Condannato per lite temeraria il moroso che fa il “700” al condominio per farsi riallacciare l’acqua

Paga il proprietario esclusivo per l’azione urgente senza titolo: con la legge 220/12 lo stop è un potere-dovere dell’amministratore. Niente spoglio del servizio per il pignorato.

Inammissibile. Non va molto lontano il ricorso ex articolo 700 Cpc del singolo proprietario moroso contro il condominio che gli ha staccato l’acqua: dopo la riforma, infatti, la sospensione del servizio idrico a chi non paga la bolletta è divenuta un potere-dovere dell’amministratore dal momento che dall’articolo 63 disp. att. Cc risulta scomparso l’inciso «ove il regolamento lo consenta», mentre l’interessato non può lamentare lo spoglio dell’acqua, specialmente dopo l’avvenuto pignoramento e la disposta vendita forzata dell’immobile. Risultato: si configura la lite temeraria a carico della parte che ha proposto il ricorso d’urgenza. È quanto emerge dall’ordinanza pubblicata dalla seconda sezione civile del tribunale di Modena

Il singolo condomino deve essere condannato per aver instaurato la controversia giudiziale in modo temerario ravvisandosi nel concreto tutti i presupposti per la pronuncia ai sensi dell’articolo 96, terzo comma, Cpc per il ricorso d’urgenza promosso ex articolo 700 c.p.c. dopo che l’assemblea condominiale ha deliberato la sospensione per morosità dell’approvvigionamento idrico nel relativo appartamento dovendosi ritenere che, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione «ove il regolamento lo consenta», il potere di sospendere al condomino moroso l’utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato configuri un potere-dovere dell’amministratore condominiale il cui esercizio è legittimo ove la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell’impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso, il quale non può lamentare alcuno spoglio non essendo il condomino possessore né detentore dell’immobile, dopo il pignoramento e la vendita forzata disposta.

Amministratore condannato per la caduta di calcinacci dalla facciata

Non contano assemblee deserte e scarse risorse: chi rappresenta l’ente di gestione è in posizione di garanzia per legge e deve intervenire sugli effetti e non sulle cause della rovina per proteggere i terzi

In tema di condominio se la facciata è malmessa e da essa cadono calcinacci che possono determinare un pericolo per l’incolumità di terzi è compito dell’amministratore attivarsi e rimuovere tale situazione di pericolo rivestendo una particolare posizione di garanzia. In caso contrario egli sarà responsabile per l’evento che provocherà danni.  «La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (articolo 40, comma 2, Cp) per la quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo». Quindi «l’amministratore di condominio in quanto tale assume, dunque, una posizione di garanzia ope legis che discende dal potere attribuitogli dalle norme civilistiche di compiere atti di manutenzione e gestione delle cose comuni e di compiere atti di amministrazione straordinaria anche in assenza di deliberazioni della assemblea. Da ciò quindi consegue la responsabilità per omessa rimozione del pericolo cui si espone l’incolumità di pubblica di chiunque acceda in quei luoghi, e per l’eventuale evento dannoso che è derivato causalmente dalla situazione di pericolo proveniente dalla scarsa o tardiva manutenzione dell’immobile». Lo ha sancito la Cassazione sentenza 46385 del 23 novembre 2015 della quarta sezione penale che ha rigettato il ricorso di un amministratore di condominio ritenuto responsabile dal tribunale di Nola per il reato previsto agli articoli 40 e 590 Cp per non aver impedito, pur avendo l’obbligo giuridico, che calcinacci caduti dalla facciata di un palazzo, cadessero e colpissero un ragazzino provocandogli lesioni. Non serve a scriminarlo l’aver affermato e provato che le assemblee condominiali sono spesso andate deserte e che, essendo i condomini morosi, non vi era un fondo per eseguire i lavori. In casi come questi, spiega il collegio, l’amministratore, per non incorrere in condanne penali deve «intervenire sugli effetti anziché sulla causa della rovina, ovverossia prevenire la specifica situazione di pericolo interdicendo – ove ciò sia possibile – l’accesso o il transito nelle zone pericolanti». Bastava quindi transennare la zona pericolante e non ci sarebbe stata alcuna condanna.