Il condominio paga l’auto danneggiata anche se chi faceva manovra sa che il cancello è a rischio

Il condominio risarcisce i danni all’auto del singolo proprietario esclusivo cagionati dal cancello carrabile con chiusura automatica posto all’ingresso del fabbricato. E ciò perché l’ente di gestione risulta responsabile in base agli articoli 2051 e 2043 Cc per avere mantenuto in servizio un impianto a rischio, nonostante il pericolo di danni fosse raro: il sinistro, per quanto improbabile, si è comunque verificato. Non conta che a fare la manovra in cortile ci sia comunque un condomino, vale a dire una persona che vive nel palazzo e quindi ben conosce la chiusura asimmetrica del cancello: la struttura è automatizzata e risulta dunque soggetta alla direttiva europea macchine mentre il proprietario esclusivo di un appartamento nell’edificio deve in ogni caso essere considerato un consumatore da tutelare. È quanto emerge dalla sentenza 316/15, pubblicata dalla sezione civile del giudice di pace di Trento (magistrato onorario Antonio Orpello).

Tutela inadeguata
L’ente di gestione paga al condomino 2.800 euro di danni per l’auto rimasta schiacciata nel cancello durante la retromarcia. Il punto è che la chiusura risulta asimmetrica perché la struttura presenta un’anta aperta e un’altra chiusa e lascia supporre erroneamente che sia aperta o chiusa laddove invece è ancora in movimento. Anche le fotocellule non hanno tutelato in modo adeguato il veicolo in transito. È allora inutile la delibera con cui l’assemblea decide di non indennizzare il condomino proprietario dell’auto: la decisione non impedisce certo al danneggiato di agire per far valere il diritto al risarcimento entro l’ordinario termine di prescrizione. In base al codice del consumo il singolo condominio ha diritto a un «elevato livello di tutela», mentre non risulta abnorme la condotta dell’automobilista che si risolve in una consentita manovra di retromarcia. Il fatto che al momento del sinistro ci sia una persona che conosce il cancello a rischio «denota ancor più – scrive il giudice – il potenziale pericolo tanto più per chi è del tutto estraneo allorché si ha una parziale visuale di esso». E il risarcimento sarebbe potuto essere più cospicuo se la parte avesse prodotto la fattura del carrozziere con il bonifico e foto più chiare sui danni patiti senza limitarsi alla valutazione di parte. L’assicurazione copre il condominio che paga le spese di giudizio.

Adeguamento dell’ascensore in base ai millesimi solo con delibera unanime

In assenza di un regolamento contrattuale o di approvazione all’unanimità dell’assemblea condominiale niente ripartizione solo per millesimi per le spese effettuate per abbassare di un piano l’ascensore. Nel caso di specie va infatti applicato l’art. 1124 Cc «che addossa sia la manutenzione sia la sostituzione delle scale (e degli ascensori) già esistenti ai (soli) proprietari delle unità immobiliari cui gli stessi servono, con ripartizione delle relative spese, per la metà, in ragione del valore delle singole unità e, per la restante metà, in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano del suolo». È quanto emerge dalla sentenza 6782/2015 della quinta sezione civile del Tribunale di Roma che ha accolto l’istanza di un condomino tesa ad annullare la delibera assembleare che, con voto contrario dell’attore, ha approvato la ripartizione delle spese in millesimi di proprietà per i lavori eseguiti per abbassare di un piano l’ascensore condominiale regolarizzando in tal modo l’impianto già presente. La sentenza, facendo riferimento anche alla giurisprudenza di legittimità (2833/1999, 5479/1991) spiega anche che differentemente, se si fosse trattato di un nuovo impianto, quindi della realizzazione ex novo dell’ascensore, avrebbe trovato applicazione l’art. 1123 Cc relativo alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino). Non conta l’eventuale prassi condominiale, per quanto asseverata. Corretto quindi annullare la delibera assembleare impugnata dal condomino contrario alla ripartizione votata.

Il nuovo quadro K nel modello 730 dell’amministratore

Una delle novità principali della bozza di modello 730/2016 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate riguarda proprio gli amministratori di condominio.

Con il modello 730/2016 viene infatti introdotto il nuovo quadro K che potrà essere utilizzato dagli amministratori di condominio, in luogo del quadro AC del modello UnicoPF, per comunicare all’Agenzia delle Entrate gli acquisti dell’anno ed i lavori edilizi detraibili al 50 per cento.

Con il quadro AC del modello UnicoPF l’amministratore di condominio:

  • comunica all’Agenzia delle Entrate gli importi annuali dei beni e servizi acquistati dal condominio nell’anno precedente, unitamente ai dati anagrafici dei fornitori del condominio medesimo;
  • comunica all’Agenzia delle Entrate i dati catastali dei condomini che sono stati interessati dagli interventi di recupero del patrimonio edilizio, le cui spese sono detraibili nella misura del 36/50% (con una ripartizione effettuata in base ai millesimi).

Qualora l’amministratore di condominio, negli anni passati, fosse stato esonerato dalla presentazione del proprio modello Unico, era prevista la possibilità di presentare solo il frontespizio della dichiarazione dei redditi, unitamente al quadro AC.

Dal 2016 questa presentazione potrà essere sostituita dalla compilazione del quadro K nel modello 730/2016.

Vediamo cosa cambia con la compilazione del nuovo quadro “K” del modello 730 denominato “Comunicazione dell’amministratore di condominio”. Ecco, in dettaglio, come è fatto il quadro K:

Sezione I: Dati identificativi del condominio (rigo K1);

Sezione II: dati catastali del condominio (intervento di recupero del patrimonio edilizio); dati catastali del condominio (rigo K2); domanda di accatastamento (rigo K3);

Sezione III: Dati relativi ai fornitori e agli acquisti di beni e servizi.

Le prime due sezioni sono dedicate ai dati identificativi del condominio e quelli catastali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (rigo K1), nonché quelli relativi alla domanda di accatastamento (rigo K3). La sezione terza è dedicata ai “dati relativi ai fornitori e agli acquisti di beni e servizi”. In questa sezione dovranno essere esposti, per ciascun fornitore o prestatore, il codice fiscale, la denominazione, il cognome, nome, data e luogo di nascita nel caso di sole persone fisiche (o solo lo stato estero nel caso di non residenti), nonché l’importo complessivo degli acquisti di beni e servizi. Il nuovo quadro offre la possibilità di un inserimento massimo di 6 fornitori superati i quali sarà necessario compilarne altri.

La novità introdotta dall’Agenzia delle Entrate non appare semplificativa degli adempimenti complessivamente gravanti sugli amministratori di condominio, che comunque continueranno, come per il passato, a comunicare pressoché gli stessi dati, sebbene con un altro modello dichiarativo. Occorrerà tuttavia aspettare ulteriori provvedimenti delle Entrate per vedere se la novità introdotta servirà a semplificare in concreto la compilazione del 770, come annunciato nel recente comunicato stampa dell’Agenzia stessa.

Sospensione di acqua, luce e gas a causa dei morosi

Chi paga rischia di non avere il servizio: il condomino puntuale nei pagamenti si potrebbe interrogare su quali rimedi esperire qualora si accorga che il condominio (a causa della morosità di altri condòmini) non paghi con regolarità le forniture essenziali (acqua luce e gas), con il rischio che le stesse vengano sospese dall’ente somministratore.

A tal proposito, è bene anzitutto ricordare che sussistono due differenti rapporti giuridici: uno che riguarda il terzo ed il condominio rappresentato (dall’amministratore) che hanno sottoscritto il contratto di fornitura, e un secondo che riguarda, viceversa il rapporto che lega tra loro i condomini ed il condominio.

Questa distinzione è essenziale per capire che i condomino “virtuoso” dovrà sempre muoversi nell’ambito di questo secondo rapporto, senza pensare di “scavalcare “ l’amministratore e rivolgersi egli stesso al somministratore: , o pagandogli direttamente la propria quota di fornitura, o con un ricorso al giudice che chieda la revoca della sospensione del servizio posta in essere dal fornitore.

Sul punto ha recentemente fatto chiarezza la Cassazione (sentenza 3636/2014) precisa che, pur non avendo il Condominio personalità giuridica, esso si pone nei confronti dei terzi “come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini attinenti alle parti comuni”, per le quali “l’amministratore assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini sia nella fase di assunzione degli obblighi verso terzi per la conservazione delle cose comuni, sia all’interno della collettività condominiale come unico referente dei pagamenti ad essa relativi”.

Conclude pertanto la Suprema Corte con la decisione in oggetto che “Il somministratore non ha alcun rapporto contrattuale con gli odierni resistenti, i quali fruiscono del servizio di erogazione dell’acqua in forza del contratto di erogazione stipulato dal Condominio”, e che pertanto “ il solo pagamento che costituisce corretto adempimento dell’obbligazione è quello proveniente dall’amministratore”.

In forza di tali princìpi, pertanto, il condòmino in regola con i pagamenti (come stabilito molto chiaramente da Tribunale di Alessandria, che ha respinto una richiesta in tal senso (ordinanza 17 luglio 2015) non potrà ricorrere ex art. 700 Cod. Proc. Civ. contro il provvedimento di sospensione disposto dall’ente erogatore sostenendo che tale provvedimento può essere applicato solo nei confronti dei condomini morosi. Il Tribunale di Alessandria, correttamente, infatti in questo caso aveva respinto la richiesta rilevando come per l’ente erogatore quello che conti sia esclusivamente l’inadempimento posto in essere dal Condominio, non potendosi certo pretendere che il fornitore si sobbarchi l’onere di individuare e colpire solo i condomini morosi.

Inoltre, come detto il condomino non potrebbe neppure tentare di evitare la sospensione delle forniture disposta nei confronti del condominio pagando direttamente la propria quota all’erogatore: pratica questa non consentita come precisato da cassazione 3636/2014 “… l’amministratore assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini sia all’interno della collettività condominiale come unico referente dei pagamenti ad essi relativi”, il che significa che “…non è idoneo ad estinguere il debito pro quota del singolo condomino, il pagamento diretto eseguito a mani del creditore del Condominio, salvo le volte in cui il creditore dell’ente di gestione non sia a sua volta munito di titolo esecutivo nei confronti del Condominio”.

Al condòmino, pertanto, una volta allarmato dal mancato pagamento delle varie bollette di fornitura, non resterà che muoversi in ambito condominiale, pretendendo anzitutto (come del resto ora previsto dalla legge con la fissazione di un termine perentorio di 6 mesi ) che l’amministratore persegua puntualmente i condomini morosi, e soprattutto chiedendo all’amministratore stesso, nel caso di conclamate e perduranti morosità, di rivolgersi al Tribunale chiedendo autorizzarsi il distacco dall’impianto (ad esempio relativo alla fornitura idrica) dei condomini cattivi pagatori: questo in quanto (come affermato da Tribunale Brescia che ha ritenuto – con ordinanza 2014/427 perfettamente accoglibile tale richiesta) “la morosità dei resistenti comporta l’insolvenza del Condominio verso gli enti erogatori dei servizi comuni e conseguentemente la concreta possibilità di interruzione dei servizi, sussistendo cosi il periculum in mora necessario a che una richiesta di provvedimento di urgenza venga accolta.

A tale ultimo proposito, si rileva come l’art. 63 disp.att.cod.civ. consente all’amministratore condominiale in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per più di un semestre di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.”

Il ricorso al Tribunale perché autorizzi un tale distacco, tuttavia, potrebbe essere consigliabile per l’amministratore onde evitare di esporsi ad eventuali azioni di richieste di risarcimento da parte di condomini che si vedano privati di un servizio essenziale quel fornitura acqua o riscaldamento.”

Ingiunzione al condomino moroso e rendiconto non approvato

Spesso i condomini affermano di non dovere pagare le proprie quote condominiali perché il rendiconto è sbagliato o è stato approvato irritualmente. Non sempre però tale eccezione è in grado di cogliere nel segno; anzi, in alcuni casi è pienamente superabile, se non temeraria.

A norma dell’articolo 1130 nr 3 Codice Civile l’amministratore è tenuto a riscuotere i contributi dovuti pro quota dai condomini al fine di erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e garantire l’esercizio dei servizi di rilevanza condominiale.

Per potere curare tale incombenza egli è tenuto, a monte, a rendere il conto del propria gestione, e cioè a presentare all’assemblea dei condomini il Rendiconto condominiale di cui all’articolo 1130 bis Codice civile. Questo documento contabile, il quale deve essere espresso in modo tale da consentire “ai più” la immediata verifica delle risultanze, deve contenere le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio.

Il Rendiconto, in particolare, deve comporsi di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.

Una volta approvato dall’Assemblea con le maggioranze prescritte dalla legge, l’Amministratore, per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi delle spese effettuate (cosiddette “pezze di appoggio”), potendo fare esplicito riferimento al relativo contenuto e/o al piano di riparto delle spese.

Anzi, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’Amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può’ ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, previo richiamo espresso di esso (cfr, articolo 63 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile.

Ciò tuttavia, in caso di contestazione del debito (e non solo) da parte del compartecipe “moroso”, non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e il giudizio di impugnazione della delibera assembleare di cui all’articolo 1137 codice civile.

L’assioma è stato recentemente ribadito dal Tribunale di Verona – adito quale giudice del gravame (avverso sentenza emessa dal Giudice di Pace) – con la pronuncia pubblicata in data 03 giugno 2015

Succedeva che un condòmino, al fine di contestare la pretesa economica contenuta in seno ad un provvedimento monitorio, chiedeva, incidentalmente, al Giudice di Pace di pronunciarsi sulla “asserita” invalidità della delibera assembleare ad essa presupposta,laddove aveva disposto l’approvazione del rendiconto.

In accoglimento della pretesa, l’Autorità giudiziaria di primo grado revocava il Decreto ingiuntivo e poneva nel nulla la statuizione assembleare.

La Sentenza, ritualmente impugnata dal condominio ricorrente, è stata poi riformata dal Giudice d’appello, spiegando il seguente iter argomentativo.

Giova ricordare che per costante orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento degli oneri condominiali, non è ammesso invocare la revoca del decreto sulla scorta dell’asserita invalidità della delibera assembleare (Cass., sez. 2, 8 agosto 2000, n. 10427; Cass., sez. 2, 24 agosto 2005, n. 17206; Cass., sez. 2, 31 gennaio 2008, n. 2305; Cass., sez. 2, 20 luglio 2010, n. 17014; argomenti in tal senso anche da Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26629 e, in motivazione, da Cass., sez. un., 27febbraio 2007, n. 4421).

Il contenuto delle difese che è in grado di opporre il condòmino “moroso” avverso al decreto ingiuntivo ricevuto da parte del Condomino creditore può riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non è in grado di estendersi alla nullità o annullabilità della delibera avente ad oggetto l’approvazione delle spese condominiali.

Questi ultimi vizi, che concernono un altro e differente atto giuridico, devono essere fatti valere in via separata con l’impugnazione di cui all’art. 1137 cod. civ..

In effetti, l’attualità del debito non è subordinata alla validità della delibera, ma solo alla sua perdurante efficacia.

Quindi, il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo deve rimanere confinato «all’accertamento dell’idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione e della persistenza o meno dell’obbligazione dedotta in giudizio (Cass. 8.8.2000 n. 10427 e 29.8. 1994 n. 7569)», in quanto: «il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere siano state impugnate». (Cass. SS.UU. 26629/2009).

Alla stregua di quanto sopra riportato: « …non avrebbe potuto l’opponente proporre dinanzi al giudice di pace la domanda di accertamento incidentale con efficacia di giudicato della nullità delle delibere assembleari asseritamente connesse al decreto ingiuntivo opposto e il giudice adito (cioè il Giudice di Pace), investito dell’impugnazione della sentenza di primo grado avrebbero dovuto dichiarare improponibile la domanda stessa, senza entrare nel merito della questione che essa poneva… ».

In conclusione, il Tribunale veronese ha, da una parte, riformato la sentenza di primo grado, stante il grossolano errore di diritto commesso dal Giudice e, dall’altra parte, ha condannato il condòmino opponente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Il condominio deve effettuare i lavori per bloccare le infiltrazioni dall’attico salvo ripartizione pro quota delle spese

Ente di gestione tenuto a intervenire per la responsabilità da custodia, ma l’esborso grava per un terzo sul proprietario esclusivo della terrazza e per il resto sugli altri immobili lungo la verticale

Spetta al condominio effettuare i lavori di riparazione per le infiltrazioni d’acqua dalla terrazza in uso esclusivo che non derivano da un fatto imputabile al proprietario esclusivo: per l’ente di gestione si configura infatti la responsabilità da custodia ex articolo 2051 Cc, mentre varranno soltanto in un secondo momento i criteri di ripartizione delle spese, che prevedono un terzo a carico del proprietario esclusivo e il resto sui condomini i cui immobili sono compresi nella proiezione verticale del manufatto. È quanto emerge dalla sentenza 25288/15, pubblicata il 16 dicembre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Diritti e conservazione
Bocciato il motivo di ricorso che lamenta la violazione dell’articolo 1126 Cc. I criteri di ripartizione delle spese necessarie ai lavori per i lastrici solari di uso esclusivo, osservano gli “ermellini”, non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza: l’amministratore risulta infatti tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti sulle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’articolo 1130 Cc. Quando il danno deriva dall’omessa manutenzione della terrazza, dunque, spetta al condominio in quanto custode ex articolo 2051 Cc rispondere dei danni derivati a uno dei proprietari esclusivi o a terzi. E ciò anche nell’ipotesi in cui le infiltrazioni d’acqua provengono dall’attico, un lastrico solare in uso esclusivo. A provvedere alla riparazione o alla ricostruzione deve essere l’amministratore, in quanto rappresentante di tutti i condomini tenuti a effettuare la manutenzione della terrazza, compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha comunque l’uso esclusivo. Soltanto dopo le spese saranno suddivise sulla base del criterio ex articolo 1126 Cc.

Delibera efficace
È accolto solo uno dei motivi di ricorso, relativo a una questione che risale a prima della formazione del condominio. Gli “ermellini” formulano anche un altro principio di diritto, stavolta su questioni processuali: quando il condominio fa acquiescenza rispetto a una sentenza, il potere del singolo condomino di impugnare in modo autonomo non vanifica certo l’eventuale delibera della maggioranza che abbia deciso in tal senso. E ciò perché la decisione dell’assemblea vale a esonerare l’amministratore dal dovere di impugnare, se egli ritenga di procedere in tal senso, sollevandolo nel contempo dalle relative responsabilità verso i condomini. Parola al giudice del rinvio per la questione ancora aperta.

Divulgazione frasi ingiuriose

Attenzione a non riportare frasi ingiuriose nelle lettere inviate ai condomini,anche se riproducono fedelmente ciò che è stato trascritto nel verbale di assemblea.

Tale divulgazione, infatti, non inerisce al diritto – dovere di informare i condomini sull’andamento dell’assemblea ma implica il reato di diffamazione (articolo 595 codice penale).

Così si è espressa la Corte di Cassazione (sezione penale, sentenza n. 44387 del 2015) che ha confermato la condanna dell’amministratore, per il citato reato, per aver inviato una lettera a tutti i condomini in cui riportava le frasi ingiuriose espresse, nel corso di un’assemblea, da un geometra contro due condomini dicendogli che «non capivano niente ed erano malfattori, gentaglia e delinquenti» (uno dei due condòmini offeso era il presidente dell’assemblea che aveva contestato il bilancio predisposto dall’amministratore che si era, successivamente, dimesso).

L’amministratore, a sua difesa, richiamava a giustificazione l’articolo 51 codice penale («esercizio di un diritto o adempimento di un dovere»), per cui egli aveva il diritto – dovere di informare i condomini sulle vicende relative all’assemblea e su tutte le vicende in generale.

Sosteneva che la lettera non era finalizzata a offendere la reputazione dei due condomini – in quanto era indirizzata ai soli diretti interessati – e che le espressioni non erano a lui imputabili (essendosi limitato a riportarle).

Non sono stati dello stesso avviso i giudici di legittimità i quali hanno ritenuto che in ordine all’articolo 51 codice penale «la libertà di riferire i fatti, ed anzi, il dovere quale amministratore di informare i condomini (…) doveva accordarsi con l’interesse della persona offesa a che non venisse amplificata l’espressione ingiuriosa asseritamente pronunciata da un terzo ai suoi danni» non sussistendo alcun interesse generale dei condòmini a conoscere le espressioni ingiuriose pronunciate durante l’assemblea.

In pratica l’unico interesse effettivo che andava divulgato a tutti poteva essere quello di far conoscere le dichiarazioni del geometra non avendo utilità alcuna, per i condomini, apprendere l’esistenza di offese nei confronti di alcuni di essi.

Nei fatti, la Cassazione ha ribadito che tale divulgazione (accertata dalle lettere inviate a tutti i condomini e non spedite solo ai due soggetti interessati e contenenti anche una serie di ulteriori comunicazioni di interesse condominiale) faceva comodo all’amministratore perché costituiva un canale di trasmissione con il quale le ingiurie potevano diffondersi il più possibile allo scopo di offendere la reputazione dei due condomini.

Non è la prima volta che un giudice nel valutare il comportamento dell’amministratore ha configurato il reato di diffamazione quando, per esempio, affigge nell’atrio del condominio i nomi dei condomini morosi . Il comportamento divulgativo ha trovato rilievo anche sotto il profilo della violazione del diritto alla privacy.

La disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, prescrive che il trattamento dei dati personali deve avvenire nell’osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti.

la Cassazione, nella fattispecie in esame, ha applicato tali principi della proporzionalità delle condotte in funzione dello scopo da perseguire (divulgare i fatti a scopo informativo e non divulgare le offese non pertinenti allo scopo informativo).

L’Amministratore e la comunicazione dei dati dei condomini

Il ruolo dell’amministratore di condominio è profondamente cambiato a seguito della riforma del 2012.

L’approvazione della legge 220 del 2012 ha comportato un giro di vite sulla professione, con la creazione di obblighi e doveri ai quali il professionista della gestione condominiale deve sottostare.

Obblighi preesistenti, inoltre, sono stati implementati nel tentativo di qualificare e responsabilizzare la figura dell’amministratore.

Tra questi citati doveri figurano quelli relativi all’informativa condominiale.

In particolare, quindi, esistono delle situazioni nelle quali l’amministratore ha l’obbligo di comunicare informazioni relative al condominio e ai comproprietari, ai condòmini stessi e addirittura ambiti in cui la legge impone doveri di informativa verso i terzi.

Per quanto riguarda le informazioni verso i terzi, l’amministratore con il mandato di gestione dello stabile assume dei precisi oneri di comunicazione di dati alla pubblica amministrazione e verso i creditori condominiali.

In particolare egli ha l’onere di comunicare all’agenzia delle entrate, a seguito di sua espressa richiesta, “dati, notizie e documenti relativi alla gestione condominiale” (si veda Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 29 settembre 1973) e devono altresì comunicare annualmente all’anagrafe tributaria “l’ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio e i dati identificativi dei relativi fornitori” (Decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 29 settembre 1973).

In caso di lavori edili all’interno dello stabile, poi, l’amministratore assume l’obbligo di gestire per il condominio la direzione degli stessi e quindi obblighi di informativa dei lavoratori sui “rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all’attività di impresa in generale” (articolo 36 del Decreto Legislativo 81 del 2008).

L’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, poi, ha introdotto un obbligo di informativa verso i creditori del condominio stabilendo come egli sia “tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”.

A semplice richiesta di un creditore, quindi, egli dovrà provvedere alla comunicazione di un elenco dei condomini in debito con il pagamento delle spese di gestione, di modo che questi si soddisfi con priorità verso gli stessi.

Esistono, parallelamente agli obblighi di informativa verso i terzi, svariati doveri di informazione ai condòmini.

Il principio è, chiaramente, quello in ragione del quale i comproprietari debbano essere informati di tutto quello che riguarda la vita condominiale, ma esistono delle eccezioni.

L’articolo 1131 del Codice Civile infatti, disciplina i poteri di rappresentanza in giudizio dell’amministratore di condominio, stabilendo come egli possa “agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi” nei limiti delle “attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea”.

L’articolo prevede anche un obbligo per l’amministratore di informare l’assemblea senza indugio in caso il condominio venga citato in giudizio.

E’ il caso però di fare notare come la legge preveda specificamente come detto obbligo di informativa sussista solamente ove la questione verta su una materia che esula dalle attribuzioni dell’amministratore.

Di conseguenza – al contrario – non sussiste nessun obbligo di informativa se la citazione o il provvedimento ricevuto rientrano tra le attribuzioni stabilite.

Esistono, poi, obblighi di informativa sia verso i condomini che verso i terzi nell’ambito della tutela della privacy.

In caso di apposizione di telecamere di sicurezza, infatti, il condominio assume il ruolo di titolare del trattamento dei dati personali e deve fornire una informativa alle persone fisiche che accedano allo stabile.

Questa informativa deve essere predisposta dall’amministratore, che assume la veste del responsabile del trattamento ai sensi degli articoli 4 e 29 del Codice della Privacy.

L’amministratore deve quindi informare i soggetti che entrano nel palazzo della presenza delle telecamere di sorveglianza e della modalità di trattamento dei dati ripresi dalle stesse.

E’ chiaro quindi come il panorama normativo preveda in capo all’amministratore svariati obblighi di comunicazione di dati, o informativa, sia all’interno che all’esterno dello stabile.

In caso di violazione dei predetti doveri è chiaro come il mandatario possa essere ritenuto responsabile per i danni causati al condominio e addirittura, in certi casi, andare incontro alla revoca (ad esempio in caso di mancata informativa della citazione ricevuta dal condominio ai sensi dell’articolo 1131 del Codice Civile).

E’ chiaro come per l’amministratore non sia affatto facile adempiere a tutti gli obblighi di informativa allo stesso incombenti (che si sommano a tutti gli ulteriori oneri e doveri relativi alla gestione dello stabile).

Ai fini di una più funzionale e trasparente gestione del condominio, nonché della facilitazione della professione dell’amministratore, si può ipotizzare una soluzione: l’articolo 71 ter delle disposizioni di attuazione del Codice Civile consente, su richiesta dell’assemblea e a spese del condominio, di attivare un sito internet dello stabile che permetta agli aventi diritto di estrarre e consultare in via informatica le delibere assembleari.

Si potrebbe, quindi, ipotizzare l’utilizzo degli strumenti informatici per fornire alcune delle informative previste per legge (ad esempio quelle relative al Codice della Privacy).

Stop alla delibera se mancano i nomi dei condomini favorevoli e contrari con i relativi millesimi

Non basta che sussista il quorum per la decisione adottata: nel verbale devono essere indicati per nome assenzienti e dissenzienti nelle votazioni rispetto ai singoli punti dell’ordine del giorno

Va annullata la delibera condominiale nel caso in cui non siano individuati, e riprodotti nel relativo verbale, i nomi dei condomini assenzienti e dissenzienti, e i valori delle rispettive quote condominiali. Come infatti ha evidenziato la Corte di legittimità «non è conforme alle disposizioni dettate in tema di condominio negli edifici concernenti l’assemblea e, specificamente, la formazione degli atti nel collegio, la delibera per la cui approvazione, in occasione delle singole votazioni, l’assemblea si limita a prendere atto del risultato della votazione, sulla base del numero dei votanti, e omette di individuare nominativamente i singoli condomini favorevoli o contrari e le loro quote millesimali». A chiarirlo è la sentenza 3886/15 della tredicesima sezione civile del tribunale di Milano che ha annullato una delibera impugnata da alcuni condomini ribadendo, se ce ne fosse bisogno, la differenza tra nullità e annullabilità. Nulle devono essere qualificate come nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito, con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, quelle comunque invalide in relazione all’oggetto. Annullabili sono invece le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.

Nel caso in esame scaturito dall’approvazione da parte del condominio di un punto relativo al rifacimento del mattonato, il condominio, cui spetta l’onore di provare che tutti i condomini sono stati ritualmente convocati, ha provato la sola convocazione di uno dei condomini producendo la cartolina postale. Altro punto a vantaggio dei condomini quello relativo al primo punto all’ordine del giorno che di fatto prevedeva il solo rifacimento parziale della pavimentazione del porticato, mentre il capitolato dei lavori sottoposto all’assemblea prevedeva il rifacimento totale. Ancora. I ricorrenti evidenziano la genericità e l’imprecisione del verbale assembleare carente dell’indicazione dei condomini favorevoli e contrari alla deliberazione. Infatti «nel verbale si legge che all’assemblea hanno partecipato 40 teste per 187,04 millesimi con indicazione analitica dei condomini presenti personalmente o per delega, di quelli assenti e dei millesimi di proprietà per ciascuno di essi. Dunque dal verbale si evince con certezza la sussistenza del quorum costitutivo dell’assemblea. Tuttavia, con riferimento alla votazioni sui singoli punti all’ordine del giorno la delibera contiene delle omissioni, tali per cui non è dato conoscere i nominativi condomini che hanno votato in favore dei singoli punti dell’ordine del giorno, dei contrari e degli astenuti». La delibera per tutti questi motivi va quindi annullata.

Garanzia decennale anche per i lavori di ristrutturazione in condominio

La garanzia decennale in materia di appalti opera anche nelle ristrutturazioni, e non soltanto nella fase di costruzione vera e propria degli edifici. Infatti la garanzia del costruttore/appaltatore ai sensi dell’articolo 1669 del Codice civile (“Rovina e difetti di cose immobili”) scatta pure nel caso di interventi di riparazione e modifica successivi alla edificazione, nel caso di opere destinate per loro natura a lunga durata.

Il principio è riconfermato da una recente sentenza della Cassazione (n. 22553/2015 depositata il 4 novembre) , secondo cui la garanzia decennale prescritta dall’art 1669 può ben essere invocata anche con riguardo al compimento di opere – siano essi interventi di modificazione o riparazione – afferenti a un preesistente edificio. E ricade dunque sugli autori di tali interventi.

Il contenzioso sfociato alla fine in Cassazione contrapponeva una società di costruzioni a un condominio. La ditta aveva concluso nel ‘91 una importante serie di lavori di manutenzione straordinaria sullo stabile. Nel ‘96 l’amministratore aveva denunciato i primi guai, contestandoli alla ditta: macchie di umidità comparse in facciata; svariate fessure aperte sulle pareti esterne, sia nella tinta che nell’intonaco, avevano reso addirittura le facciate non più impermeabili, tanto da provocare infiltrazioni negli alloggi; vistose crepe nelle pareti e nel soffitto dei locali scale dei vari piani; in aggiunta le finestre di aerazione poste ad ogni piano risultavano inutilizzabili, mal montate, così come si era riscontrata la collocazione completamente errata dei telai delle persiane in alluminio.

La ditta, a fronte della richiesta del condominio di ovviare ai problemi, aveva rigettato ogni responsabilità. Il condominio quindi nel 97 aveva fatto causa chiedendo l’eliminazione dei vizi, oltre al risarcimento danni.

Il primo giudice aveva accolto il ricorso e condannato la ditta al pagamento danni, quantificato in 28mila euro circa. La sentenza era stata appellata da entrambe le parti.

La seconda fase della vicenda si era conclusa in Corte d’appello a Genova (sentenza n. 1381 depositata il 29 nov 2008), con un pronunciamento appellato di nuovo da entrambe le parti.

Nella sentenza appena depositata, la Cassazione respinge tre dei quattro motivi di ricorso promossi dalla ditta e ne accoglie uno solo, legato alla quantificazione del danno.

Nel corso dei processi la ditta, che ha sempre insistito sull’inapplicabilità dell’articolo 1669, ha cercato di far valere la circostanza che nel caso in specie non era mai esistito un vetro e proprio contratto di appalto. Infatti la società aveva acquisito la proprietà da terzi, ed aveva poi effettuato un importante intervento di manutenzione straordinaria. Quindi aveva agito in qualità di proprietaria esclusiva dello stabile, di cui poi aveva ceduto i singoli appartamenti con contratti separati.

In realtà già la Corte d’appello aveva trovato corretta l’applicazione della garanzia invocata. Ciò anche se, a rigore, gli interventi eseguiti sul fabbricato non potevano essere qualificati come di sola manutenzione straordinaria: accorpati due edifici aventi due diverse coperture; rifatte completamente le scale, realizzate in cemento armato; modificati i prospetti liberi con l’eliminazione degli archi sulle finestre; completamente ricostruiti due solai.

In sostanza la ditta non aveva restaurato l’edificio, non avendolo né consolidato, né ripristinato o rinnovato negli elementi costitutivi, e nemmeno arrecato radicali modifiche sostitutive, né portato lo stabile ad essere un immobile del tutto diverso dal preesistente. Aveva solo rinnovato e sostituito parti, anche strutturali, di un edificio già interamente edificato da terzi, avente caratteristiche ben precise, non modificate.

Tuttavia, è risultata corretta l’applicazione del 1669 sulla garanzia decennale, che non attiene dunque solo a vizi riguardanti la costruzione dell’edificio, o parte di esso, ma anche ai casi di modificazioni o riparazioni, se destinate per loro natura a lunga durata. La norma non ha un ambito applicativo limitato ai difetti costruttivi inerenti alla sola fase “genetica” di realizzazione dell’edificio, ma anche agli interventi successivi.