Terrazza abusiva da demolire? Non può opporsi il condomino che ne trae beneficio

Quando l’abuso giova a terzi più che al proprietario che lo ha commesso. È davvero singolare la storia su cui si è pronunciato il 3 maggio scorso il Tar toscano, sezione fiorentina, nella sentenza 606/2022.

I fatti di causa

A rivolgersi al tribunale amministrativo i condòmini di uno stabile che contestavano il diniego comunale alla loro richiesta di sanatoria di un abuso, commesso da terzi. Si trattava della società proprietaria dell’appartamento a piano terra occupato da un istituto bancario. Sulla chiostra interna, posta al livello del primo piano, utilizzata come locale macchine per il riscaldamento/raffreddamento degli uffici della banca, insisteva originariamente una copertura in lamiera, destinata a proteggere gli impianti dalla sporcizia e dalle intemperie. Nel 2001, in accordo con gli altri condòmini, ma senza acquisire alcun titolo abilitativo, la società proprietaria dell’immobile aveva effettuato lavori di consolidamento della copertura, rendendola praticabile, per poterla pulire e manutenere, mediante accesso dall’appartamento posto al piano secondo, acquisito poi da una famiglia.

Per quest’ultima quel solaio era diventato un terrazzo calpestabile a tutti gli effetti. Perciò si era opposta all’azione intentata da un altro proprietario che dall’abuso aveva invece subito un danno, perdendo aria e luce all’appartamento. E la società proprietaria? Favorevole all’abbattimento dell’abuso si era autodenunciata al Comune che aveva intimato la demolizione dell’opera. Tutto lineare? Niente affatto.

L’abuso e la proprietà dello stesso

La condomina proprietaria dell’appartamento che dava sul solaio abusivo e altri condomini avevano chiesto la sanatoria dell’abuso, dicendosi del tutto contrari alla demolizione. Sostenevano che il solaio fosse di proprietà condominiale poggiando sulle pareti interne perimetrali della chiostra, di proprietà condominiale. Censure infondate per il Tar fiorentino. Innanzitutto – scrivono – sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo l’accertamento della proprietà del solaio di cui il Comune ha ordinato la rimozione.

Il potere di verifica del titolo legittimante non impone all’amministrazione di svolgere complessi e laboriosi accertamenti, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile considerato. Il Tribunale certifica solo la legittimità del provvedimento di diniego impugnato. Poiché nel caso in questione quel provvedimento è stato richiesto dallo stesso autore dell’abuso, la decisione comunale è più che legittima.

Appropriazione indebita, l’amministratore condannato va in carcere se non risarcisce il danno

L’articolo 47 del Dpr 354/1975 consente di espiare la pena detentiva inflitta, come misura alternativa al carcere, con l’affidamento in prova ai servizi sociali per un periodo uguale a quello da scontare. La misura consente al condannato di soggiornare nella sua abitazione, di solito dalle 21.00 fino alle 06,00, con alcune prescrizioni, e di svolgere l’attività lavorativa, sempre che la pena inflitta non superi i quattro anni e il reato non sia di particolare gravità. La concessione della misura non è automatica, ma viene concessa dal Tribunale di sorveglianza a seguito della richiesta del condannato e sulla base di un’approfondita istruttoria.

Il caso trattato

Un amministratore condominiale era stato condannato, in via definitiva, per il reato di appropriazione indebita aggravata e continuata perché, dal 2008 al 2011, si era impossessato di euro ottantamila, sottraendoli illecitamente ai condòmini. Il condannato chiedeva al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ai servizi sociali e tale richiesta veniva rigettata in quanto, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite ( procedimenti pendenti, informazioni di polizia giudiziaria , relazione Uepe , nota dell’Ispettorato del lavoro), risultavano problematicità relative alla disponibilità abitativa, alla relazione con la moglie, al mancato risarcimento del danno alle persone offese , se non attraverso offerte palesemente inadeguate, alla mancanza di una presa di coscienza delle sue responsabilità e di una rivisitazione critica delle sue condotte criminose, all’assenza di un’attività lavorativa.

Tale elementi non consentivano al Tribunale di sorveglianza di formulare, nei confronti del condannato, una ragionevole prognosi di mancata reiterazione dei reati. Il condannato ricorreva avverso la sentenza, lamentandone l’ingiustizia, in quanto il Tribunale aveva aderito acriticamente alla relazione Uepe, non aveva valutato la disponibilità del ricorrente a risarcire il danno attraverso importi proporzionati alla sua disponibilità economica e non avesse considerato che la mancata attività lavorativa derivava dalla sua età e che il giudizio prognostico negativo fosse infondato.

La decisione della Cassazione

La Suprema corte nella sentenza 20473/2022 dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente a pagare euro 3.000 alla Cassa delle ammende poiché:
– per formulare il giudizio prognostico favorevole il Tribunale deve valutare anche la condotta del condannato tenutasi successivamente al reato che è essenziale per accertare l’esistenza di un effettivo recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Cassazione 31420/2015);
– ai fini del diniego della concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali il Tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima, non ostando a tale considerazione la mancata previsione del risarcimento del danno, quale condizione per la concessione del beneficio (Cassazione 39266/2017).

La Cassazione affermava che il Tribunale di sorveglianza aveva legittimamente negato il beneficio al condannato poiché, nell’ esercizio della sua discrezionalità e in modo non illogico, aveva attribuito valore preponderante alla mancanza di una revisione critica del passato deviante del condannato. Il ricorrente aveva dichiarato di avere fatto sempre del bene, nei colloqui intrattenuti con il personale Uepe, e non aveva adottato condotte riparatrici a favore delle vittime del reato, a fronte della rilevante entità delle somme (pari ad euro ottantamila) oggetto dell’indebita appropriazione indebita commessa in qualità di amministratore condominiale.

Conclusioni

Il ricorrente infatti non risarciva il danno, offriva a ciascuna delle parti offese 1.500 euro, somma notevolmente inferiore a quella sottratta, soltanto a seguito di plurime ed inutili richieste dilatorie di rinvio delle udienze del giudizio di cognizione. Le parti offese rifiutavano detta offerta ritenendola, giustamente, non congrua. Per la Cassazione, a fronte delle fondate argomentazioni del Tribunale di sorveglianza, il ricorso consisteva in una rilettura parcellizzata della motivazione e dei fatti già esaminati in primo grado e non consentita nel giudizio di legittimità.

L’amministratore condominiale era stato condannato per il reato di appropriazione indebita aggravata alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione e poiché la stessa è superiore al limite edittale di anni due di reclusione , previsto dall’articolo 163 Codice penale per ottenere la sospensione della pena , e in quanto l’istanza di affidamento è stata respinta, il procuratore deve emettere , nei suoi confronti, l’ordine di esecuzione per la carcerazione, ai sensi dell’articolo 656 Codice procedura penale.

Non è legittima l’assemblea camuffata da riunione di fruitori di un servizio

I comproprietari e gli inquilini di uno stabile in Piemonte si riuniscono in assemblea, in qualità non di condòmini ma di fruitori del servizio, e decidono di affidare a una determinata ditta la fornitura di gasolio per il riscaldamento centralizzato e, nel contempo, incaricano l’amministratore dello stabile di firmare per conto loro il relativo contratto.
La ditta scelta, avendo effettuato la fornitura di combustibile e non essendo stata pagata, chiede e ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti del condominio. Quest’ultimo si ritiene però del tutto estraneo alla faccenda e inizia una causa di opposizione, sostenendo che l’assemblea che aveva deciso la conclusione del contratto di fornitura non avesse un carattere e una funzione condominiale.

Le pronunce di merito e quella di legittimità
La Corte d’Appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado, accoglie la tesi difensiva del condominio, in ragione della circostanza che i partecipanti alla riunione si erano qualificati come utenti del servizio e non come condòmini. La Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza 13583 del 29 aprile 2022 ribalta di nuovo la decisione e annulla la sentenza della Corte d’appello, per la seguente spiegazione. L’articolo 10 della legge 392 del 1978 (cosiddetta legge dell’equo canone) attribuisce espressamente al conduttore dell’unità abitativa di partecipare alle assemblee condominiali relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento.

Di conseguenza, la partecipazione in tale tipo di assemblee di soggetti non condòmini, ma titolari di diritto di godimento, costituisce una fattispecie tipica prevista dalla legge e non può pertanto considerarsi un dato eccentrico, tale da escludere la natura condominiale della riunione, che anzi è rimarcata dalla stessa disposizione normativa. Non ha perciò nessun rilievo che gli intervenuti si siano qualificati “utenti” e non condòmini o conduttori di unità abitative dello stabile, trattandosi di un dato nominale e formalistico, che non può alterare la sostanziale, e anche formale, natura condominiale dell’assemblea.

Il carattere vincolante delle disposizioni sul condominio
La Cassazione ha poi chiarito che le disposizioni in materia di condominio, che attribuiscono da un lato all’assemblea le decisioni sui beni comuni e dall’altro all’amministratore sia il compito di attuarle che l’attività di gestione dei beni stessi e di tenuta della contabilità delle spese comuni, hanno carattere vincolante, delineando un sistema di organizzazione rigida, che non derogabile se non nei limiti previsti espressamente dalla legge. Pertanto, nel caso di un condominio, non sono ammissibili né permesse forme alternative per la gestione e amministrazione dei beni comuni.

Maxi sanzione al condominio che non partecipa alla mediazione

Il Tribunale di Termini Imerese con la sentenza 312 del 19 aprile 2022, in tema di impugnazione di delibere assembleari, censura la condotta del condominio il quale omette di partecipare al procedimento di mediazione, seppure sia stato regolarmente inviato, ricavando da essa un comportamento concludente per supportare la tesi avversaria, passibile, inoltre, di tripla condanna pecuniaria, e cioè di quella afferente: 1) il pagamento del doppio del contributo unificato, 2) il risarcimento del danno da lite temeraria, e, infine, 3) la refusione delle spese di lite.

La vicenda
La causa era stata introdotta da un condòmino ed aveva ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare con cui si disponeva l’approvazione di un fondo cassa per lo svolgimento delle azioni relative al recupero delle morosità, nonché l’approvazione di un rendiconto sprovvisto di nota sintetica esplicativa digestione da parte del suo estensore (l’amministratore).Il giudice, a fronte delle censure mosse, rilevava obiettivamente la fondatezza e dichiarava invalide entrambe le deliberazioni oggetto di gravame. La prima perché celava un fondo morosità in violazione della previsione dell’articolo 1123 Codice civile («salvo diversa convenzione»).

La seconda perché il rendiconto, siccome sprovvisto dei requisiti indicati dall’articolo 1130 bis Codice civile, non rispondeva ai principi della trasparenza e intelligibilità.L’attenzione del giudicante alla fattispecie è andata però oltre il merito della controversia ed è stata rimessa anche alla valutazione del comportamento tenuto dall’amministratore prima dell’incardinamento della lite giudiziale, con riguardo al procedimento di mediazione obbligatoria, previsto in materia dall’articolo 71 quater delle disposizioni di attuazione al Codice civile.

Mancata partecipazione alla mediazione come lite temeraria
In punto, avendo constatato l’omessa partecipazione del condominio alla fase endoprocedimentale e l’assenza di alcuna giustificazione di sorta offerta al riguardo, il Tribunale siciliano ha valutato tale condotta sufficiente a corroborare la fondatezza della pretesa di parte attrice, in forza del combinato disposto degli articoli 8 comma IV bis del decreto legislativo 28/2010 e articolo 116 Codice procedura civile. L’omessa e ingiustificata mancata partecipazione al procedimento di mediazione da parte del condominio è stata infine ritenuta dal giudicante degna di nota per essere censurata a norma dell’articolo 96 Codice procedura civile a titolo di “lite temeraria”.

La compagine condominiale convenuta è stata così condannata al versamento del doppio del contributo unificato presso le casse erariali ai sensi dell’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 28/2010, come modificato dalla legge 148/2011 e al pagamento della somma di euro duemila a titolo di risarcimento del danno in favore del condòmino che aveva impugnato la deliberazione in disamina. Da ultimo, il provvedimento giudiziale è stato concluso con la condanna alla refusione delle spese di lite secondo il tariffario forense.

Quali possono essere i motivi che non comportano l’annullamento della deliberazione assembleare?

Il caso affrontato dal Tribunale di Salerno n. 1324 del 19 aprile 2022.

La fattispecie

Una condomina impugna la deliberazione assunta dall’assemblea di condominio di cui fa parte sulla base di diverse argomentazioni: a) che la stessa non dava atto delle risultanze dell’assemblea svolta in prima convocazione; b) che ometteva di dare prova dell’avviso di convocazione a tutti i condomini; c) che ai rendiconti non risultavano allegati i registri di contabilità concernenti le rispettive annualità; d) che il verbale non riportava il dissenso espresso dall’attrice nonché dal Geometra Renato Puppo, per delega di alcuni condomini, in relazione al secondo punto all’ordine del giorno; e) che non erano sottoposti all’assemblea dei condomini i preventivi di spesa presentati dalla ditta degli Ascensori; f) che non era sottoposto alle decisioni dell’assemblea condominiale l’argomento concernente le dimissioni e la conferma o nomina dell’amministratore.

Il condominio si costituisce e contesta ogni asserzione avversaria.

Omessa indicazione prima convocazione

Seguendo l’ordine delle doglianze, il tribunale evidenzia in primo luogo che l’omessa menzione nel verbale delle risultanze dell’assemblea svolta in prima convocazione non ha alcuna conseguenza, avendo la giurisprudenza di legittimità escluso che l’omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell’assemblea in prima convocazione e la sua mancata menzione nel verbale dell’assemblea riunitasi in seconda convocazione inficino la validità di quest’ultima (cfr. Cass., 24 ottobre 1996, n. 3862; Cass., 13 novembre 2009, n. 24132; Cass., 24 ottobre 2014, n. 22685).

Invio a tutti i condomini dell’avviso di convocazione

Anche il tema della dimostrazione dell’invio alla collettività dei condomini della convocazione non merita pregio, dice il giudice. Ciò in quanto la legge n. 220 de 2012 – direttamente applicabile ratione temporis – ha previsto che, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto la deliberazione assembleare è annullabile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati (Cass. Civ., 18 aprile 2014, n. 9082).

Ne deriva che, nella fattispecie, il condomino che ha avuto l’avviso di convocazione non può dolersi dell’eventuale difetto di convocazione relativo agli altri condomini.

Viste queste questioni preliminari, si entra nel merito dell’oggetto della vertenza. Anche sotto questo profilo il giudice non da ragione alla condomina attrice, prendendo ogni singolo argomento e fornendone la relativa motivazione.

Omessa allegazione registri di contabilità

L’omessa allegazione ai rendiconti dei registri di contabilità concernenti le rispettive annualità non ha ragione di pregio.

Non è configurabile propriamente un obbligo per l’amministratore condominiale, qualora convochi l’assemblea anche per l’approvazione di delibere attinenti a bilanci preventivi e/o consuntivi, di allegare all’avviso di convocazione i documenti inerenti a detti bilanci da esaminarsi compiutamente in sede di celebrazione dell’assemblea.

È noto il principio sulla cui base ogni proprietario può chiedere di ottenere con un congruo anticipo tutta la documentazione che riguarda gli argomenti all’ordine del giorno in assemblea (Cass., 19 maggio 2008, n. 12650).

L’eventuale rifiuto dell’amministratore determina l’annullabilità delle delibere successivamente approvate sul punto, atteso che questo rifiuto incide sul procedimento di formazione delle maggioranze in assemblea.

Non è invece configurabile un obbligo, per l’amministratore condominiale, di allegare all’avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo affatto pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che ad ognuno dei condomini è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull’attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di (eventuale) approvazione (Cass. Civ., n. 19210/2011; Cass. Civ., n. 19799/2014).

Ove questa richiesta non sia stata avanzata, il singolo condomino non può invocare l’illegittimità della successiva delibera di approvazione per l’omessa allegazione dei documenti contabili all’avviso di convocazione dell’assemblea, ma può impugnarla per motivi che attengano esclusivamente alla modalità di approvazione o al contenuto delle decisioni assunte (Cass. n. 25693/2018; Cass. Civ. 5 ottobre 2020, n. 21271).

Omessa indicazione del dissenso a verbale

Per quanto concerne l’eccezione concernente l’omessa menzione nel verbale di assemblea del dissenso espresso dal rappresentante dell’attrice e di altri condomini, in relazione al secondo punto all’ordine del giorno, giova premettere che l’art. 1137, comma 2, c.c., ammette l’impugnazione della delibera assembleare soltanto da parte dell’assente, del dissenziente e dell’astenuto.

Il condòmino presente che abbia partecipato all’assemblea non può impugnare la deliberazione, se non è dissenziente (o non si sia astenuto) proprio in ordine alla deliberazione che impugna.

Il dissenso dell’impugnante rispetto alla deliberazione deve essere provato ed incombe sullo stesso l’onere della relativa prova (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 9 maggio 2017, n. 11375).

Dal verbale risulta che questo tema è stato approvato all’unanimità.

Ne deriva che l’affermazione dell’attrice concernente l’omessa menzione del dissenso, non sostenuta da alcuna prova, non può inficiare la validità del verbale.

Valore presuntivo del verbale

Infatti il verbale dell’assemblea offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestare la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto (Cass., Sez. Il, 13 ottobre 1999, n. 11526; Cass. Civ., ord. 12 agosto 2015, n. 16774).

Asserita omessa presa visione di preventivi

Al pari è da rigettare l’eccezione concernente l’omessa presa visione, da parte dell’assemblea condominiale, dei preventivi dell’impresa degli ascensori approvati a maggioranza, atteso che non vi è prova che i condomini abbiano espresso il loro voto in assenza di contezza dei predetti preventivi posto che, diversamente opinando, non si spiegherebbe il voto contrario di altro condomino il quale ha espresso il proprio dissenso rispetto ai preventivi, evidentemente non condividendoli, ma non ne denunciava, come sarebbe stato logico, l’omessa allegazione e/o presa visione.

Mancata indicazione nell’avviso di convocazione del tema inerente il mandato, conferma – nomina – revoca, dell’amministratore di condominio

Da ultimo, non costituisce di per sé motivo di annullabilità della delibera condominiale la mancata previsione all’ordine del giorno dell’assemblea ordinaria del punto concernente la nomina, riconferma o revoca dell’amministratore.

In conclusione la domanda è stata integralmente rigettata.

Nuovo codice ateco 97.00.02 per tutti i condomini

Il 1° Aprile è entrata in vigore la nuova classificazione dei codici ATECO che coinvolge numerosi settori, tra cui appunto il condominio.

Il codice ATECO dei Condomini è ora il 97.00.02, specifico per le “attività di condomini” e sostituisce tutti quelli utilizzati fino ad ora.

La variazione non è automatica e va comunicata all’Agenzia delle Entrate con l’apposito modello AA5/6 da inviare con Fisconline o Entratel. La sanzione per ritardata comunicazione non si applica se il nuovo codice viene aggiornato entro il termine di presentazione del modello di dichiarazione 770, in quanto “la violazione commessa nel ritardo nella comunicazione del dato non incide sulla base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo e, una volta regolarizzata con l’indicazione nella dichiarazione e la variazione dati effettuata all’ufficio finanziario, non arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo“.

Bonus 75% per nuovi ascensori in condomini esistenti: tutte le condizioni

Un’importante novità della Legge di Bilancio 2022 (n° 234/2021) riguarda proprio gli ascensori. Prevede, infatti, la possibilità di usufruire del bonus 75% per l’installazione di nuovi ascensori in edifici privati o condomini già esistenti per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche. Vediamo insieme come funziona e quali sono i requisiti per poterlo ottenere.

Il bonus ascensore del 75% è un’agevolazione fiscale riconosciuta per tutti gli interventi finalizzati all’installazione di nuovi ascensori in edifici privati o in condomini già esistenti ed è disponibile per tutto il 2022. Prevede, infatti, una detrazione Irpef del 75% per le spese documentate e sostenute appunto dal primo gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.

Il rimborso fiscale avviene in 5 anni, attraverso cinque quote di uguale importo, e sono ammessi sia lo sconto in fattura che la cessione del credito pari alla detrazione spettante.

I lavori effettuati devono, però, rispettare i requisiti previsti dal decreto del Ministro dei lavori pubblici del 14 giugno 1989, n. 236 in materia di prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche.

La detrazione è prevista, dunque, solo per interventi sugli immobili effettuati per favorire la mobilità interna ed esterna del disabile e spetta anche in assenza di disabili nell’unità immobiliare o nell’edificio (Circolare n°19/E 2020).

tetti massimi di spesa coperti dal bonus ascensore del 75% sono i seguenti:

  • 50.000 euro per gli edifici unifamiliari o per le unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno;
  • 40.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio per gli edifici composti da 2 a 8 unità immobiliari;
  • 30.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio per gli edifici composti da più di 8 unità immobiliari.

Per poter beneficiare del bonus ascensore del 75% è necessario non solo come già detto che il condominio sia già esistente ma è richiesto anche che la cabina dell’ascensore rispetti degli standard prestabiliti:

  • almeno 1 metro e 20 centimetri di profondità e 80 centimetri di larghezza, con la porta con una luce netta minima di 75 centimetri posta sul lato corto;
  • davanti alla cabina ci deve essere almeno 1 metro e 40 di spazio libero;
  • le porte devono restare aperte almeno 8 secondi e chiudersi in minimo 4 secondi;
  • al piano le porte devono sempre essere chiuse se l’ascensore è fermo.

Il bonus spetta anche per gli interventi di automazione degli impianti degli edifici e delle singole unità immobiliari funzionali ad abbattere le barriere architettoniche.

In caso di sostituzione dell’impianto, il bonus ascensore del 75% è ammesso per le spese relative allo smaltimento e alla bonifica dei materiali e dell’impianto sostituito.

Lavori straordinari in condominio, la diligenza dell’amministratore sulle detrazioni fiscali

La tracciabilità dei pagamenti all’appaltatore e la certificazione di versamento del contributo del singolo condomino rientrano fra i compiti dell’amministratore (Cassazione civile, ordinanza n. 6086/2020)

La tracciabilità dei pagamenti all’appaltatore e la certificazione di avvenuto versamento del contributo da parte del singolo condomino all’ente, rientrano tra i compiti spettanti all’amministratore che deve adempierli con diligenza. Con l’ordinanza n. 6086 del 4 marzo 2020 (testo in calce) la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema dei doveri gravanti sull’amministratore di condominio in caso di lavori straordinari al fabbricato comune e dell’opportunità di detrazioni fiscali per i condomini. La Corte osserva che, malgrado non vi sia una espressa previsione di legge in tal senso, tra i compiti dell’amministratore in quanto mandatario cui è affidata la gestione del bene comune, rientra anche quello di curare tutti gli adempimenti previsti per legge e prodromici ad eventuali opportunità fiscali offerte ai condomini. L’esecuzione dei pagamenti all’impresa appaltatrice in maniera tracciabile, così come la certificazione dell’avvenuto versamento del contributo all’ente da parte del singolo condomino, rientrano pertanto tra i compiti dell’amministratore che deve adempiervi con diligenza.

I fatti di causa

La proprietaria di un immobile posto in condominio agiva in giudizio nei confronti dell’amministratore, riferendo che la condotta negligente di quest’ultimo le aveva precluso di usufruire della detrazione fiscale dal proprio reddito personale, correlata all’esecuzione di lavori edili di natura straordinaria al fabbricato comune. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo il diritto dell’attrice ad ottenere il ristoro della somma che non aveva potuto portare in detrazione. Malgrado il gravame proposto dall’amministratore, la pronuncia di primo grado veniva ribadita in appello rilevando che, nell’ipotesi di lavori eseguiti su uno stabile in proprietà comune, la certificazione dell’amministratore attestante l’eseguito versamento del contributo individuale è documentazione idonea al riconoscimento della detrazione secondo la normativa in materia. La vicenda giungeva quindi dinanzi la Suprema Corte di Cassazione.

Lavori in condominio e detrazioni fiscali: adempimenti e soggetti

I vari motivi di ricorso ruotano attorno all’asserzione che sarebbe stata la condomina, nell’effettuare i pagamenti dei contributi dovuti al condominio per l’esecuzione dei lavori, a dover rispettare le disposizioni circa la tracciabilità dei pagamenti effettuati all’appaltatore, così come stabilito nel D.M. n. 41/1998. Quest’ultimo dà attuazione a quanto previsto dalla L. n. 449/1997, che consente ai proprietari di immobili di godere di detrazioni fiscali sugli importi corrisposti per lavori straordinari di ristrutturazione edilizia. L’articolo 1, terzo comma del predetto D.M. prevede in particolare che “il pagamento delle spese detraibili è disposto mediante bonifico bancario dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato”. Proprio muovendo dall’analisi del dato normativo, il Collegio osserva che il predetto art. 1, comma 1, lettera a) del D.M. prescrive che il condomino che intende avvalersi della detrazione fiscale in relazione ai contributi versati all’ente per l’esecuzione dei lavori, ha soltanto l’onere di trasmettere all’ufficio finanziario copia della delibera condominiale che ha approvato i lavori e della tabella millesimale per la ripartizione delle spese. La Corte aggiunge anche che, per poter fruire della detrazione fiscale, sarà poi necessaria l’attestazione con cui l’amministratore certifica che il condomino ha effettivamente versato all’ente il proprio contributo individuale alla spesa comune. Chiarito quindi il quadro degli adempimenti necessari ai sensi del D.M. n. 41/1998 – pagamenti effettuati dal condominio committente all’appaltatore e certificazione, rilasciata dall’amministratore ai singoli condomini richiedenti, di avvenuto versamento del contributo alla spesa comune, fissato nella delibera assembleare di approvazione lavori e corrispondente alla rispettiva quota millesimale di proprietà del bene comune interessato – le critiche sollevate dal ricorrente sono prive di fondamento. E’ infatti il soggetto che affida i lavori all’impresa appaltatrice – quindi il condominio a mezzo del proprio amministratore e non il singolo condomino – a dover osservare le disposizioni circa la tracciabilità dei pagamenti del compenso pattuito con l’appaltatore.

La posizione dell’amministratore di condominio

E’ quindi evidente che in caso di esecuzione di lavori straordinari al condominio, tra i doveri dell’amministratore rientra anche quello di portare ad esecuzione il compimento dei lavori a suo tempo deliberati, compresi ovviamente i pagamenti all’impresa appaltatrice prescelta. E sebbene non sia previsto espressamente, è evidente che all’amministratore spetta effettuare i pagamenti in modo tracciabile secondo le norme di cui al D.M. n. 41/1998. Ciò in ragione del fatto che egli è il mandatario dell’intera compagine condominiale e ha quindi l’obbligo di seguire tutto l’iter relativo alla manutenzione straordinaria, ivi compreso l’espletamento delle attività prodromiche ad eventuali agevolazioni fiscali offerte ai condomini, che potranno beneficiarne proprio in relazione alla tipologia di lavori eseguiti sul bene comune amministrato.

Conclusioni

Sulla scia delle riferite considerazioni i giudici di legittimità concludono quindi che rientra nel dovere di diligenza dell’amministratore condominiale effettuare i pagamenti in modo da conservare ai singoli condomini, che intendano usufruirne, la facoltà di godere della detrazione fiscale di cui alla L. n. 449/1997, trattandosi di un’attività (il pagamento del compenso all’appaltatore in maniera tracciabile) comunque compresa nella sua sfera di competenza. La Corte ha quindi rigettato il ricorso, condannando il ricorrente, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002, al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Condominio: chi paga le spese per la riparazione dei balconi?

I balconi aggettanti sono cose comuni?

I balconi aggettanti sono degli elementi dell’edificio che ne proiettano in avanti la facciata e contribuiscono al decoro del medesimo.

La questione delle spese per la loro riparazione è spesso oggetto di contrasti e ciò anche in ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., si considerano cose comuni tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune ovvero quelle specificamente indicate nel disposto della predetta norma ai numeri 1, 2 e 3.

Come si vede, i balconi aggettanti non sono considerati cose comuni e di conseguenza sono esenti dall’applicazione della normativa de qua. La ragione precipua che giustifica detta previsione risiede nei loro caratteri strutturali, che fanno sì che i balconi non soddisfino alcuna utilità comune né svolgano alcuna funzione di vantaggio per condomini diversi dal proprietario.

Chi paga la riparazione dei balconi?

Come chiarito dalla Corte di cassazione già nel 2011, anche per la predetta ragione le spese per la riparazione dei balconi aggettanti sono a carico del condomino proprietario degli stessi.

I giudici hanno infatti affermato che “i balconi aggettanti, i quali sporgono dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio – come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio – non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; pertanto ad essi non può applicarsi il disposto dell’articolo 1125 cod. civ.: i balconi aggettanti, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono” (Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Sentenza del 5 gennaio 2011, n. 218).

Anche prima, la Cassazione aveva affermato che “l’articolo 1125 c.c. non possa trovare applicazione nel caso dei balconi “aggettanti”, i quali sporgendo dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono; e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno, ne’ di necessaria copertura dell’edificio (come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio), non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; ma rientrano nella proprietà’ esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono” (Corte di Cassazione civ Sezione 2 Civile Sentenza del 17 luglio 2007, n. 15913).

Balconi: chi paga per le decorazioni?

Se, come detto, i balconi aggettanti sono di proprietà esclusiva dei condomini proprietari dell’appartamento cui accedono e di conseguenza le spese di riparazione devono da questi essere sostenute, un discorso a parte va fatto per le decorazioni.

Infatti, come affermato dalla Corte di cassazione, ad esempio, nella sentenza n. 10209/2015, i rivestimenti dei balconi e gli elementi decorativi delle loro parti frontale e inferiore di un balcone vanno considerati beni comuni se si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a far sì che lo stesso sia esteticamente gradevole. Di conseguenza, in tali ipotesi, le spese per la riparazione delle decorazioni sono poste a carico di tutti i condomini.

Il condominio risarcisce le infiltrazioni nei box

Per la Corte d’appello di Genova, il condominio risarcisce il proprietario del box danneggiato dalle infiltrazioni se si è disinteressato di curare la copertura di proprietà condominiale

Danni da infiltrazioni in condominio

La Corte di Appello di Genova, con la sentenza n. 1057 del 19 ottobre 2021, ha stabilito che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno.

I fatti

La proprietaria di un box auto, citava in giudizio innanzi al Tribunale di Genova il proprio condominio, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dalle infiltrazioni provenienti dalla copertura condominiale. La proprietaria del box chiedeva altresì che venissero effettuati lavori per prevenire il verificarsi di tali fenomeni.

Si costituiva in giudizio il condominio chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Genova condannava il condominio ad eseguire i lavori per porre fine alle infiltrazioni, nonché lo condannava a risarcire i danni subiti dalla proprietaria del box. Il condominio ricorreva in appello.

La responsabilità del condominio

Dalla CTU svolta nel giudizio di primo grado, risulta che il box di parte appellata è sovrastato da una copertura di proprietà condominiale.

Le infiltrazioni d’acqua nel box, derivano proprio da tale copertura.

La causa delle infiltrazioni è determinata dalla vetustà e dal degrado delle opere di impermeabilizzazione, sottostanti la pavimentazione.

Secondo il condominio, la responsabilità è da attribuire ad una società esterna che era tenuta alla manutenzione dell’area sovrastante la copertura condominiale. Difatti, nello stesso regolamento di condominio, richiamato anche nell’atto di compravendita della proprietaria del box, si fa riferimento alla manutenzione di questa società esterna.

Secondo la Corte, ciò non è sufficiente per esonerare il condominio dalla responsabilità. Infatti, come evidenziato dall’appellata, un conto è l’obbligo di manutenzione, altro è l’obbligo di custodia.

Il Ctu ha descritto uno stato di incuria della copertura che si trascina da anni e di cui il condominio proprietario, avrebbe dovuto rendersi conto. I comproprietari sarebbero dovuto intervenire, senza accettare passivamente l’inerzia della società di manutenzione.

Sussiste, quindi, comunque, una colpa a carico del condominio per essersi disinteressato delle condizioni della copertura, pur sapendo che chi aveva delegato a mantenere l’area era, a suo stesso giudizio, inaffidabile.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.

La Corte di Appello di Genova, ha sostenuto che, il proprietario è custode di un bene e di conseguenza è responsabile per eventuali danni a terzi.

Inoltre, il Condominio è responsabile per i danni causati anche nel caso in cui abbia trasferito ad un terzo poteri di intervento. L’unica prova liberatoria ammessa dall’art. 2051 c.c. è la dimostrazione del caso fortuito, che nel caso di specie non si è verificato.

La Corte ha anche precisato che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno. L’ente di gestione, risponde “ex” art. 2051 c.c. dei danni cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, sebbene tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo.

Laddove vi sia una corresponsabilità in solido tra più soggetti, “ex” art. 2055 c.c., comporta che la domanda del condomino danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l’intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati.