Condominio: divieto di animali domestici illegittimo anche se votato all’unanimità

Non si può impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.
E’ quanto stabilito dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Cagliari, con l’ordinanza del 22 luglio 2016. La vicenda in esame riguardava un condomino che aveva proposto ricorso ex art. 702 c.p.c. affinchè venisse dichiarato nullo e/o annullato e/o comunque dichiarato privo di efficacia, l’art. 7 del regolamento condominiale, che vietava l’accesso al Condominio agli animali domestici. Si costituiva in giudizio il Condominio, sostenendo la legittimità del divieto stabilito nel regolamento.
Il Tribunale adìto ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione di cui all’art. 7 del regolamento del condominio  impugnato in quanto, con la L. n. 220/2012, è stato introdotto il principio secondo cui: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”, applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla riforma del 2012.
Inoltre, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell’affermazione di quest’ultimo principio anche a livello europeo. Tali concetti sono contemplati in particolare, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13.11.1987, ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010, nonchè nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato dalla Legge 130/2008, che all’articolo 13, prevede che l’Unione e gli Stati membri “tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Secondo le prime interpretazioni, “occorreva che il divieto di accesso  e mantenimento degli animali domestici negli appartamenti fosse previsto nel regolamento condominiale votato all’unanimità dei condomini, in quanto andava ad incidere e limitare, facoltà comprese nel diritto di proprietà dei singoli, ovvero, in caso di regolamenti predisposti dall’originario unico proprietario, che fossero richiamati negli atti di acquisto, costituendosi con essi servitù reciproche“.
In realtà – argomenta il giudice de quo – occorre considerare un’altra interpretazione della norma, poiché il divieto indicato nell’art. 1138 c.c. rappresenta l’espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione consegue la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. In effetti, le disposizioni contenute nei commi precedenti dell’art. 1138 c.c. stabiliscono regole circa l’adozione obbligatoria del regolamento ed al quorum necessario per la sua approvazione, facendo riferimento al c.d. regolamento assembleare, tuttavia, nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è indicata nella norma, in cui si parla genericamente di “regolamento di condominio”, e neppure nel comma contenente il divieto, in cui viene citato il “regolamento” senza altra specificazione. Dall’esame dell’art. 1138 c.c. e della norma contenente il divieto, non è possibile individuare a quale tipo di regolamento si faccia riferimento, per cui appare riduttivo applicare tale divieto al solo regolamento di tipo c.d. assembleare, ma va estesa a tutti i regolamenti di condominio, anche se approvati all’unanimità“.
Pertanto, il Tribunale adito ha concluso sostenendo che “la norma in esame non è strettamente connessa alle sole ipotesi di regolamento assembleare, ma costituisce un principio generale, valido per qualsiasi regolamento, per cui ha accolto la domanda proposta, dichiarando nullo l’art. 7 del regolamento del condominio“.

Morosità: ecco come e quando difenderla!

Quando va difesa la morosità? “Alcune delle norme più efficaci della recente legge di riforma (220/2012) sono sostanzialmente dedicate a scongiurare il rischio per il condominio di trovarsi in difficoltà a causa della presenza di diversi condòmini morosi: si può anzi dire che in questo contesto il legislatore è intervenuto in modo appropriato, mentre molto peggio ha fatto nel regolare altri aspetti della vita condominiale, tipo il recupero crediti nei confronti del condominio da parte di terzi.
L’attività di controllo sullo stato dei pagamenti da parte dei condòmini può essere effettuata anzitutto dai maggiori interessati e cioè proprio gli stessi condòmini: l’articolo 1130 Codice civile, in particolare, prevede, nella sua nuova versione, per l’amministratore “l’obbligo di fornire al condòmino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”.
Sempre l’articolo 1130 Codice civile, inoltre, ha introdotto (con la legge di riforma) “l’obbligo per l’amministratore di redigere annualmente il rendiconto condominiale della gestione: ovverosia un documento ufficiale decisamente più articolato di quanto accadeva in precedenza, il che dovrebbe permettere ai condòmini un maggior controllo, visto anche che la norma in questione prevede sia che i dati (contenuti nel rendiconto) debbano essere espressi chiaramente e “in modo da consentirne l’immediata verifica”, e sia la possibilità per l’assemblea condominiale un revisore che verifichi la contabilità del condominio“.

Difesa della morosità

Un ulteriore strumento utilissimo per seguire con attenzione l’andamento delle questioni condominiali, viene dato ai condòmini con la possibilità (ex articolo 71 Disposizioni attuative codice civile) di richiedere, sempre tramite delibera assembleare, all’amministratore “di attivare un sito internet del condominio, che consenta agli aventi diritto di consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla delibera assembleare”.
Sul potere/dovere dell’amministratore di vigilare sui pagamenti puntuali delle spese condominiali, è intervenuta la legge 220/2012 che, all’articolo 1129 Codice civile, prevede che egli (a meno che l’assemblea non abbia deciso diversamente) debba necessariamente agire “per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio”. In questo modo, viene meno il rischio che l’amministratore eviti di riscuotere puntualmente i crediti per evitare di inimicarsi alcuni condòmini.
L’amministratore, inoltre, ai sensi dell’articolo 63 Disposizioni attuative codice civile, può ora sospendere il condòmino moroso per più di sei mesi dall’utilizzo dei servizi fruibili separatamente.
Si tratta, in realtà, di una norma spesso di non facile attuazione e che ha già dato adito a pronunce (dei tribunali) contrastanti, sopratutto quando a essere sospesi sono servizi essenziali quali riscaldamento e fornitura acqua. In questi casi i giudici (vedi ad esempio Tribunale Milano, ruolo generale 72656/2013) a volte ravvisano nella sospensione del servizio un attività vietata in quanto pone a repentaglio diritti fondamentali della persona, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute”.
A tale motivazione del Tribunale milanese, si potrebbe comunque obbiettare che spesso è proprio la morosità persistente di alcuni condòmini a mettere a repentaglio i diritti fondamentali degli altri (condòmini), come accade quando il condominio si trovi in difficoltà, e con il rischio di vedersi sospendere il servizio per tutto lo stabile da parte dell’ente fornitore, proprio a causa dei mancati pagamenti.

Difesa della morosità: quando la situazione diventa grave

All’amministratore in ogni caso, per non correre rischi personali anche di carattere penale, converrà agire sospendendo i servizi al condòmino solo nei casi di morosità grave ed acclarata e avendo anche magari cura di rivolgersi prudentemente prima al tribunale chiedendo di essere autorizzato in tal senso.
La legge 220/2012 ha inoltre previsto, per scoraggiare la morosità dei condòmini, l’obbligo per i creditori terzi di agire (previo elenco che deve obbligatoriamente essere fornito dall’amministratore) prima appunto contro i còndomini morosi e poi contro gli altri: sulla efficacia di tale intervento legislativo, soprattutto per quanto riguarda la possibilità per i terzi di effettivo recupero del credito, è tuttavia lecito mantenere più di un dubbio.
Vale poi ancora la pena di ricordare l’istituzione (articolo 1135 Codice civile n. 4) dell’obbligo di costituire “un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori” per quanto riguarda le opere di manutenzione straordinaria, ad evitare evidentemente che il condominio si indebiti ordinando dei lavori senza poi aver la possibilità di fare fronte all’impegno preso. 
Da ultimo, anche l’aver reso obbligatorio l’istituzione di un conto corrente “dedicato” al condominio dove devono transitare tutti i movimenti in entrata e uscita che lo riguardano, dovrebbe servire a fare chiarezza sulla buona amministrazione del condominio da parte dell’amministratore“.

Problematiche relative alla revisione delle tabelle millesimali

La revisione delle tabelle millesimali a maggioranza non cambia i criteri di stima.

L’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del codice civile, infatti, stabilisce che, in linea di principio, la rettifica o la modifica delle tabelle millesimali può essere fatta soltanto all’unanimità.

Questa regola, ritenuta inderogabile dal successivo art. 72, presenta due eccezioni:
– “quando risulta che i valori millesimali sono conseguenza di un errore“;
– “quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, risulta alterato per più di un quinto il valore proporzionale di almeno una unità immobiliare“.
Tuttavia, è necessario comprendere il significato tecnico di tale norma.

Revisione delle tabelle millesimali: la norma

Infatti, confondere il concetto di revisione delle tabelle millesimali in seguito ad un errore o una modifica con il redigerle ex novo, non è affatto raro.

Proprio guardando bene all’incipit dell’art. 69 possiamo comprendere la necessità di come l’attività di rettifica e di revisione indicati ai nn. 1) e 2) della norma debba risultare diversa poiché in difetto si andrebbe ad annullare la ratio che vuole l’unanimità per la modificazione in tutti gli altri casi.
L’attività tecnico-peritale di rettifica delle tabelle da deliberarsi a maggioranza deve, dunque, limitarsi alla mera individuazione dell’errore ed alla sua correzione, senza, per questo, mettere mano alla struttura di base delle stesse tabelle, ovvero, senza occuparsi del rilievo delle unità coinvolte e senza rivedere i coefficienti di riduzione che il tecnico del tempo ha ritenuto di adottare.
Quella di revisione a seguito di modificazione, dovrà tenere conto soltanto di quanto determini la modificazione stessa in termini di incidenza sull’elemento oggettivo prima e sulla superficie o volume convenzionale dopo, della sola unità interessata dalla modificazione, per poi ristabilire i rapporti di proporzione fra tutte le unità facenti parte del condominio, senza per questo intervenire sulla stima delle restanti unità o sulla valutazione dei coefficienti di riduzione da applicarsi, dovendosi rifare necessariamente a quanto ritenuto di dover applicare dal tecnico originario.
Il comma di chiusura prevede come le regole di rettifica e modificazione a maggioranza siano applicabili per la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte sia in applicazione delle criteri di legge che convenzionali“.

Ciò rafforza la necessità di limitare “l’attività peritale”  alla correzione senza dover per forza entrare nei merito dei criteri di stima adottati dal tecnico che magari, a sua volta, avrebbe potuto scegliere questi in maniera del tutto convenzionale. Ma è proprio il criterio convenzionale che richiede una nuova unanimità affinché venga modificato e che suggerisce le considerazioni fatte finora.

Modifica delle tabelle millesimali: la revisione tecnica

Per quanto riguarda le tabelle convenzionali che stabiliscono, per esempio, “la ripartizione delle spese di manutenzione delle scale esclusivamente in base alla misura proporzionale all’altezza dei piani, si porcederà a rettifica della tabella perché, ad esempio, per errore non è stata compresa l’unità dell’ultimo piano o alla modificazione per sopraggiunta sopraelevazione, senza, però, che si metta mano al criterio stesso di ripartizione che resterà per il cento per cento sempre proporzionale all’altezza dei piani, continuando così a derogare al principio fissato dall’art. 1124 c.c., atteso che per tale ultima modificazione si renderebbe necessaria la sottoscrizione di una nuova convezione“.
Occorre però rilevare una circostanza sfuggita al Legislatore: “il tecnico incaricato a maggioranza di revisionare le tabelle per errore o modificazione per alterazione superiore ad un quinto del valore anche per una sola unità immobiliare, ha l’imprescindibile necessità di acquisire agli atti del suo lavoro la relazione accompagnatoria delle tabelle originali redatta dal collega del tempo. Purtroppo, questa relazione è spesso assente al fascicolo condominiale e questo determina l’impossibilità tecnica a procedersi con la perizia.
In questi casi, purtroppo molto frequenti, spetterà all’assemblea decidere di assumersi il rischio di deliberare la redazione ex novo delle tabelle anche senza unanimità, sperando che dalla relazione del tecnico emerga chiaramente un precedente errore o la necessaria modificazione per alterazione per più di un quinto del valore anche di una sola unità, senza per questo evitare in assoluto il richio che un Giudice dichiari comunque nulla la delibera per mancanza di unanimità dei consensi“.

L’ultimo tratto di scale che conduce al terrazzo di proprietà esclusiva non può essere chiuso dal singolo condomino

Lo ribadisce l’ex articolo 1117 del Codice Civile: “le rampe di scale costituiscono strumento indispensabile per fruire della copertura dell’edificio”.
Un singolo condomino, proprietario del terrazzo situato all’ultimo piano di un condominio, non può chiudere con una porta all’altezza del pianerottolo l’ultimo tratto di scale, anche e soprattutto se questo non conduce soltanto ai locali di sua esclusiva proprietà. Ciò per via di quanto stabilito dall’ex articolo 1117 Cc secondo il quale: “le strutture essenziali dell’edificio come le scale appartengano a tutti per quanto poste a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile: insomma, tutte le rampe sono condominiali in assenza di titolo contrario”. Questo è quanto emerge dalla sentenza 4664/16, pubblicata il 9 marzo dalla sesta sezione civile della Cassazione.

Presunzione fondata

In questo modo, viene confermata la sentenza d’appello che aveva rovesciato la precedente decisione del Tribunale. Nella fattispecie, la prima rampa di scale è comune ad entrambe le proprietà: “serve per accedere al terrazzo di X all’altezza del pianerottolo, ma anche a quello di Y che si trova al piano di sopra. Sbaglia il giudice di prime cure a rigettare la domanda proposta da X contro la porta installata da Y per chiudere l’accesso alla seconda rampa: non coglie nel segno il rilievo che la parte non avrebbe provato titoli di proprietà sull’ultimo tratto di scale. In realtà negli atti di acquisto degli immobili di ciascuno dei due proprietari non si coglie alcun riferimento in grado di escludere che la seconda rampa rientri nella comproprietà di X: l’intera scala va ritenuta un bene condominiale ex articolo 1117 Cc. Non conta che l’ultima rampa serva soprattutto a mettere in comunicazione con il terrazzo di proprietà esclusiva di Y: la scala in sé serve a tutti i condomini dello stabile come strumento indispensabile per esercitare il godimento della copertura dell’edificio benché non abbiano ordinariamente interesse a percorrere anche le rampe superiori. Al proprietario del terrazzo all’ultimo piano non resta che pagare le spese di giudizio più il contributo unificato aggiuntivo e rimuovere la porta”.

E’ valida la delibera per la quale si possono dividere le spese per millesimi in mancanza di tabelle approvate

Dividere le spese in millesimi anche in mancanza di tabelle millesimali e del regolamento? Da adesso si può. Non si tratta di un vizio di eccesso di potere in assenza di una motivazione circa l’affidamento dell’appalto alla ditta cui sono stati affidati i lavori e le cui spese, per l’appunto, sono state ripartite per millesimi, se a scegliere quella determinata ditta è stata proprio l’assemblea. Pertanto, come evidenziato dalla sentenza 73/2016 della seconda sezione civile del Tribunale di Taranto, il ricorso fatto da un condomino che ha impugnato una delibera condominiale, che aveva approvato un preventivo di spesa per dei lavori straordinari di manutenzione, a suo dire non molto vantaggiosi, va rigettato.

La Sentenza

Il condomino in questione, fra le altre cose, ha affermato “l’incompetenza dell’assemblea nella decisione in esame”. In poche parole, partendo proprio dalla questione dei millesimi, il Tribunale di Taranto ribadisce che: “La preesistenza di tabelle millesimali non è necessaria per il funzionamento e la gestione del condominio, non solo ai fini della ripartizione delle spese, ma neppure per la costituzione delle assemblee e la validità delle deliberazioni. La formazione delle tabelle millesimali nonché la loro modifica, non necessita di forma scritta ad substantiam ed è desumibile anche da facta concludentia, quale il costante pagamento per più anni delle quote millesimali secondo criteri prestabiliti, invece dalla formale approvazione, fatta salva la possibilità del singolo condomino di impugnare la ripartizione delle spese quando questa non rispetti i criteri dettati dalla legge, per essere divergenti il valore della quota considerato ai fini della spesa e quello reale del bene in proprietà esclusiva”.

Il Caso

Per quanto riguarda invece l’affidamento dei lavori non si può accusare l’assemblea di eccesso di potere solo perché questa non aveva fornito la motivazione sulla scelta della ditta che ha successivamente eseguito i lavori consistenti in frontalini, fioriere e muretti dei parapetti. In fondo, si tratta di elementi strutturali che conferiscono un’identità estetica al fabbricato e alla sua facciata e che incidono su entità condominiali: pertanto la relativa spesa va deliberata dall’assemblea. In tal proposito, la Suprema corte ha affermato che: “l’assemblea può liberamente compiere le sue scelte operative e devono ritenersi tassative le limitazioni poste dalla legge, talché, ove esercitasse un sindacato di controllo sulle valutazioni e determinazioni dell’assise, il giudice finirebbe con il sostituirsi alla volontà dei partecipanti al condominio senza nessuna previsione normativa che ve lo legittimi”. I ricorsi presentati dal condomino vanno pertanto rigettati.

Condominio parziale: ecco cosa accade quando il cancello è usato solo da alcuni

Le spese di manutenzione di un cancello devono essere ripartite solo tra i condomini (condominio parziale) comproprietari dell’area alla quale dà accesso il cancello stesso.

Questo è quanto ha ribadito la Cassazione civile (sentenza 4127/2016) nel corso di una decisione riguardante una causa di impugnazione assembleare di una delibera precedentemente emessa che aveva assegnato ai soli condomini comproprietari dell’area del cortile, le spese di manutenzione del cancello. In pratica, l’amministratore di condominio aveva deciso di ripartire le spese sulla base dell’esistenza di un “condominio parziale”, ovvero di alcuni beni che, a causa della propria struttura funzionale, possono essere utilizzati solo da alcuni condomini e non da tutti.
In poche parole, la Cassazione ha dichiarato legittima questa delibera poiché rispettosa di tutti quei principi espressi più volte dalla stessa Corte suprema.

La Sentenza

Nella fattispecie – osserva la Corte – si si deve ricordare che la natura condominiale (quindi non esclusiva) di un bene è accertata qualora il bene stesso sia destinato a servire non la proprietà di un solo condomino ma una parte del fabbricato (appunto il condominio parziale), riferibile ad un numero limitato di condòmini”.
Quindi, una volta appurato che il bene in questione (ovvero il cancello) serve alcuni e non tutti i condòmini, dovrà essere applicato il principio espresso dall’articolo 1123 del Codice civile: norma quest’ultima, che prevede che le spese, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, sono ripartite in base all’uso che ciascuno può farne”.
La Corte, nel prendere questa decisione, ha richiamato un principio per via del quale “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio in condominio, venendo meno in tal caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene”.

Il Caso

In questo modo, ovvero applicando questi principi di diritto, la Corte ha rilevato come, in questo caso, trattandosi di un cortile di proprietà solo di alcuni condòmini, ovvero di un condominio parziale, le spese riguardanti la manutenzione del cancello spettano solo ai comproprietari.

I comproprietari valgono per una sola «testa» ai fini del supercondominio

Un nostro lettore ci ha chiesto: “Amministro un supercondominio di 8 stabili per complessivi 120 enti, in quanto ogni edificio è costituito da 7 appartamenti ed otto cantine, per un totale di 56 appartamenti e 64 cantine. 51 appartamenti fruiscono di una cantina ciascuno, 4 appartamenti ne hanno 8, 1 appartamento è di proprietà dell’Ater unitamente a 5 cantine distribuite in 4 stabili.
Essendo quasi tutti gli appartamenti di proprietà di 2 o più persone, superando ampiamente il numero di 100, chiedo se a tale casistica vada applicato quanto previsto dal comma 3 art. 67 delle “Disposizioni di attuazione del codice civile”.”.

Conta il numero delle teste, non quello delle unità Immobiliari

Ecco la soluzione più adatta al suo problema: “Ciò che rileva al fine del conteggio del numero dei partecipanti al condominio è il numero delle così dette “teste” e non il numero delle unità immobiliari. Qualora una unità immobiliare appartenga a più persone, esse, ai fini del conteggio dei “partecipanti” al condominio, vengono considerate come “uno”. Se una persona è proprietaria di più unità immobiliari nello stesso condominio (o supercondominio come nel suo caso), essa verrà conteggiata come “uno”. Pertanto, se ho bene compreso, nel suo caso vi sono 56 partecipanti al condominio e, quindi, non trova applicazione l’articolo 67 commi III e IV delle disposizioni di attuazione del codice civile che prevedono una speciale forma di rappresentanza all’assemblea del supercondominio.

Se l’amministratore interno non emette fattura

Tra gli 8 proprietari di un condominio, uno è amministratore interno. Poniamo caso che il compenso fissato dall’assemblea sia di € 500,00 che vengono detratte dalle sue spese condominiali personali (quindi se le sue ammontassero a circa € 1800,00, verrebbe a pagare € 1300,00), come ci si comporta nei confronti del fisco? Si è in regola senza fattura, o è necessario emetterla?

La legge

La risposta a questa domanda è: “Dipende”. Se il condominio ha un codice fiscale, va necessariamente presentato il modello Cu (almeno per quanto riguarda le spese dovute nei confronti dell’amministratore, che sua volta dovrà presentare il quadro AC). Ovviamente la prima cosa da fare è mettersi in regola con l’anno fiscale appena trascorso, per quanto riguarda invece gli anni pregressi, per quanto la posizione possa o no essere regolarizzata, il rischio di sanzioni e interessi rimane comunque molto alto.
Se invece il condominio non avesse ancora richiesto il codice fiscale, deve affrettarsi a farlo immediatamente, in modo tale da poter ottenere fatture dai fornitori, oppure operare la ritenuta d’acconto del 4% sul compenso dell’amministratore. In questo caso, l’amministratore, visto che per lui si tratta solo di una collaborazione occasionale, è tenuto ad indicarla come tale nella propria dichiarazione dei redditi.
Il suggerimento comunque è quello di ottenere prima il codice fiscale condominiale e solo dopo provvedere a regolarizzare il pagamento e la ritenuta d’acconto per l’amministratore. In caso l’Agenzia delle Entrate si accorge dei “non pagamenti” pregressi (è difficile se il condominio non aveva il codice fiscale) scattano immediatamente sanzioni e interessi.

Le morosità nel condominio

Visto il continuo aumentare delle insolvenze da parte dei condomini, la questione della morosità in condominio è stata una volta e per tutte affrontata decisivamente dalla legge 220/2012 che di fatto ha conferito più poteri e responsabilità all’amministratore di condominio. Quest’ultimo, come stabilisce l’articolo 129 del Codice civilesalvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”. Quindi, ponendo il caso in cui un condomino non paga le spese comuni, tra cui quelle riguardanti le quote per il riscaldamento centralizzato, l’amministratore è obbligato, dalla legge, ad intervenire per via giudiziaria contro il condomino moroso. Per prima cosa può decidere se inviare al diretto interessato una lettera di sollecito per poi, senza che vi sia la necessaria autorizzazione dell’assemblea, ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Spetterà poi al giudice, sulla base dei rendiconti presentati dall’amministratore, obbligare il condomino moroso a saldare i propri debiti entro e non oltre un determinato lasso di tempo, pena il pignoramento dei propri beni.

L’eventuale copertura

Visto però che le numerose pratiche che solitamente affollano gli uffici del tribunale rendono l’iter giudiziario lungo e non esattamente agevole, in attesa di recuperare quanto dovuto dal condominio moroso, l’amministratore ha la facoltà di chiedere ai condomini in regola con i pagamenti di coprire la parte mancante. In questo modo, ognuno andrebbe a coprire con una piccola percentuale, calcolata ai millesimi di proprietà, con l’esclusione del moroso, la spesa mancante. Certo, si tratta di un meccanismo poco, o per niente, giusto, ma necessario per evitare l’interruzione totale del servizio, come previsto dalla clausole inserite nei contratti di fornitura. In ogni caso, secondo quanto previsto dall’articolo 1565 del Codice Civile, è necessario che l’amministratore avverta i condomini di tale decisione con largo anticipo.
In effetti, pensandoci bene, al fornitore importa davvero poco se qualche condomino è o meno in regola con i pagamenti. Il suo interlocutore, di fatto, è l’amministratore che, come previsto dall’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, “è peraltro tenuto a trasmettere ai creditori, che ne avanzino richiesta, i nominativi e le quote di debito dei morosi, affinché possano agire nei confronti di chi non ha pagato e, solo se il tentativo fallisce, verso l’intero condominio. Un’azione che si può definire “surrogatoria”, nel senso che si realizza soltanto in caso di mancato intervento dell’amministratore”.
Quest’ultima misura, però, se da un lato mira a tutelare i condomini virtuosi e sempre in regola con i pagamenti, dall’altro rende complicato il recuperare quanto dovuto dal condomino moroso. E così facendo, inoltre, nonostante le buone intenzioni della norma appena introdotta, nella maggior parte dei casi dopo il primo tentativo di recupero crediti, si finisce sempre con l’agire nei confronti dell’intero condominio.

La «cassa comune»

Proprio per questo motivo, all’interno di alcuni stabili, si è deciso di istituire uno speciale fondo cassa dal quale poter attingere nei casi in cui si presenti una necessità urgente come ad esempio questa appena citata.
Per la giurisprudenza (Cassazione 3463/1975), riguardo la costituzione di un fondo cassa utile a sopperire agli inadempimenti dei condomini morosi, “non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condòmini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi; invece, nell’ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme, come nel caso di aggressione in executivis da parte di creditori del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio, può ritenersi consentita una deliberazione assembleare, la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo cassa ad hoc, tendente a evitare danni ben più gravi nei confronti dei condòmini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva, operante ab externo”.
Tale principio può valere anche dopo l’entrata in vigore dell’appena rinnovato articolo 63 del Codice civile, secondo il quale “i creditori possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.

La sospensione

Inoltre, sempre il rinnovato articolo 63, prevede che “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”. Questo significa che se per esempio si intende bloccare l’erogazione del riscaldamento nell’appartamento del condomino moroso, lo si può fare, sempre a condizione che l’impianto di riscaldamento lo consenta. Tuttavia, ancora adesso, nonostante l’inserimento della nuova norma, quella della sospensione del servizio rimane una questione molto dibattuta, anche perché i giudici continuano ad esprimersi sempre in modo differente.

Solidarietà ed eredi

Inoltre, nel momento in cui il condomino moroso cede il suo immobile, il nuovo proprietario “il nuovo proprietario resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi relativi all’anno in corso e agli anni precedenti, e, comunque, per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Invece, in caso di morte del condomino moroso, toccherà agli eredi sanare i suoi debiti “in proporzione alla quota d’eredità attribuita a ciascuno di loro o, in mancanza di testamento, secondo le regole della successione legittima”.

Stop all’ingiunzione del condominio se i lavori coinvolgono i balconi senza placet del proprietario

Stop all’ingiunzione del condominio per recuperare le spese dei lavori se l’assemblea ha disposto la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva senza chiedere l’autorizzazione al singolo condomino interessato. E ciò perché in sede di opposizione al provvedimento monitorio ben può il giudice rilevare d’ufficio la nullità della delibera che è posta a fondamento della richiesta di provvedimento monitorio laddove la validità della decisione rappresenta comunque un elemento costitutivo della domanda. È quanto emerge dalla sentenza 305/16, pubblicata il 12 gennaio dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Applicazione controversa
Accolto il ricorso del condomino che non risiede nell’edificio e non ha potuto partecipare all’assemblea nella quale si decide di realizzare lavori straordinari (in seguito l’interessato vota contro l’approvazione del consuntivo). Il proprietario esclusivo paga gli oneri relativi ai lavori sulle parti comuni ma non quelli per l’intervento sui balconi che egli non ha autorizzato. Sbaglia il Tribunale secondo cui cadrebbe in errore il giudice di pace quando accerta la nullità della delibera di approvazione delle spese anche se ai soli fini dell’accoglimento dell’opposizione. E ciò perché, sostiene la sentenza d’appello, manca ogni nesso processuale fra il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e quello di impugnazione della delibera posta a base del ricorso monitorio richiesto dal condominio (quanto ad esempio a continenza, pregiudizialità necessaria e così via). In realtà si controverte sull’applicazione di un atto, vale a dire la delibera dell’assemblea, che costituisce il fondamento in base al quale il condominio ha ottenuto il provvedimento monitorio. E la decisione non può non ritenersi nulla laddove l’assemblea vota a maggioranza i lavori di manutenzione straordinaria che coinvolgono anche i balconi di proprietà esclusiva del singolo condomino senza che quest’ultimo sia messo al corrente. Ecco allora che il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi di legittimità in materia, che dovranno dunque essere applicati dal giudice del rinvio.