Bonus 110%, le novità per individuare gli abusi edilizi che bloccano lo sconto

Quando il Fisco può bloccare lo sconto fiscale

Abusi edilizi. In quali casi bloccano l’accesso al Superbonus 110%?

Alla domanda più che legittima, anche in considerazione dello stato di salute urbanistico-edilizio del patrimonio immobiliare italiano, è stata data più di una risposta con il risultato di ingenerare dubbi e perplessità sull’interpretazione stessa della legge.

Legge che appunto è molto chiara per quanto riguarda il rapporto abusi edilizi e interventi “trainanti”, ma che invece presta il fianco a diverse interpretazioni quando si tratta di abusi edilizi e interventi “trainati” eseguiti all’interno di una unità immobiliare.

Se in una prima stesura delle legge era impossibile per gli edifici plurifamiliari di usufruire del Superbonus 110% in presenza di eventuali abusi su parti private, con l’aggiunta all’art. 119 del Decreto Rilancio il comma 13-ter gli accertamenti di eventuali abusi sono da fare solo in riferimento alle parti comuni degli edifici che beneficiano degli incentivi disciplinati.

Dunque per gli edifici plurifamiliari (che siano in condominio o no poco importa) per la richiesta del titolo abilitativo necessario per un intervento di isolamento termico a cappotto, il tecnico dovrà limitarsi ad asseverare la conformità delle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi. Fin qui tutto chiaro, grazie a questa modifica eventuali abusi edilizi presenti all’interno dell’unità immobiliare non precludono l’accesso al superbonus per gli interventi sulle parti comuni.

Ma le cose si complicano quando appunto si parla di interventi “trainati”. Ricordiamo che il Decreto Rilancio ha, infatti, previsto due tipologie di intervento: gli interventi trainanti (cappotto termico, sostituzione impianto di climatizzazione, interventi di riduzione del rischio sismico) che accedono direttamente al bonus 110%, rispettando determinati requisiti e adempimenti; gli interventi trainati (efficientamento energetico delle unità immobiliari, tra i quali la sostituzione degli infissi, abbattimento delle barriere architettoniche, fotovoltaico, colonnine di ricarica) che accedono alla detrazione del 110% solo se realizzati congiuntamente ad uno degli interventi trainanti.

Cosa succede quindi se c’è un abuso edilizio all’interno di un’unità immobiliare per la quale il proprietario intende sostituire gli infissi e i serramenti esterni? Questi infatti sono interventi “trainati” di efficientamento energetico dell’unità immobiliare che da sola non potrebbe accedere ad alcuna detrazione nel caso siano presenti eventuali abusi edilizi. Detto in altre parole: l’abuso edilizio presente all’interno dell’unità immobiliare preclude l’accesso alla detrazione fiscale del 110% per l’intervento trainato di sostituzione degli infissi?

A questo punto si è posta la necessità di chiarire anche il concetto stesso di “parte comune”. Il codice civile all’art. 1117 conferma che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate”.

Su questo dato di fatto un’impresa, che ha posto un interpello all’Agenzia delle Entrate, ha fatto notare che la presenza di eventuali non-conformità urbanistiche che dovessero essere riscontrate nelle singole unità abitative non preclude l’accesso al Superbonus 110% non solo per gli interventi “trainanti” (cappotto termico e sostituzione di caldaie), ma anche per la sostituzione di serramenti ed infissi (interventi “trainati”) proprio perché “tutti gli interventi che insistono sulle facciate del condominio, ovvero, sulle parti comuni, devono essere a tutti gli effetti considerati quali “parti comuni” di quest’ultimo”. Tale interpretazione è stata confermata dalla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Emilia Romagna. In sintesi: gli abusi sulle parti private di una unità immobiliare non bloccano l’accesso al superbonus per il condominio, ma nemmeno per l’intervento trainato come la sostituzione degli infissi e dei serramenti per l’unità immobiliare con gli abusi.

Ottenere il Superbonus 110% sarà più semplice: ecco cosa cambia

Il Superbonus 110% è la maxi-agevolazione che interessa tutti i contribuenti che vogliono ristruttura casa e renderla più efficiente a livello energetico. Secondo gli ultimi report, ancora molte persone si lasciano scappare tale occasione a causa della burocrazia troppo complicata e le procedure lente per ottenere il contributo. In effetti, la misura ha diverse criticità, tra cui la normativa troppo complessa che viene sottoposta a revisioni continue ma anche le eventuali responsabilità penali in caso di mancanze e violazioni.

Per venire incontro a operatori e contribuenti, il Governo ha deciso di semplificare tutto ciò che riguarda la richiesta e l’ottenimento del Superbonus 110%. Le modifiche dovrebbero arrivare con il nuovo DL Semplificazioni a cui sta lavorando Mario Draghi, che dovrebbe essere presentato insieme al Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR). Vediamo quali sono le misure che permetteranno di ottenere in modo più facile il bonus.

Superbonus 110% nel DL Semplificazioni: asseverazioni più snelle

Nonostante il Superbonus 110% abbia registrato una crescita del 200% nel 2021, l’agevolazione va ancora a rilento. L’obiettivo del Governo è rendere l’iter burocratico molto più semplice in modo da incentivare i contribuenti a chiedere e ottenere il bonus. Il Governo sta lavorando per inserire un capitolo legato all’agevolazione all’interno del Decreto Legge Semplificazioni. Le questioni su cui si sta lavorando sono soprattutto due:

– prorogare il Superbonus 110% al 2023 per dare ai contribuenti più tempo per gestire tutto l’iter

– velocizzare la procedura per i professionisti asseveratori

In particolare i tecnici hanno l’obbligo di certificare alcune informazioni sull’immobile, come la proprietà o le concessioni edilizie. Per rendere più facile l’iter per i professionisti, il Governo sta pensando che da ora in poi sarà necessario semplicemente presentare il certificato di conformità dell’immobile. Ciò permetterebbe anche di alleggerire il lavoro dei Comuni, dove a causa dello smart working la gestione delle pratiche diventa più lenta. Attualmente per avere questa asseverazione si può aspettare anche 4 mesi e queste tempistiche sono assolutamente incompatibili con il bisogno di avviare i lavori e ottenere i bonus.

Superbonus 110%: serviranno solo i documenti essenziali

Il DL Semplificazioni inserirà anche alcune novità relative a documenti necessari per ottenere il Superbonus 110%:

La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) verrà concessa rapidamente, è un documento fondamentale per i cantieri

La Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) non sarà più necessaria per i lavori di manutenzione, ma rimarrà obbligatoria per le ristrutturazioni

Queste sono solo alcune delle modifiche previste all’interno della nuova manovra dovrebbe arrivare entro aprile. Tra i focus del Decreto troviamo anche e soprattutto la semplificazione della Pubblica Amministrazione, quindi in generale la richiesta di atti dovrebbe essere più veloce. Tutto ciò avverrà grazie soprattutto al Digitale, che oggi ha un ruolo cruciale sia nell’ambito pubblico che privato.

Il provvedimento aiuterà soprattutto quegli immobili che hanno tutte le carte in regola per accedere alla detrazione ma che fino ad ora non hanno fatto richiesta proprio a causa della burocrazia: sono quegli edifici – soprattutto condominiali – dove si intendono eseguire interventi di manutenzione straordinaria senza ristrutturazione, che comunque comportano il miglioramento di due classi energetiche (requisito fondamentale per accedere al bonus).

Queste erano le maggiori novità riguardo il Superbonus 110%: chi pur avendo i requisiti non lo ha ancora richiesto a causa della burocrazia, con l’approvazione delle modifiche avrà sicuramente meno ostacoli.

Rendiconto condominiale e impugnabilità se manca il registro della contabilità

L’obbligo di redazione del registro di contabilità

L’articolo 1130 del Codice Civile, così come modificato dalla Legge di Riforma 220 del 2012, stabilisce al numero 7 che l’amministratore di condominio deve curare la tenuta del registro di contabilità. In tale registro, l’amministratore riporta, in ordine cronologico, i singoli movimenti contabili in entrata e in uscita operati sul conto corrente condominiale. L’annotazione deve avvenire entro 30 giorni dalla data in cui è effettuata l’operazione. Il successivo articolo 1130 bis stabilisce che l’assemblea dei condomini può nominare un revisore cui far esaminare la correttezza contabile delle voci del registro o può costituire un consiglio di condomini (tre nei condòmini con almeno dodici unità immobiliari) con la funzione di controllo sul bilancio. Il registro di contabilità è parte integrante del rendiconto condominiale. Attraverso il registro di contabilità i condòmini possono conoscere in che modo sono stati spesi i loro soldi da parte dell’amministratore nella gestione della cosa condominiale.

Il registro di contabilità condominiale secondo la giurisprudenza

Tra i contributi giurisprudenziali che meritano menzione in relazione al tema del registro di contabilità si deve richiamare la sentenza del Tribunale di Imperia del 10 dicembre 2020.

Tale provvedimento ha specificato alcune caratteristiche di validità del registro di contabilità:

– non deve essere redatto con forme rigorose, poiché non si applicano le norme in tema di bilancio delle società;

– deve essere intellegibile per consentire ai condòmini di controllare le voci di entrata e di uscita;

– deve essere strutturato secondo il “principio di cassa” e, dunque, le spese vanno annotate in base alla data effettiva del pagamento e le entrate in base alla data effettiva di incasso;

– l’amministratore deve inviare ad ogni condòmini l’elenco delle spese sostenute e i relativi documenti giustificativi, indicare le quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, evidenziare le spese da sostenere. In tal modo i condòmini possono meglio apprezzare e valutare il bilancio;

– la mancanza dei predetti elementi determina l’illegittimità del registro di contabilità e dunque l’invalidità della delibera assembleare che approva il bilancio.

L’indicazione generica e poco chiara delle voci di entrata e di uscita inficia la validità del bilancio poiché non fornisce al condomino un quadro completo della situazione contabile condominiale e di conseguenza non gli consente di apprezzare il bilancio stesso.

L’amministratore non solo deve redigere il registro di contabilità secondo i predetti criteri, ma lo deve anche produrre in assemblea in sede di approvazione del bilancio condominiale affinché tutti i condòmini abbiano contezza della gestione contabile dei beni condominiali.

Il bilancio approvato in assenza di un registro di contabilità che segue il principio di trasparenza è invalido e la relativa deliberazione assembleare può essere impugnata per chiederne l’annullabilità (Tribunale di Roma, sentenza del 12 febbraio 2021). Infatti, si ha in tal caso la violazione del diritto all’informazione di cui gode ogni condomino e che indice sul procedimento di formazione della volontà assembleare e dunque sull’approvazione delle delibere (Cass. civ. 12650/2008

Impugnabilità della delibera condominiale

Sulla scorta di quanto previsto dal legislatore e delle interpretazioni giurisprudenziali si può concludere che:

a – l’amministratore di condominio è obbligato a tenere il registro di contabilità;

b – tale registro deve essere il più trasparente possibile per consentire ai condòmini di esercitare i propri diritti in relazione alla situazione contabile condominiale;

c – l’amministratore è revocabile se non tiene il registro di contabilità o se lo fa con modalità tali da non rendere chiara la propria gestione contabile (art. 1129 comma 12 n. 7 Codice Civile);

d – la delibera assembleare che approva il bilancio consuntivo è impugnabile dal singolo condomino se il bilancio non è accompagnato da un registro di contabilità che consente al condomino di conoscere in che modo sono stati spesi i propri soldi versati in favore dell’ente condominiale.

Condomini morosi: i poteri dell’amministratore

In primo luogo, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. egli può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del condomino moroso, nonostante l’eventuale opposizione. Si tratta, evidentemente, di uno strumento immediato ed efficace per il recupero dei crediti condominiali, che non richiede né la preventiva autorizzazione dell’assemblea né l’obbligo di mettere in mora il condomino inadempiente

Precisiamo inoltre che l’Amministratore ha tempo sei mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale per poter agire contro il condomino moroso per le quote non pagate.

Infine l’amministratore, come misura cautelare, può sospendere il condomino moroso dall’uso dei servizi comuni che siano suscettibili di godimento separato.

La vecchia solidarietà passiva

Soffermandoci ora sulla natura degli obblighi dei condomini nei confronti di terzi Creditori del condominio, quali un’impresa appaltatrice che esegue lavori di ristrutturazione della facciata, o enti erogatori di energia elettrica, acqua ecc, sono opportune le seguenti considerazioni.

È un dato di fatto che le obbligazioni assunte dall’amministratore, in nome e per conto del condominio, erano disciplinate fino alla riforma del 2012 dal principio della solidarietà passiva tra condomini. Il creditore pertanto per la soddisfazione del proprio credito poteva domandare il pagamento ad uno solo dei condomini il quale, a sua volta, poteva rivalersi pro quota, nei confronti dei morosi per la parte dovuta.

Sulla base di quanto stabilito dalla sentenza n. 9148/2008 del 08.04.2008 della Corte di cassazione a Sezioni Unite veniva introdotta, per la fattispecie considerata, la regola della parziarietà delle obbligazioni condominiali nei confronti dei terzi creditori, con superamento del precedente orientamento della solidarietà passiva.

Ne consegue che ogni condomino era chiamato a rispondere dei debiti soltanto per la propria quota di competenza e dunque il creditore poteva pertanto pretendere da ogni condomino solo la parte dovuta.

Il beneficio della preventiva escussione

Occorre dunque in questa sede soffersi su quella che è la posizione oggi assunta dal Legislatore con la nuova disciplina, per comprendere quanto e cosa sia stato recepito dell’orientamento giurisprudenziale sopra esposto.

Possiamo ritenere reintrodotta la solidarietà passiva prima esistente? Forse sul punto c’è ancora un po’ di ambivalenza e non poche perplessità in merito.

Ai sensi del già citato art. 63, al secondo comma si prevede quanto segue:

“I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.”

Quindi, nel caso in cui la spesa in questione sia dovuta ad esempio, quale corrispettivo per l’effettuazione di lavori di straordinaria amministrazione, a fronte del contratto stipulato dall’amministratore in rappresentanza degli altri condomini, l’impresa che ha eseguito i lavori non potrà chiedere tutto il pagamento ad un solo condomino. Dovrà rivolgersi a ciascuno dei condomini in proporzione alla singola quota debitoria di spettanza. Inoltre, ed è qui la novità rilevante, il creditore dovrà agire “pro quota” prima nei confronti dei condomini morosi (a lui indicati dall’amministratore) e, solo nel caso in cui sia impossibile soddisfarsi sul patrimonio di questi ultimi, potrà successivamente rivolgersi ai condomini in regola. Viene pertanto introdotto il “beneficio della preventiva escussione” ma qualora le azioni esecutive nei confronti dei condomini morosi si dovessero rivelare infruttuose, i “condomini virtuosi” saranno comunque chiamati a rispondere delle obbligazioni condominiali.

Concludendo, è del tutto evidente come la riforma sia intervenuta per dirimere contrasti e conflitti di interesse tipici di questa materia. Da un lato ponendosi a tutela dei condomini adempienti e dall’altro cercando di soddisfare gli interessi dei creditori del condominio in caso di inadempimento dei condomini. Tuttavia, nel lato pratico, la nuova disciplina si presta ancora a diverse interpretazioni che renderebbero necessario un intervento chiarificatore.

Balconi e frontalini

Quando parliamo di balconi, dobbiamo distinguere quelli aggettanti da quelli incassati.

I balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dell’edificio e costituiscono un prolungamento dell’unità immobiliare, sono di proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti che se ne servono.

I balconi incassati invece sono quelli che non sporgono rispetto ai muri perimetrali, restando incassati nell’edificio condominiale. L’attenzione si sofferma principalmente sul frontalino, che è quella fascia verticale di piccola altezza, che a volte rifinisce sulla fronte una struttura orizzontale aggettante (la parte esterna del parapetto del balcone quella che costituisce una sorta di cornice dello stesso balcone). Il frontalino lo troviamo sia nei balconi incassati, che in quelli aggettanti, ed è proprio in questo caso che sorgono i problemi. Infatti quando si devono effettuare i lavori di manutenzione, ci si domanda a chi debbano essere addebitate le spese per gli interventi sugli stessi.

Natura condominiale dei frontalini dei balconi

Quando si devono effettuare i lavori di manutenzione, ci si domanda a chi debbano essere addebitate le spese per gli interventi sul c.d. frontalino. Tale problematica sorge per il balcone aggettante (cioè quelli sporgenti dalla verticale della facciata dell’edificio) perché sono quelli che appartengono esclusivamente al proprietario dell’appartamento che se ne serve.

Ci si chiede se le spese devono essere sostenute dal proprietario del balcone ovvero dal condominio. Questa questione ha generato negli anni un enorme contezioso. Ormai la giurisprudenza è costante nel ritenere che gli elementi decorativi che caratterizzano la parte frontale del balcone aggettante si debbono considerare beni comuni quando contribuiscono a rendere esteticamente gradevole l’edificio.

Ripartizione delle spese dei frontalini

La Cassazione oggi ritiene che i frontalini appartengono al condominio in quanto elementi estetici e di arredo della facciata. Per cui le relative spese devono essere divise tra tutti i condòmini, anche quelli che affacciano su altro lato del palazzo o quelli che non sono proprietari di balconi (le spese vanno ripartite tra tutti i condomini, secondo i millesimi di proprietà, così come previsto dall’art. 1123 c.c.). Recentemente il Tribunale di Roma con la sentenza n. 915 del 19 Gennaio 2021, ha qualificato le spese da sostenere per il risanamento dei frontalini come “condominiali”.

Tribunale di Roma: frontalini sono condominiali

Con la sentenza n. 915 del 2021, il Tribunale di Roma conferma che i balconi sono una estensione della proprietà individuale, ma contestualmente precisa che si pongono come elementi decorativi esterni che si inseriscono nella facciata. Pertanto, le spese per gli elementi decorativi dei balconi, quando si identificano con la struttura della facciata, vanno ripartite a carico della collettività condominiale, suddivise tra tutti i condomini in maniera proporzionale alle singole quote di proprietà. Questo ragionamento viene fatto anche per i c.d. frontalini e di conseguenza le spese devono essere ripartite tra tutti i condomini, poiché i frontalini vengono considerati elemento imprescindibile della facciata costituendo l’estetica dello stabile allo stesso modo del muro perimetrale dell’edificio con cui si integrano in un rapporto armonico. Lo stesso Tribunale di Roma in precedenti sentenze, ha affermato non essere necessario, affinché i frontalini siano considerati parti comuni, che essi rivestano un particolare pregio architettonico, essendo sufficiente che contribuiscano a segnare le linee ornamentali del fabbricato.

Lastrico solare, spese in caso di danni

I diritti si pagano: chi vanta la titolarità esclusiva del lastrico solare dell’edificio deve rassegnarsi a pagare i danni. Un principio confermato dalla sentenza della Cassazione a Sezioni unite del 10 maggio 2016, n. 9449, riguardante fattispecie della responsabilità per danni derivanti dal lastrico solare esclusivo (esistente in un edificio in condominio).

La Suprema corte, infatti, con la pronuncia 3239 del 7 febbraio 2017 ha affrontato, ancora una volta tale ipotesi dannosa, collocandosi certamente nel solco del precedente intervento ma senza dimenticare di fare anche un passo in avanti nell’ulteriore specificazione interpretativa dell’articolo 1126 del Codice Per cercare di avere un quadro il più sistematico possibile dei complessi principi affermati è opportuno ripercorrere in prima battuta quanto affermato dalle Sezioni unite.

Vediamo in ordine i princìpi da seguire:

a) la responsabilità per l’eventuale danno causato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare esclusivo (o dalla terrazza a livello, sempre esclusiva) va ricondotta nell’ambito dell’illecito extracontrattuale;

b) in ogni caso, non si può ignorare la specificità di tale tipologia di copertura, in quanto, da un lato, la sua superficie, costituisce oggetto dell’uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; e, dall’altro, la sua parte strutturale sottostante costituisce “cosa comune”, perché contribuisce ad assicurare la copertura dell’edificio;

c) diverse sono le posizioni del titolare dell’uso esclusivo sul lastrico solare e del condominio;

d) da una parte, il titolare di tale diritto è tenuto agli obblighi di custodia, ex articolo 2051 del Codice civile, in quanto si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso;

e) dall’altra parte, il condominio è tenuto (secondo gli articoli 1130, comma 1, n. 4. e 1135, comma 1, n. 4, del Codice civile) a compiere gli atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell’edificio e della relativa omissione risponde in base all’ articolo 2043 del Codice civile;

f) queste due responsabilità di cui ai punti d) ed e) possono concorrere tra loro;

g) in tal caso, il criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o di ricostruzione dall’articolo 1126 del Codice civile (un terzo/due terzi) costituisce un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all’uso e alla custodia della cosa, valevole anche ai fini della ripartizione del danno eventualmente cagionato;

h) diversamente, nel caso in cui risulti che il titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare o della terrazza a livello sia responsabile dei danni provocati ad altre unità immobiliari presenti nell’edificio per effetto di una condotta che abbia essa stessa provocato il danno; ipotesi in cui il titolare del diritto va conseguentemente ritenuto l’unico responsabile.

Da tale impostazione, che ormai può dirsi definitiva, deriva che non possono più essere prese in considerazione le precedenti sentenze della Cassazione che attribuivano la custodia del lastrico solare al condominio (25288/2015), ai condòmini (1674/2015), o addirittura all’amministratore (17983/2014) anche se tale area fosse esclusiva.

In sostanza, per le Sezioni unite del 2016 il «custode» è solo il titolare esclusivo, e non il condominio, il quale risponde, al massimo, per una sua condotta illecita (articolo 2043 del Codice civile), qual è certamente l’omissione di manutenzione.

Una ulteriore pronuncia della Cassazione 3239/2017, oltre a confermare questa impostazione, aggiunge un tassello importante per la valutazione del caso concreto: “per poter attribuire la responsabilità per danni derivanti dal lastrico solare occorre effettuare un’indagine – evidentemente a mezzo di perizia tecnica – sulle specifiche cause dell’evento e se tali cause, in particolare, sono ascrivibili a un concorso di responsabilità oppure a un fatto esclusivo del titolare del diritto di uso (vedasi ipotesi di danni provocati dall’ostruzione alla griglia di scarico delle acque piovane su un lastrico solare di proprietà esclusiva, come da sentenza di Cassazione 26086/2005 )

Assemblee condominiali senza l’effetto sorpresa

Il contenuto delle deliberazioni deve sempre risultare da un verbale scritto. Il testo della delibera deve quindi essere chiaro e consentire di individuare con certezza la volontà espressa dalla maggioranza dei condomini. Questo il chiarimento contenuto nella sentenza n. 106 della Corte di appello di Genova

Niente effetto sorpresa per le deliberazioni assembleari. Il contenuto delle stesse deve sempre risultare da un verbale scritto, da conservare nell’apposito registro previsto dall’art. 1130 c.c. Il testo della delibera deve quindi essere chiaro e consentire di individuare con certezza la volontà espressa dalla maggioranza dei condomini, in modo da garantirne l’efficacia e consentire all’amministratore di eseguirla. In caso di incertezza sul contenuto della delibera non si può quindi fare riferimento ai testimoni, perché è inaccettabile una delibera con contenuto «a sorpresa», che emerga a distanza di tempo, quando magari siano già trascorsi i termini per impugnarla. Questo l’interessante chiarimento contenuto nella recente sentenza n. 106 della Corte di appello di Genova, pubblicata lo scorso 29 gennaio 2021.

Il caso concreto. Nella specie era stata impugnata la deliberazione con cui l’assemblea si era espressa su un intervento da effettuare sull’impianto idrico e sulla ripartizione tra i condomini della relativa spesa.

Secondo il tribunale, che aveva accolto l’impugnazione, la delibera in questione risultava indeterminata, in quanto erano stati previsti due possibili criteri alternativi di imputazione della spesa, ma nel verbale non era stata specificata quale fosse la volontà assembleare, non essendo stato indicato quale dei due criteri fosse stato approvato dalla maggioranza dei condomini.

Il condominio, convinto che si trattasse di un mero errore materiale relativo alla redazione del verbale, aveva quindi impugnato la sentenza, rimproverando al giudice di primo grado di non avere provveduto a superare la presunta incertezza del contenuto della delibera in questione con l’applicazione dei criteri di interpretazione cui agli artt. 1362 ss. c.c.

Secondo il condominio l’andamento dei fatti era del tutto chiaro. Si era proceduto a mettere in votazione la prima delle due ipotesi prospettate ai condomini, ovvero la divisione delle spese in parti uguali. L’assemblea si era quindi espressa su questa ipotesi e vi erano stati voti favorevoli e contrari.

Superbonus e compenso extra per l’amministratore

Pur senza essere la figura centrale del Superbonus, l’amministratore di condominio, in quanto legale rappresentante della committenza, vedrà certamente aumentato il carico del proprio lavoro in ragione degli adempimenti, ad esempio di natura fiscale, che gli sono attribuiti.
Allora ci chiede se l’amministratore ha diritto ad un compenso extra o meno.

Com’è noto l’amministratore all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”. L’interpretazione restrittiva di questa norma fa sì che nell’assemblea che si terrà per la deliberazione dei lavori teoricamente l’amministratore non potrebbe domandare un compenso per l’attività connessa all’ esecuzione degli interventi in esame.

V’è, invece, chi ritiene che la norma vada interpretata nel senso che il mandatario, ovvero l’amministratore, non possa pretendere al termine dell’anno di gestione somme non indicate nel compenso analitico indicato con la nomina o il rinnovo, ma che ciò non impedisca l’approvazione preventiva di uno specifico compenso per attività straordinaria al momento dell’approvazione stessa di quelle opere.

Una posizione quest’ultima più coerente anche con lo spirito della norma e la tipologia d’incarico, assimilabile al mandato, previsto solamente per atti ordinari e straordinari urgenti.

La ratio è chiara: si conferisce uno specifico incarico e per quell’incarico si deve conoscere il compenso in anticipo. Attività straordinarie non urgenti e per le quali non è dato mandato non rientrano nell’attività concordata e prevista dalla legge. Nulla vieta, allora, nella libera contrattazione tra le parti di prevedere un compenso per l’attività connesse alle opere straordinarie appositamente deliberate.

Con l’accortezza che il compenso debba essere approvato contestualmente all’approvazione dei lavori, non dopo.

Diverso il caso del compenso riconosciuto all’amministratore di condominio dalle altre parti contrattuali. Questo, palesandosi come un potenziale conflitto d’interessi, può portare all’annullamento del contratto.

La giurisprudenza ha specificato in più occasioni e circostanze che:

  • il conflitto deve sostanziarsi in un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante che deve verificarsi concretamente e non essere semplicemente astratto;
  • a meno che non si tratti di contratto concluso con se stesso ex art. 1395 c.c., a nulla vale la preventiva informazione data all’assemblea condominiale sul fatto che la/le società proposta/e per l’esecuzione dei lavori riconosca/ano all’amministratore un compenso.

Non è automatica, dunque, l’assimilazione rapporto economico impresa amministratore conflitto col condominio e quindi annullabilità del contratto.

La situazione andrebbe valutata caso per caso: come si è arrivati a scegliere quell’impresa?
Era l’offerta più conveniente?
Il guadagno dell’amministratore ha sacrificato il beneficio per il condominio?

Un giudizio concreto, come dice la Cassazione, che sfugge a generalizzazioni di sorta.

Una valutazione di opportunità, comunque, imporrebbe di evitare questo genere di commistioni che, per quanto in astratto non siano di per sé foriere di danno per il condominio, in concreto minano l’indipendenza del legale rappresentante sostanzialmente e formalmente, rischiando d’intaccar e la sua credibilità verso il mandante e esponendo la compagine in caso di conflitti durante l’esecuzione dei lavori ad una tutela inferiore.
E proprio qui, cioè nello svolgimento del rapporto, nella cura dell’interesse reale del condominio alla migliore esecuzione delle opere che può annidarsi il conflitto.
Rammentiamo, infine, che qualunque compenso dato all’amministratore per i lavori in esame non è detraibile, secondo l’interpretazione attuale e consolidata fornita alle norme dall’Agenzia delle Entrate.

ULTIMORA
Ci si sta attivando per presentare una richiesta di interpello all’Agenzia delle Entrate, finalizzata a veder riconosciuto come detraibile il compenso dell’amministratore, quale professionista all’interno della procedura atta all’ottenimento degli sgravi fiscali di cui al Superbonus 110%. Infatti, qualora l’amministratore agisca come professionista incaricato dal General Contractor risulterebbe essere anche il responsabile del trattamento dati nei confronti di questo, configurandosi perciò un contratto di mandato che, come tale, si presume a titolo oneroso. Vedremo cosa risponde l’AdE

Superbonus 110%, la guida aggiornata dell’Agenzia delle Entrate

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L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la guida al superbonus 110% aggiornata a febbraio 2021, contenente tutte le novità introdotte dalla legge di bilancio 2021 che ha prorogato l’ecobonus 110% fino al 30 giugno 2022.

La legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 30 dicembre 2020) ha prorogato il Superbonus al 30 giugno 2022 (e, in alcuni casi, al 31 dicembre 2022 o al 30 giugno 2023).

Altra importante novità, introdotta dal decreto Rilancio, è la possibilità di optare, in sostituzione della fruizione diretta della detrazione, per un contributo anticipato sotto forma di sconto dai fornitori dei beni o servizi (sconto in fattura) o, in alternativa, per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante.

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