiedono interventi immediati. Tuttavia, il rimborso di queste somme non è automatico e deve rispettare precise condizioni normative e giurisprudenziali.

La Normativa di Riferimento

Il Codice Civile, all’articolo 1135, regola in maniera generale i compiti dell’assemblea dei condomini, mentre l’articolo 1130 specifica i compiti dell’amministratore. Fra questi, c’è l’obbligo di eseguire le deliberazioni dell’assemblea e di riscuotere i contributi necessari per le spese comuni. Tuttavia, il codice non prevede esplicitamente l’obbligo per l’amministratore di anticipare denaro per il condominio. La Corte di Cassazione, attraverso varie sentenze, ha chiarito che l’amministratore che anticipa delle somme lo fa in virtù di una scelta personale e, per ottenere il rimborso, deve fornire prova del credito vantato nei confronti del condominio.

Prova del Credito: Un Oneroso Fardello

Il rimborso delle anticipazioni non è un diritto acquisito dell’amministratore ma è subordinato alla dimostrazione che le somme anticipate siano state effettivamente impiegate per il condominio. In questo senso, l’amministratore ha l’onere di fornire una dettagliata rendicontazione delle spese sostenute, dimostrando che tali spese erano necessarie e che sono state autorizzate o ratificate dall’assemblea condominiale.

Secondo l’articolo 2697 del Codice Civile, chi intende far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Questo principio si applica anche all’amministratore di condominio che richiede il rimborso: deve produrre documenti contabili, ricevute, fatture e qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le somme anticipate sono state utilizzate per scopi condominiali legittimi. Inoltre, è essenziale che tali spese siano state approvate dall’assemblea dei condomini, sia prima dell’anticipazione, sia successivamente tramite ratifica.

La Giurisprudenza: Un Appoggio Fondamentale

La giurisprudenza ha stabilito che, in mancanza di prova documentale delle anticipazioni effettuate, l’amministratore non ha diritto al rimborso. Ad esempio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3011 del 1987, ha chiarito che l’amministratore non può limitarsi a richiedere genericamente il rimborso delle spese sostenute, ma deve fornire una dettagliata descrizione e documentazione delle stesse.

Un altro punto importante è la trasparenza nella gestione dei fondi condominiali. L’amministratore, secondo la normativa vigente (art. 1129, comma 7, c.c.), deve tenere il registro di contabilità del condominio e conservare tutta la documentazione relativa alle entrate e alle uscite. In caso di controversie, la chiarezza nella tenuta di questi registri è spesso determinante per ottenere il rimborso.

Conclusione

In definitiva, l’amministratore di condominio che vuole ottenere il rimborso delle somme anticipate per le spese condominiali deve essere consapevole del proprio obbligo di provare in modo chiaro e trasparente il credito vantato. Questo non solo tutela l’amministratore stesso, ma garantisce anche che la gestione condominiale avvenga nel rispetto dei principi di trasparenza e correttezza, fondamentali per la serenità della vita condominiale. Le norme e la giurisprudenza offrono un quadro di riferimento chiaro, ma è fondamentale che ogni amministratore adempia scrupolosamente ai propri obblighi per evitare spiacevoli contenziosi e per assicurare una gestione efficiente e trasparente delle risorse comuni.

Caduta dalle Scale e Prova del Nesso di Causa per Riconoscere la Responsabilità del Condominio

Le cadute dalle scale rappresentano una delle cause più frequenti di infortuni negli edifici condominiali. La questione della responsabilità del condominio in questi casi è complessa e richiede un’attenta analisi delle circostanze specifiche e dei riferimenti normativi. Questo articolo esplora i principali aspetti giuridici e normativi relativi alla caduta dalle scale e alla prova del nesso di causa per riconoscere la responsabilità del condominio.

Normativa di Riferimento

La responsabilità del condominio in caso di caduta dalle scale può essere analizzata attraverso vari articoli del Codice Civile, in particolare:

  1. Articolo 2051: “Danno cagionato da cosa in custodia”
    “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”
  2. Articolo 2043: “Risarcimento per fatto illecito”
    “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”
  3. Articolo 1117: “Parti comuni dell’edificio”
    Questo articolo definisce le parti comuni dell’edificio, includendo le scale, che rientrano nella custodia e nella responsabilità del condominio.
  4. Articolo 1125: “Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai”
    Questo articolo stabilisce la responsabilità della manutenzione delle scale come parte comune dell’edificio condominiale.

Prova del Nesso di Causa

Per riconoscere la responsabilità del condominio in caso di caduta dalle scale, è fondamentale stabilire il nesso di causa tra il danno subito e la condizione delle scale. Questo implica dimostrare che la caduta è stata provocata da un difetto o da una carenza nella manutenzione delle scale.

Elementi Fondamentali per la Prova del Nesso di Causa:

  1. Stato delle Scale:
    • Documentare lo stato delle scale al momento dell’incidente. Fotografie, testimonianze e relazioni tecniche possono essere utili per dimostrare la presenza di difetti come scalini rotti, illuminazione insufficiente o assenza di corrimano.
  2. Manutenzione Ordinaria e Straordinaria:
    • Verificare se il condominio ha effettuato regolarmente la manutenzione delle scale. La mancata esecuzione della manutenzione ordinaria o straordinaria può costituire un elemento di prova a carico del condominio.
  3. Comportamento del Conduttore:
    • Considerare il comportamento della persona che è caduta. Se l’incidente è avvenuto a causa di una disattenzione o di un comportamento imprudente della vittima, potrebbe essere più difficile stabilire la responsabilità del condominio.
  4. Caso Fortuito:
    • Il condominio può esonerarsi dalla responsabilità dimostrando che la caduta è avvenuta per caso fortuito, cioè per un evento imprevedibile e inevitabile.

Giurisprudenza Rilevante

La giurisprudenza ha affrontato numerosi casi di cadute dalle scale, fornendo chiarimenti sui criteri di responsabilità del condominio. Alcuni casi rilevanti includono:

  • Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza n. 20408 del 2017: La Corte di Cassazione ha ribadito che il condominio è responsabile per i danni causati dalle parti comuni, salvo prova del caso fortuito. In questo caso, la mancata manutenzione delle scale è stata considerata una colpa del condominio.
  • Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza n. 27300 del 2018: Questa sentenza ha sottolineato l’importanza della prova del nesso di causalità, specificando che la vittima deve dimostrare che la caduta è stata causata da un difetto delle scale e non da un comportamento imprudente.

Conclusioni

La caduta dalle scale in un condominio può comportare una responsabilità del condominio stesso, ma è necessario stabilire con precisione il nesso di causa tra il danno e la condizione delle scale. La normativa, supportata dalla giurisprudenza, fornisce un quadro chiaro ma complesso per determinare tali responsabilità. La prova del nesso causale è fondamentale e richiede una documentazione accurata e una valutazione attenta delle circostanze specifiche dell’incidente.

Installazione del condizionatore sul lastrico solare

È lecita l’installazione del condizionatore sul lastrico solare se dal regolamento emerge l’obbligo per il condomino di installarlo sul suo balcone?

Il fatto che il regolamento condominiale obblighi il singolo condomino a installare l’impianto di climatizzazione sul proprio balcone non ne impedisce l’installazione sulle parti comuni dell’edificio, come, ad esempio, il lastrico solare.

Ciò è quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4099/2023.

Tizia, proprietaria di alcune unità immobiliari site nel condominio Alfa, citava in giudizio, innanzi al Giudice di Pace, l’ente di gestione per sentir dichiarare l’annullamento della delibera assunta dall’assemblea con riferimento al punto n. 3 dell’ordine del giorno che le imponeva l’immediata rimozione dei motori per il condizionamento dei suoi locali che aveva installato sul lastrico solare, nonché il ripristino dello stato dei luoghi.

L’attrice asseriva di essere legittimata all’installazione in questione, rientrando ciò nelle facoltà concesse al condomino dall’art. 1102 c.c. Resisteva il Condominio che eccepiva l’incompetenza per materia del Giudice di Pace adito e, nel merito, ne chiedeva il rigetto. Il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza; la causa veniva riassunta da Tizia innanzi al Tribunale, che rigettava la domanda e condannava l’attrice al pagamento delle spese processuali.

Tizia proponeva appello asserendo la legittimità dell’installazione dei motori di condizionamento sul lastrico solare, essendo ciò perfettamente in linea con il disposto dell’art. 1102 c.c., secondo cui “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. I giudici del gravame davano ragione a Tizia accogliendo l’appello. La Corte territoriale precisava quanto segue:

• l’art. 5 del regolamento condominiale prevede che sulle proprietà private dei condòmini è consentita l’installazione di motori per la climatizzazione esclusivamente all’interno dei balconi di proprietà a distanza di almeno cm 150 dal parapetto;

• non è contestato fra le parti che i locali di proprietà dell’appellante, ubicati al quarto piano dello stabile, siano privi di balconi, dotati esclusivamente di finestre insistenti sulla facciata;

• ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto;

• il posizionamento di un impianto di condizionamento sul lastrico solare, in particolare, non esclude il pari godimento della cosa da parte degli altri condòmini e non costituisce alterazione della destinazione del bene (Cass. 10968/2014);

• l’utilizzo di una singola porzione di un bene in comproprietà fra i condòmini (ad esempio di una piccola porzione sul lastrico per installare l’impianto di condizionamento), non può considerarsi “sottrazione” di spazi comuni. Pertanto, secondo la Corte capitolina, l’intervento in questione, tenuto anche conto della esiguità dell’area occupata, doveva considerarsi legittimo e non poteva essere impedito.

Condominio, nessun regolamento può vietare di tenere animali

Per il nuovo articolo 1138 del Codice civile protezione classificata tra i più generali diritti inviolabili, accertati dall’articolo 2 della Costituzione

Parliamo di animali domestici in condominio e della loro gestione. I regolamenti condominiali possono contenere norme di godimento e di utilizzo delle proprietà esclusive idonee a porre limitazioni ai diritti dei relativi proprietari. Va chiarito che il nuovo articolo 1138 del Cc dispone che il regolamento non può vietare il possesso o la semplice detenzione di animali domestici in casa o comunque all’interno del condominio. Il divieto può essere contenuto solamente in un regolamento contrattuale perché questo, essendo accettato da tutti, può contenere limitazioni ai diritti d’ognuno sulle parti di proprietà comune ed esclusiva.

È stata così sottratto in radice all’autonomia privata delle parti la possibilità di diversamente disciplinare la presenza di animali in condominio, ammettendone magari alcuni ed escludendone invece altri.

Il nuovo disposto dell’articolo 1138 del Codice civile è il frutto dell’evoluzione della considerazione del rapporto che deve esistere tra le persone e gli animali, addirittura assurto, questo, a espressione dei più generali diritti inviolabili di cui all’articolo 2 della Costituzione. Il termine animali «da compagnia», usato nella precedente versione dell’articolo 1138 Codice civile, è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti, estendendo in tal modo la definizione a un più ampio genus di animale di affezione. Non è semplice per gli animali stare in condominio, ma tutto dipende dal rispetto che i loro padroni hanno delle più elementari regole che governano il vivere nella collettività condominiale.

Resta la facoltà all’assemblea disciplinare l’uso degli spazi o dei servizi comuni da parte dei proprietari di animali, nonché il comportamento che essi devono tenere all’interno del complesso condominiale: ciò sul generale presupposto che il diritto di ciascun condomino di usare e di godere a suo piacimento dei beni comuni trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri. Il lasciare libero un animale o custodirlo senza le debite cautele, oppure affidarlo a persona inesperta, costruisce un reato penalmente sanzionato (articolo 672 del Codice penale).

Quanto alla possibilità, ad esempio, di far uso dell’ascensore con gli animali, l’inibire a un condomino di usare l’ascensore con il proprio cane può trovare legittime motivazioni solo di ordine igienico sanitario, da valutarsi a seconda della concreta fattispecie che si può presentare. Ugualmente per la limitazione al numero degli animali che il condomino può detenere nella propria unità immobiliare, superato il quale appare anche legittimo l’intervento del giudice, con il conseguente allontanamento degli animali in esubero e il loro affido ad enti specializzati (Cassazione 1823/2023).

Fermo il rispetto delle elementari norme di igiene, la rilevanza anche ai fini penali della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, richiede l’incidenza sulla tranquillità pubblica in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete. I rumori provocati dall’abbaiare di un cane devono avere una tale diffusione da costituire l’evento un disturbo idoneo ad essere sentito da un numero indeterminato di persone: se invece ad infastidirsi è un solo condomino non c’è né reato e né illecito civile. Non vanno sottovalutati i rischi in cui incorre il custode dell’animale, qualora questo diventi fonte di immissioni di rumori o di odori tali da cagionare, per la loro frequenza e intensità, malessere e insofferenza anche a persone di normale sopportazione. Anche il lasciare solo in casa il cane per l’intera giornata può configurare il reato di abbandono di animale (articolo 672 Codice penale).

La videosorveglianza in condominio

Sommario:

  • La delibera assembleare;
  • Le telecamere;
  • Accesso alle informazioni;
  • La videosorveglianza in presenza del dipendente;
  • La fase della progettazione.

La delibera assembleare

Con la legge n. 220/2012 (riforma del condominio), è stato introdotto l’art. 1122 ter c.c., secondo cui “le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136 c.c.”, ossia la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Premesso che, secondo il GDPR artt. 5 e 6,  l’autorizzazione al trattamento dei dati o è concessa direttamente dalla legge ovvero vi è il consenso dell’interessato, la fonte normativa di cui all’art. 1122 ter c.c. stabilisce che per poter trattare i dati ( e per dati occorre intendere anche le immagini in quanto loro mezzo è possibile identificare inequivocabilmente una singola persona)) a mezzo l’installazione di un impianto di sorveglianza occorre una delibera assembleare assunta con la maggioranza di cui all’art. 1136 II comma c.c. Quest’ultima  (la delibera) funge quindi da fonte della legittimazione all’installazione concretizzando il consenso specificatamente richiesto.  In mancanza, il trattamento deve ritenersi illecito. (E’ quanto ha deciso il Garante con il provvedimento del 16 dicembre 2023 ritenendo illecita l’installazione di telecamere in un condominio in mancanza di autorizzazione assembleare e conseguentemente ha qualificato come titolare l’amministratore e come tale gli ha irrogato la sanzione di € 1.000,00).

I requisiti della delibera

L’analisi di quale sia la corretta procedura per l’installazione delle telecamere in un condominio non può non tenere contro oltre che del dato normativo del codice civile e del cd. GDPR (D.Lgs. n. 679/2016) anche dell’analisi dei casi fatta dalla giurisprudenza e delle elaborazioni e provvedimenti del Garante.

Ciò posto, la prima considerazione a farsi è quella relative alle esigenze ed ai diritti che in tale fattispecie debbono porsi in correlazione:

  • da un lato la tutela del patrimonio, dei beni e della proprietà condominiale, nonché la tutela dell’integrità fisica delle persone e,
  • dall’altro, al diritto della riservatezza, alla difesa della vita privata (vedi articolo 8 Convenzione europea diritti dell’uomo) ed alla protezione dei dati personali.

ll dibattito si è sempre sviluppato, pertanto lungo la direttiva delle condizioni di liceità dell’installazione di tali impianti, in relazione alle finalità di protezione della compagine condominiale, nel rispetto del diritto alla riservatezza.

A dirla con la Suprema Corte (Cass. Ord. n. 14969 del 11 maggio 2022) l’installazione di questi impianti “è ammissibile solo in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persona e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi.” …….”né deve avere una funzione meramente sostitutiva rispetto ad altre misure di norma utilizzate per preservare la sicurezza delle persone e dei beni con valutazione da eseguire in base agli elementi specifici di ciascuna situazione.

In virtù di detti presupposti la delibera in questione è da definirsi a contenuto vincolato. Nel senso che essa dovrà necessariamente prevedere:

  • L’autorizzazione all’installazione delle telecamere per il controllo dei soli spazi comuni;
  • Modalità e finalità del trattamento;

In pratica nella stessa delibera di autorizzazione occorrerà prendere posizione indicando preliminarmente le finalità del trattamento (che possono riassumersi nella tutela del patrimonio comune e anche della singola proprietà da atti vandalici e da furti oltre che della tutela dei condomini da atti lesivi della persona fisica e di rapina, ecc.), ma occorrerà anche dare atto concretamente di precedenti specifici che giustificano il ricorso alla detta installazione di telecamere.

  • Tempi di conservazione delle immagini;

Usualmente tra le 24 e le 48 ore salvo necessità specifiche da indicarsi e giammai in maniera superiore ai 7 giorni. Oltre i quali è necessaria l’autorizzazione del Garante.

  • Individuazione dei soggetti autorizzati alla loro visione.

La detta delibera dovrà altresì indicare il responsabile dei dati. Usualmente l’amministratore cui dovrà essere però conferito apposito incarico. In maniera da renderlo “responsabile”.

Anche nel caso di nomina di una ditta esterna specializzata nel trattamento dei dati come responsabile occorrerà che l’assemblea autorizzi espressamente l’amministratore a detta nomina del responsabile esterno ai sensi e conformemente a quanto disposto dall’art. 28 del GDPR dovrà essere indicato un soggetto che presenti garanzie sufficienti per mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate in modo tale che il trattamento soddisfi i requisiti del Regolamento e garantisca la tutela dei diritti degli interessati.

Le telecamere

Tutto ciò non sarà sufficiente, però, qualora il condominio (in viste di datore di lavoro) sia parte di un rapporto di lavoro subordinato con un dipendente (portiere, custode, giardiniere, etc.). In questi casi, infatti, occorrerà tener conto del particolare status di contraente debole, caratteristico del dipendente. A questo proposito, è opportuno, preliminarmente, precisare che, in presenza di un dipendente del condominio, prima di procedere alla deliberata installazione, prima di procedere alla deliberata installazione occorrerà presentare anche l’istanza per l’autorizzazione dell’installazione dell’impianto all’ispettorato del lavoro territorialmente competente, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (producendo una relazione ove saranno indicati i motivi di sicurezza che hanno indotto alla richiesta di installazione dell’impianto).

Tra l’altro, lo stesso Statuto dei lavoratori, prevede che “il mancato rispetto della norma in materia di videosorveglianza, è punito con ammenda da euro 154 a euro 1540, o l’arresto da 15 gg ad un anno”.

Sul punto, è intervenuta la Corte di Cassazione precisando, con sentenza n. 38882/2018, che non è sufficiente il consenso prestato dal lavoratore in condominio, essendo necessaria l’autorizzazione di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.

Sul punto si rinvia ad una più ampia disamina che di seguito si pubblica.

Ad ogni modo, una volta installato correttamente l’impianto di videosorveglianza, sarà necessario rispettare alcune regole fondamentali, anche alla luce della normativa Europea in materia di protezione dei dati.

La prima regola da seguire riguarda l’obbligo di segnalare la presenza dell’impianto. E’ necessario, infatti, segnalare la presenza di telecamere con appositi cartelli ed è necessario farlo subito prima dell’accesso all’area ripresa (quindi apporre il cartello sul cancello o portone di ingresso al fabbricato). Trattasi della cd. informativa di primo livello. Poi sul cartello si darà atto che la più estesa informativa (di secondo livello) contenente anche la specifica dei diritti dell’interessato può essere visionata presso lo studio dell’amministratore o richiesta direttamente in copia allo stesso.

Secondo le linee guida del Garante per la protezione dei dati personali, nonché del Comitato Europeo per la protezione dei dati in merito al trattamento dei dati personali effettuato tramite dispositivi video, questo adempimento equivale ad informare, ai sensi degli artt. 13 e 14 del GDPR ed in quanto tale il cartello esposto dovrà indicare una serie di elementi volti a fornire informazioni precise a chi accede all’edificio ed in particolare:

  • nominativo e dati di contatto del Responsabile del trattamento dei dati;
  • finalità del trattamento dei dati;
  • periodo di conservazione dei dati;
  • indicazione dei diritti degli interessati anche con rinvio ad un’informazione di secondo livello.

La seconda regola riguarda la corretta impostazione dell’impianto ed in particolare il suo angolo di campo. Infatti l’impianto dovrà inquadrare esclusivamente le aree comuni dell’edificio (accessi all’edificio, garage, giardini, pianerottoli, ecc.) e le aree pertinenti l’edificio stesso in cui è installato. In questo senso, laddove vi sia una ditta esterna che si è occupata dell’installazione, dovrà assicurare che sia rispettato questo adempimento per evitare la ripresa dei luoghi circostanti e di particolari che non sono rilevanti (strade pubbliche, edifici circostanti, esercizi commerciali, ecc.) in modo da evitare che il titolare del trattamento possa incorrere in sanzioni.

Discorso non diverso vale anche per la videosorveglianza privata, che (anche in assenza di specifico cartello-informativa) deve comunque avere un angolo visuale diretto a non oltrepassare la linea di confine con l’abitazione altrui (configurandosi altrimenti il reato di intrusione illecita nella vita privata altrui, sanzionabile ai sensi dell’art. 615 c.p.).

Sul punto, la Corte di Cassazione già nel 2006 precisò che l’impianto di videosorveglianza installato ad uso esclusivo del singolo condomino all’ interno della sua proprietà, ma con angolo visuale diretto alle aree condominiali antistanti all’ingresso della proprietà privata, non integrerà il reato di cui all’art. 615 c.p. essendo tali aree destinate all’utilizzo da parte di un numero indifferenziato di persone, dovendosi in ogni caso rispettare i limiti previsti in materia di impianti di videosorveglianza condominiali.

La terza regola riguarda, invece, i tempi di conservazione delle immagini: in questo caso, in assenza di riferimenti normativi, il Garante per la protezione dei dati personali ha precisato che le immagini non potranno essere conversate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono acquisite (in funzione del principio di minimizzazione dei dati) ed ha indicato un termine limite di 24/48 ore. Chiaramente questo riferimento temporale vale per quegli impianti che effettuano registrazioni e che nella maggior parte dei casi presentano al loro interno una scatola nera per la cancellazione automatica delle stesse al termine indicato; diversamente, nel caso di impianti che effettuano solo monitoraggio in tempo reale, non sarà necessaria alcuna indicazione del relativo periodo temporale.

Qualora, nel caso di conclamate esigenze di sicurezza, il titolare del trattamento volesse prolungare i tempi di conservazione delle immagini, in alcun caso potrà farlo arbitrariamente, essendo in tal senso necessario inoltrare un’istanza al garante per la protezione dei dati agli indirizzi: mail: protocollo@garanteprotezionedeidatipersonali.it pec: protocollo@pec.garanteprotezionedeidatipersonali.it., indicando oltre ai motivi specifici e i rischi reali che giustifichino richiesta, anche una documentazione che possa descrivere il luogo in esame, allegando se necessario una piantina planimetrica e i relativi supporti fotografici. Ricevuta la richiesta, il Garante procederà ad una verifica preliminare ed entro un termine di 180 giorni, a seconda delle valutazioni effettuate, concederà o negherà il prolungamento dei tempi di conservazione delle immagini.

Accesso alle informazioni

Infine, una domanda: qualora il singolo condomino voglia accedere alle registrazioni, cosa dovrà fare?

E’ sicuramente diritto del condomino chiedere di visionare le registrazioni, ma in tal senso sarà necessario rispettare alcune condizioni.

  • sussistenza di una circostanza grave (furto, rapina, danneggiamento, etc.) che riguardi la proprietà privata o le parti comuni dell’edificio;
  • presentazione di specifica denuncia alle autorità competenti;
  • formulazione di richiesta scritta rivolta all’amministrazione (a mezzo raccomandata a/r o pec), allegando copia della relativa denuncia.

Nella richiesta, oltre alle generalità dell’interessato e ad una breve descrizione dell’accaduto, sarà necessario indicare almeno orientativamente il giorno e la fascia oraria in cui è avvenuto il fatto. Ciò in quanto, oltre ad agevolare le indagini per le autorità competenti, tale indicazione consentirà di rispettare in pieno il principio di minimizzazione dei dati, per cui si accederà soltanto al frame relativo al giorno e ora indicati, con oscuramento delle restanti immagini.

La videosorveglianza in presenza del dipendente

Art. 4 dello Statuto dei lavoratori Legge n. 300 del 1970 – Titolo I – Della libertà e dignità del lavoratore

  1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.
  2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
  3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Obblighi normativi e esclusioni

L’obbligo normativo sorge nel momento in cui il datore di lavoro intende installare un impianto audiovisivo o delle telecamere ed abbia dei dipendenti. Il comma secondo del novellato articolo quattro della legge numero 300 del 1970 esclude, invece, l’applicabilità del comma uno: quindi della necessità di autorizzazione ministeriale o accordo sindacale agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

Vi è poi la circolare numero 2 del 7 novembre 2016 dell’Istituto nazionale del lavoro la quale ha precisato che possono considerarsi strumenti di lavoro gli apparecchi, i dispositivi e gli apparati di congegni che costituiscono un mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa in contratto e che per tale finalità siano stati posti in uso o messi a sua disposizione.

Analogamente, il Garante della privacy con verifica preliminare del 16 Marzo 2017 documento web 8163433, in linea con l’ispettorato, ha confermato che gli strumenti di lavoro sono tutti quei dispositivi utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ovvero direttamente preordinate all’esecuzione della prestazione lavorativa.

Per ciò che riguarda il concetto di personale dipendente si deve ritenere che la norma fa riferimento ad attività lavorativa subordinata e che pertanto non troverà applicazione in tutti gli altri casi.

La procedura

L’istanza per il rilascio dell’autorizzazione può essere presentata compilando il modulo predisposto dall’ispettorato del lavoro che è reperibile sul suo sito Internet alla voce “modulistica”.

Va presentata in marca da bollo da euro 16 con allegato un’ulteriore marca da bollo da euro 16 per il provvedimento di autorizzazione. Il modello debitamente compilato e firmato può essere inoltrato all’ufficio anche tramite pec. In questo caso il bollo sarà assolto per via telematica. A tal fine nel sito istituzionale è predisposto il modulo della dichiarazione sostitutiva della marca da bollo. Il datore di lavoro provvede ad inserire nella domanda i numeri identificativi delle marche da bollo utilizzate nonché ad annullare le stesse conservando gli originali.

L’istanza deve necessariamente contenere:

  • i dati identificativi della ditta e del rappresentante legale con l’indicazione di quanti dipendenti vi sono nonchè la descrizione puntuale dell’attività aziendale;
  • specifica indicazione delle esigenze che motivano la richiesta con la descrizione delle finalità che si intendono perseguire;
  • ampiezza aziendale e indicazione della presenza o meno delle rappresentanze sindacali aziendali o delle rappresentanze sindacali unitarie nell’unità locale.

La dichiarazione è sottoscritta dal legale rappresentante che si impegna:

  1. ad installare l’impianto in modo da non ledere la privacy del dipendente e dunque a non posizionare le telecamere in luoghi riservati bagni o spogliatoi né riprendere il posto di lavoro (in condominio si pensi alla guardiola del portiere);
  2. a che le immagini siano custodite in modo da assicurarne la riservatezza al fine di escludere l’acquisizione delle stesse da parte di soggetti non autorizzati o che vengano diffuse all’esterno;
  3. è inoltre essenziale che venga data adeguata informazione ai dipendenti e venga data adeguata pubblicità nei locali aziendali anche ai soggetti terzi di trovarsi in area sottoposta a videosorveglianza.

All’istanza così compilata va allegata:

  • una relazione illustrativa delle esigenze di carattere organizzativo, produttivo, di sicurezza o di tutela del patrimonio poste a fondamento dell’istanza;
  • Una relazione tecnica relativa alla specificazione delle modalità di funzionamento dell’impianto allegando schede tecniche dell’impianto monitor telecamere e del DVR,  non è più richiesta invece la planimetria dell’azienda con l’esatto collocamento delle telecamere nè è più necessario indicarne il numero.

Qualora la distanza presentata non sia completa l’ufficio procede a richiedere formalmente la documentazione al datore di lavoro dando un termine per l’integrazione. Decorso inutilmente il termine, la richiesta sarà rigettata. L’ufficio segue una consolidata prassi operativa che può prevedere anche un sopralluogo per verificare lo stato dei luoghi al fine di valutare la sussistenza delle ragioni tecniche produttive che possano giustificare l’installazione dell’impianto e verificare che le telecamere non riprendano postazioni fisse di lavoro.

Le sanzioni e il ravvedimento

Nel caso di violazione dell’articolo quattro dello statuto dei lavoratori l’ufficio ordina la cessazione della condotta criminosa ai sensi dell’articolo 20 del decreto legislativo numero 758 del 1994 e contemporaneamente dà notizia di reato alla Procura della Repubblica a carico del legale rappresentante dell’azienda.

All’interno del verbale di prescrizione il funzionario deve indicare un termine congruo entro il quale l’impianto va disinstallato. Il datore di lavoro è ammesso al pagamento di una sanzione minima qualora entro il termine concesso per la disinstallazione ottenga la prevista autorizzazione dall’ufficio competente o raggiunga l’accordo sindacale. In tale ipotesi vengono meno i presupposti dell’illecito per cui l’ispettore lo ammette al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa (euro 387,00)  entro 30 giorni ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 758 del 1994.  Il pagamento della sanzione amministrativa comporta l’estinzione del reato e di conseguenza la comunicazione alla Procura della Repubblica che il soggetto ha ottemperato alla prescrizione con conseguente richiesta di archiviazione del procedimento penale.

La fase della progettazione

Con l’espressione inglese Data Protection by default and by design si fa riferimento alla necessità di configurare il trattamento prevedendo fin dall’inizio le garanzie indispensabili al fine di soddisfare i requisiti del regolamento e tutelare i diritti degli interessati tenendo conto del contesto complessivo in cui il trattamento si colloca e dei rischi per i diritti e le libertà degli interessati.

Tutto questo deve avvenire prima di procedere al trattamento dei dati veri e propri secondo quanto afferma l’articolo 25 del Regolamento.  Si richiede pertanto un’analisi preventiva e un impegno applicativo da parte dei titolari che devono sostanziarsi in una serie di attività specifiche e dimostrabili. In altri termini secondo l’articolo il Titolare del trattamento deve mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate sia al momento della progettazione sia nella fase di trattamento vera e propria della rilevazione o registrazione delle immagini. Ciò affinché il trattamento dei dati sia conforme ai principi basi della disciplina in tema di protezione dei dati. Ciò significa che caso per caso il titolare anche con l’aiuto di un esperto dovrà valutare la necessità o meno di predisporre la cd. Valutazione d’impatto DPIA.

Infatti, l’articolo 5 paragrafo uno lettera F del regolamento impone il principio di integrità e riservatezza ai sensi del quale i dati personali sono trattati in maniera da garantire loro un’adeguata sicurezza a mezzo la protezione mediante misure tecniche organizzative adeguate onde evitare:

  1. trattamenti non autorizzati o illeciti;
  2. la perdita o la distruzione;
  3. il danno accidentale.

Nel valutare l’adeguato livello di sicurezza si tiene conto in special modo dei rischi presentati dal trattamento che derivano in particolare dalla distruzione, dalla perdita, dalla modifica, dalla divulgazione non autorizzata, dall’accesso in modo accidentale o illegale a dati personali trasmessi conservati o comunque trattati.

Rispetto al citato quadro giuridico è necessario porre in essere accorgimenti necessari a consentire la continuità su base permanente e il ripristino della disponibilità dei dati personali eventualmente sottratti.

Le tecniche in grado di assicurare l’ identificabilità degli interessati ai quali i dati personali trattati si riferiscono per limitare il rischio della loro consultazione da parte di soggetti non autorizzati come la pseudonomizzazione o la cifratura dei dati,  procedure idonee ad attestare,  verificare e valutare regolarmente l’efficacia delle misure tecniche organizzative al fine di garantire la sicurezza del trattamento.

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Regolamento Condominiale
Revoca Amministratore

(P. I. – C.T.E.) ALESSANDRO D’AGOSTINO
La salubrità delle acque condominiali (D. Lgs. 18/2023)

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La parola ai PARTNER

Vizi costruttivi: responsabilità e ruolo dell’Amministratore di condominio

Per gravi difetti costruttivi degli immobili l’appaltatore deve rispondere e l’amministratore di condominio può agire senza delega dell’assemblea. Vediamo esempi e giurisprudenza

L’art. 1669 c.c. regola una fattispecie di responsabilità aggravata dell’appaltatore, stabilendo, in relazione agli immobili o comunque alle cose destinate per la loro natura a lunga durata, che, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.

Vediamo cosa prevede la normativa e la giurisprudenza sul ruolo dell’amministratore di condominio nella denuncia dei vizi costruttivi .

1) Il concetto di grave vizio costruttivo

È importante precisare che vengono incluse nel concetto di grave difetto:

  • sia le deficienze costruttive vere e proprie, quelle cioè che si risolvono nella realizzazione dell’opera con materiali inidonei e non a regola d’arte,
  •  sia le carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali.

Di conseguenza rientrano nell’ambito di applicazione della predetta norma, ad esempio:

  • il distacco progressivo degli elementi della facciata esterna dello stabile e conseguente pericolo di crollo,
  •  la difettosa impermeabilizzazione del manto di copertura che provoca infiltrazioni di acqua e di umidità negli appartamenti sottostanti, anche con riferimento al ristagno d’acqua, la caduta dell’intonaco per infiltrazioni di umidità,
  • la comparsa di lunghe fessurazioni del pavimento, conseguenti alla rottura di molte piastrelle, per evidente cedimento del sottofondo

Secondo la giurisprudenza l’articolo 1669 c.c. è applicabile anche quando le carenze costruttive dell’opera non investano parti strutturali, ma incidano su elementi secondari ed accessori, purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture.

Di conseguenza il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente – condominio alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa, ma elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quale, ad esempio, l’intonaco), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo.

2) Articolo 1669 c.c. e manutenzione straordinaria del caseggiato

Il termine “costruzione“ menzionato dall’articolo 1669 c.c. non si riferisce esclusivamente ad un nuovo fabbricato, intendendo esso come presupposto e limite della responsabilità aggravata dell’appaltatore.

Il termine “costruzione” si riferisce, infatti, all’attività costruttiva, che non implica l’edificazione per la prima volta e dalle fondamenta, ma riguarda “l’assemblaggio tra loro di parti convenientemente disposte”.

Sulla scorta di quanto detto, le Sezioni Unite hanno pertanto affermato che l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo (Cass. civ., Sez. Un., 27/03/2017, n. 7756).

3) La legittimazione ad agire dell’amministratore

All’azione di responsabilità per gravi difetti nei confronti del costruttore o appaltatore è abilitato, oltre ai condomini, l’amministratore del condominio, a norma degli artt.1130, n.4, e 1131, comma 1, c.c., non è  pertanto, necessaria una delibera autorizzativa della collettività condominiale.

Così non vi è dubbio che l’amministratore possa contestare i vizi relativi alle parti comuni dell’edificio condominiale (facciata, difettoso isolamento termico); tuttavia può contestare anche i vizi relativi a frontalini e intradossi dei balconi in quanto tali elementi si devono considerare beni comuni quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e svolgono una funzione estetica inerente al decoro dell’edificio.

Del resto la Suprema Corte ha progressivamente ampliato l’interpretazione dell’art. 1130 c.c., n. 4, fino ad affermare la legittimazione dell’amministratore del condominio a promuovere l’azione di cui all’art. 1669 cod. civ., a tutela indifferenziata dell’edificio nella sua unitarietà, in un contesto nel quale i pregiudizi derivino da vizi afferenti le parti comuni dell’immobile, ancorché interessanti di riflesso anche quelle costituenti proprietà esclusive di condomini, come ad esempio i balconi (Cass. civ., sez. II, 12/01/2015, n. 217).

La legittimazione dell’amministratore di condominio a proporre l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c. anche senza preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale si estende pure alla proponibilità del procedimento di accertamento tecnico preventivo finalizzato ad acquisire tempestivamente elementi di fatto sullo stato dei luoghi o sulla condizione e qualità di cose, da utilizzare successivamente nel giudizio di merito introdotto con la domanda ex art. 1669 citato, posto che tale accertamento è strumentale all’esercizio stesso dell’azione di responsabilità anzidetta.

Il condominio è tenuto a risarcire chi cade nel cortile a causa di una pavimentazione viscida e scivolosa

Errato parlare di imprudenza della parte lesa perché l’attore, seppur al corrente del rischio di cadere, non poteva scongiurarlo in alcun modo

Il figlio di un condomino, nel percorrere nel tardo pomeriggio con estrema cautela il cortile condominiale per fare rientro a casa, scivolava e a seguito della caduta riportava gravi lesioni personali. Per tale motivo citava in giudizio il condominio chiedendo che venisse accertata la responsabilità dello stesso in ordine all’infortunio patito con contestuale richiesta di risarcimento danni.

Un pericolo segnalato più volte

Il condominio in questione è composto da più scale, alle quali si accede esclusivamente da un cortile condominiale all’aperto pavimentato con un mattonato che, in occasione delle precipitazioni atmosferiche, diventava estremamente viscido e scivoloso costituendo, quindi, un serio pericolo. La problematica era stata segnalata più volte all’amministratore, sia per le vie brevi che in occasione delle assemblee, ma senza avere un seguito. Solo successivamente all’incidente, l’assemblea condominiale ha deliberato i lavori di manutenzione da eseguire nel cortile condominiale riguardanti la rimozione della vecchia pavimentazione. Il fatto che la scivolosità dipendesse dalla pioggia non giova al condominio, perché il problema di questo tipo di scivolosità era già noto, come chiaramente dimostrato dai verbali di assemblea. Né può giovare il fatto che, come eccepito dal condominio, la pavimentazione non idonea fosse stata scelta dai condòmini, tra cui il padre dell’infortunato.

Non si tratta di imprudenza del condomino

Resta da valutare, anche a fronte della specifica eccezione difensiva dello stabile, l’eventuale rilevanza – a sfavore del lesionato e in favore dell’ente di gestione – della conoscenza dei luoghi da parte dell’infortunato, essendo egli residente, almeno all’epoca, nel complesso immobiliare ove è caduto. L’attore, dunque, nonostante il pericolo di cadere fosse per lui prevedibile, in quanto residente nel condominio, non aveva concreta possibilità di evitare e scongiurare il rischio della caduta. Si aveva, quindi, una situazione di prevedibilità ma altresì di effettiva imprevedibilità/inevitabilità dell’evento, che esclude la ravvisabilità di un difetto di cautela e, dunque, di incidenza causale giuridicamente rilevante in capo all’attore, che si è limitato ad utilizzare il tratto di cortile condominiale secondo la sua destinazione d’uso di area per il transito pedonale.

Il condominio, durante il procedimento, chiedeva che venisse ascoltato il lesionato per capire se il tratto di pavimentazione in cui sarebbe avvenuto il sinistro fosse munito di muro laterale idoneo a proteggere l’utente e a consentirgli, se necessario, di appoggiarsi per sostenersi. La risposta dell’attore non ha confermato l’assunto, avendo egli precisato, sostanzialmente, che il muro è privo di corrimano e che il tratto di pavimentazione in cui è avvenuta la caduta è immediatamente oltre un angolo formato dal muro in questione (quindi, fuori dal possibile utilizzo del muro come appoggio). Il condominio, del resto, nella sua comparsa di costituzione ha attribuito al danneggiato una condotta imprudente e distratta, ma senza specificarla e senza offrirne alcuna prova, compromettendo la propria difesa. Pertanto, il Tribunale di Roma con sentenza 16591/2022 ha ritenuto responsabile il condominio condannandolo a pagare le lesioni subite dalla parte lesa.