Non è necessario costituire il fondo spese se le opere (urgenti) di manutenzione straordinaria sono state interamente eseguite e l’amministratore ha già provveduto a pagare il corrispettivo dei lavori

La vicenda

La vicenda nasceva a seguito dei lavori di riparazione del lastrico solare di proprietà esclusiva, finalizzati principalmente al ripristino delle condizioni di tenuta dell’impermeabilizzazione di detta copertura. A seguito di tali lavori volti ad eliminare le infiltrazioni negli appartamenti sottostanti, l’amministratore aveva versato all’appaltatore il corrispettivo (a carico del condominio) delle opere di manutenzione straordinaria necessarie a risolvere i problemi sorti. Successivamente l’assemblea, compresa la necessità di intervenire urgentemente sulla copertura del caseggiato, approvava l’intervento di rifacimento del terrazzo, già eseguito, e la relativa spesa, ratificando, così, l’operato dell’amministratore.

Alcuni condomini, però, impugnavano tale delibera, deducendo, fra l’altro, l’illegittimità della stessa per mancanza del carattere di urgenza; in particolare, gli attori ritenevano che la spesa sostenuta fosse voluttuaria e gravosa, con la conseguenza che era obbligatoria la preventiva autorizzazione dell’assemblea e la preventiva istituzione del fondo speciale previsto dall’articolo 1135 c.c.

Il condominio convenuto, costituitosi in giudizio, contestava la fondatezza dell’impugnazione proposta e ne chiedeva il rigetto.

Inoltre, i condomini evidenziavano che l’intervento era stato approvato dall’assemblea che lo aveva qualificato come manutenzione straordinaria e non come innovazione e tale decisione non era stata assolutamente impugnata dagli attori, con conseguente effetto sanante di ogni possibile vizio.

La questione

È necessario costituire il fondo spese anche se le opere di manutenzione straordinaria sono urgenti, i lavori sono già stati saldati dall’amministratore e l’operato di quest’ultimo è stato ratificato dall’assemblea con successiva delibera?

La soluzione

Il Tribunale di Roma, sentenza del 19/6/2017 ha dato ragione al condominio.

Secondo lo stesso giudice, la costituzione del fondo speciale sarebbe stata inutile. Infatti i lavori erano stati già completamente eseguiti e ratificati dall’assemblea, la spesa era già stata sostenuta ed inserita nel consuntivo ed approvata dall’assemblea e, quindi, non sussisteva nessun rischio di una possibile esposizione debitoria del condominio verso il terzo appaltatore/creditore. Alla luce di quanto sopra il Tribunale ha escluso ogni possibile nullità della delibera per mancata costituzione del fondo speciale.

Le riflessioni conclusive

L’assemblea che delibera opere di manutenzione straordinaria e innovazioni deve costituire obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti (art. 1134, comma 1, n. 4).

L’esame della disposizione suddetta denota come la ratio della norma sia quella di circoscrivere l’esposizione dei singoli condomini verso fornitori e appaltatori del condominio in caso di delibere relative ad interventi implicanti significativi impegni economici.

Il Tribunale di Latina con sentenza n° 359 del 6 febbraio 2019 ha ritenuto che l’assemblea non possa deliberare di non costituire il fondo speciale prima della stipula del contratto d’appalto.

Più recentemente il Tribunale di Modena con sentenza n° 763 del 16 maggio 2019 ha dichiarato la nullità della delibera con la quale venivano disposti lavori straordinari senza la contestuale previsione di un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori.

L’obbligatorietà del fondo speciale induce a ritenere che, senza la sua costituzione, non si possa dare il via ai lavori, anche se va tenuto conto che la norma che lo prevede non è inderogabile (né sono previste sanzioni in caso di sua violazione).

L’articolo 1135 c.c. consente ai condomini di stabilire in delibera che il contratto da stipulare con l’appaltatore dei lavori di manutenzione straordinaria o delle opere di innovazione preveda un pagamento collegato agli stati di avanzamento, nel qual caso il fondo speciale può essere costituito in relazione ai pagamenti dovuti di volta in volta.

Come sostengono alcuni autori però, il fondo graduale, venendo allestito soltanto dopo l’approvazione dei singoli stati d’avanzamento, suppone la già avvenuta esecuzione delle opere contabilizzate e, quindi, a differenza del fondo integrale, pure l’immediata esigibilità del credito dell’appaltatore per la parte di prezzo corrispondente a quello specifico stato di avanzamento.

In ogni caso tale fondo non deve essere costituito se le opere sono urgenti, i lavori sono stati già completamente eseguiti e saldati, la spesa è stata approvata dall’assemblea che ha ratificato così l’operato dell’amministratore: in tal caso si può escludere il rischio di una possibile esposizione debitoria del condominio verso il terzo appaltatore/creditore.

Amministratore: è possibile nominare una società ?

Secondo la legge, per svolgere l’incarico di amministratore di condominio, è necessario essere in possesso di alcuni requisiti.

Ad esempio, se il nominato non è un condòmino del fabbricato, occorre avere almeno il diploma di scuola secondaria di secondo grado ed è necessario frequentare un corso di formazione, inziale e poi periodico, in materia di amministrazione condominiale.

I presupposti di legge sono, più analiticamente, descritti nell’art. 71 disp. att. cod. civ. che, onestamente, in tale sede appare superfluo ed eccessivo elencare. Per il caso in esame, infatti, interessa, principalmente, sapere cosa dice la norma invocata a proposito delle società che offrono servizi di gestione di un complesso immobiliare.

Ebbene, la normativa in materia specifica che è possibile affidare l’incarico di amministratore ad una società, a condizione che i requisiti di cui alla predetta norma siano posseduti «dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi (Art. 71 co. 3 disp. att. cod. civ.)».

Al momento della nomina, però, non è indispensabile indicare quale, tra i soci illimitatamente responsabili o tra gli amministratori, vada, in concreto, a svolgere il delicato compito di gestire il condominio.

Lo conferma il Tribunale di Novara allorquando precisa che «l’incarico di amministratore di condominio possa essere svolto anche dalle società di cui al titolo V del libro V del codice civile, come espressamente previsto dall’art. 71 bis disp. att. c.c., senza che la legge richieda di specificare chi dei soci, di fatto, svolgerà le relative mansioni».

Incarico amministratore a società: come controllare il possesso dei requisiti?

Se l’assembla nomina amministratore del fabbricato una società, ogni condòmino ha il diritto di controllare se i soci o gli amministratori della medesima sono in possesso dei requisiti di cui all’art. 71 disp att. cod. civ. Ciò è possibile anche, successivamente, alla riunione, chiedendo di accedere alla documentazione che comprova tale circostanza.

Pertanto, solo dopo aver acquisito la prova contraria, si potrà adire il Tribunale per impugnare la nomina, in quanto affetta da nullità.

Sono stati, quindi, questi i motivi che hanno indotto il Tribunale di Novara a respingere la domanda attorea con la sentenza in commento. Il condomino dissenziente, infatti, si era limitato a mettere in discussione la professionalità dei rappresentanti della società incaricata, ma non aveva fornito alcuna dimostrazione che il dichiarato possesso dei requisiti di legge non fosse veritiero.

In assenza, dunque, di prova, l’impugnazione era risultata infondata e, perciò, veniva respinta.

La tipologia di spese condominiali

Le spese ordinarie

Le spese ordinarie sono quelle che si rendono necessarie per la gestione, la manutenzione e il funzionamento dei beni comuni. Si tratta di spese periodiche, solitamente versate con cadenza annuale.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, si considerano ordinarie le spese relative alla pulizia delle scale, illuminazione dei beni comuni, revisione degli impianti, riparazioni generiche come la sostituzione delle lampadine delle scale, l’assicurazione del condominio e il compenso dell’amministratore.

Per la loro approvazione non è indicata una maggioranza specifica, pertanto, si impiegano le regole generali del quorum richiesti dalla prima e dalla seconda convocazione, ex art. 1136 cc.

Le spese straordinarie

Sono, invece, considerate straordinarie le spese relative ad interventi occasionali, come accade quando diventa necessario sostituire la caldaia, rifare la facciata, il tetto o il solaio.

Generalmente, sono esborsi che superano di gran lunga le somme che di solito vengono impiegate nella manutenzione ordinaria e quando si tratta di spese di notevole entità, per la loro approvazione è necessaria una maggioranza qualificata, ovvero un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

L’entità della spesa va parametrata al valore dell’edificio e non alle possibilità economiche dei condomini, tenendo conto dell’ammontare complessivo e il rapporto di quest’ultimo con il valore dell’edificio e la spesa proporzionalmente ricadente sui singoli condomini (Cass. civ. n. 25145 del 26.11.2014).

In giurisprudenza vengono qualificate come urgenti le opere che, secondo il criterio del buon padre di famiglia, siano indifferibili in quanto necessarie a evitare un possibile perimento della cosa comune (Cass. Civ. 18759/2016).

Le spese urgenti

Per tali motivi le spese urgenti non ammettono ritardo e riguardano le opere di manutenzione che non rientrano nella consueta periodicità; a titolo di esempio, rientrano in tale tipologia di spese quelle relative al tetto scoperchiato da un evento atmosferico o al cornicione gravemente danneggiato.

In virtù del carattere d’urgenza, anche un singolo condomino può porre in essere un intervento diretto senza l’autorizzazione dell’amministratore (che a sua volta ha il potere di ordinare lavori di manutenzione straordinaria in caso di urgenza, ex art. 1135 comma 2 c.c.) e dell’assemblea, dimostrando l’urgenza di non aver potuto allertare il condominio (Cass. civ. 4684/2018) e, di conseguenza, avrà diritto di ottenere il rimborso di quanto speso dagli altri condomini, ex art. 1134 c.c

Le spese di godimento

Sono le spese di esercizio che riguardano il funzionamento degli impianti comuni e vengono meno qualora si rinunci al servizio; un classico esempio è rappresentato dalle spese necessarie per il riscaldamento e l’energia elettrica; il condomino che decide di staccarsi dall’impianto centralizzato, dovrà pagare solo le spese necessarie per la conservazione dell’impianto che resta comunque un bene comune.

La rinuncia del singolo condomino, poi, non deve comportare notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri partecipanti alla comunione.

Le spese gravose e voluttuarie

Sono considerate gravose le spese la cui entità non è commisurata al valore dell’immobile, mentre sono voluttuarie le spese non necessarie, prive di utilità, come ad esempio l’installazione di ornamenti decorativi nel giardino condominiale.

Pertanto, qualora venissero deliberate innovazioni gravose o voluttuarie chi non intende trarne vantaggio potrà rifiutarsi di contribuire alla spesa e se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, a meno che la maggioranza dei condomini non decida di accollarsi integralmente la spesa.

Votazione segreta in condominio: quando è illegittima?

Come noto, ogni condomino ha diritto a un voto, indipendentemente dai millesimi di proprietà e dal numero di unità immobiliari di sua proprietà [1]. Naturalmente, il diverso peso della quota si farà sentire quando si tratterà di calcolare la maggioranza in base ai millesimi.

Per quanto attiene alle modalità di espressione, il voto in condominio deve essere palese e ciò – come si dirà a breve – principalmente allo scopo di individuare i condomini che hanno interesse a impugnare le delibere.

Il tribunale di Milano nella sentenza del 9 novembre 1992 [2] ha ritenuto illegittima la deliberazione dell’assemblea di condominio adottata a scrutinio segreto. Il voto segreto contrasta innanzitutto con la trasparenza che deve riguardare le decisioni dell’organo collegiale del condominio, al fine di consentire la verifica della valida formazione della volontà.

Il voto segreto, inoltre, non consente di accertare l’esistenza di eventuali conflitti di interessi tra il condominio e il singolo condomino.

D’altro canto, e non in ultimo, il diritto di impugnare le deliberazioni annullabili è di regola riconosciuto ai soli condomini assenti o dissenzienti i quali sono individuabili solo nel caso in cui la votazione sia palese. Non può impugnare la votazione dell’assemblea chi ha votato “a favore”. Sicché, se il voto fosse segreto, non si potrebbe comprendere chi ha diritto a contestare la votazione e chi invece è precluso da tale possibilità.

Detto orientamento è stato confermato anche da una serie di sentenze della Cassazione [3]. Cass. sent. n. 10329/1998.

Secondo la Suprema Corte, è annullabile la deliberazione dell’assemblea di condominio il cui verbale non indichi analiticamente i nomi dei partecipanti e il valore della proprietà di ciascuno espressa in millesimi, nonché il nome e il valore della quota proporzionale dei condomini assenti e dissenzienti.

Queste indicazioni sono assolutamente necessarie per verificare la validità della deliberazione e l’eventuale conflitto di interessi tra il singolo condomino e il condominio, nonché per individuare i soggetti legittimati a impugnare.

Compensi extra per l’amministratore di condominio

La natura negoziale dell’accordo, in tema di compenso “extra” in favore dell’amministratore, impone che per il relativo riconoscimento occorra dimostrare in giudizio, e nelle forme ad esso consone, l’effettiva attività posta in essere. La legittimità di un tale riconoscimento economico discende dal fatto che l’amministratore svolge un’attività piuttosto gravosa, parallela a quella “ordinaria”, non badando solamente alla tenuta della mera contabilità. Invero, questi è tenuto a predisporre, ove non si rivolga a monte ad un legale o ad un tecnico, alla stesura del contratto di appalto e/o alla verifica che le clausole ivi contenute non dispongano condizioni sfavorevoli al Condominio-committente, ovvero siano consone e non travalichino il mandato conferitogli in sede assembleare.

Peraltro, prima dell’inizio delle opere – possibilmente anche con l’ausilio di un tecnico – l’amministratore è tenuto a denunciarne l’esecuzione alle autorità competenti, a seconda della natura e dell’entità delle medesime. Lo stesso, al contempo, deve procedere al recupero dei fondi occorrenti per dare inizio ai lavori ed evitare che il condominio possa incorrere in esposizioni debitorie.

Nondimeno, l’amministratore è tenuto – come in genere previsto in sede assembleare – a curare la pratica per il conseguimento dei vantaggi fiscali eventualmente discendenti dalle detrazioni IRPEF, previste normativamente. Al termine dei lavori, è poi lo stesso amministratore ad accettare l’opera (e a firmare il certificato di esecuzione a regola dell’arte dei lavori, ove predisposto da parte del relativo tecnico), ovvero a denunciare la presenza di vizi secondo la tempistica prevista dal contratto ovvero dalle norme settoriali.

Tribunale Perugia, 27/06/2019, n.1035

Credito dell’amministratore per il recupero delle somme anticipate

Poiché il credito dell’amministratore per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio si fonda, ex articolo 1720 c.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, è l’amministratore che deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini, che sono tenuti, quali mandanti, a rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, e a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell’eventuale danno, devono dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di tenere indenne l’amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita.

Cassazione civile sez. II, 26/02/2019, n.5611

Le spese dell’amministratore che non necessitano di autorizzazione

Manutenzione ordinaria e atti conservativi

La regolare gestione del condominio comporta la sussistenza di ampi poteri in capo all’amministratore, per la conclusione di contratti inerenti all’ordinaria manutenzione delle parti comuni. In tali casi, e non solo, non è necessario ottenere la preventiva autorizzazione dell’assemblea per concludere validamente un contratto in nome e per conto del condominio.

Ad esempio, in base all’art. 1130 c.c., 1° comma, n. 3, rientra tra i doveri dell’amministratore di condominio quello di erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni.

Questo significa, in altre parole, che tra i poteri di gestione propri dell’amministratore rientra anche quello di impegnare il condominio attraverso la conclusione di contratti non preventivamente autorizzati in sede di assemblea, relativi alla manutenzione ordinaria delle parti comuni.

All’amministratore sarà sufficiente rappresentare tali spese in sede di bilancio consuntivo, per ripartirne i costi tra i vari condomini e ottenerne il rimborso.

A titolo di esempio, rientrano tra queste spese quelle relative alla pulizia delle parti comuni dell’edificio, alla loro manutenzione periodica, agli interventi di riparazione degli impianti e al pagamento delle bollette relative alla fornitura di luce e acqua.

Le azioni esperibili senza preventiva autorizzazione

L’amministratore, inoltre, è tenuto a compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio. Di conseguenza, egli ha il dovere di esperire, ove necessario, le c.d. azioni possessorie e le azioni di nunciazione, senza necessità di ottenere la preventiva autorizzazione dell’assemblea

Le azioni possessorie sono l’azione di reintegrazione, prevista dall’art. 1668 c.c., e l’azione di manutenzione, di cui al successivo art. 1670 c.c. L’amministratore, pertanto, può agire in giudizio per reagire all’occupazione abusiva dell’immobile da parte di terzi, oppure per inibire atti che alterino il decoro architettonico dell’edificio.

Con le azioni di nunciazione (denunce di nuova opera e di danno temuto, ex artt. 1171 e 1172 c.c.), di natura cautelare, l’amministratore può in piena autonomia agire in giudizio qualora ritenga che da una nuova costruzione o da una cosa altrui possa derivare un danno al condominio. Egli può, inoltre, agire in caso di immissioni, esalazioni e rumori oltre la normale tolRientrano nel potere d’azione dell’amministratore anche le azioni di responsabilità contro il costruttore per gravi difetti che mettano in pericolo la stabilità dell’edificio (v. art. 1669 c.c.).

Si ritiene che nelle suddette ipotesi l’amministratore possa agire contestualmente anche per il risarcimento dei danni che riguardino le parti comuni dell’edificio, non invece per i danni occorsi alle singole proprietà esclusive.

Va sottolineato che, in base al dettato dell’art. 1130 c.c., compiere atti conservativi nell’interesse del condominio non è solo un potere, ma un vero e proprio dovere dell’amministratore. Ne deriva che, in caso di inerzia, i condomini sono legittimati a chiedergli il risarcimento degli eventuali danni che ne siano derivati.

L’urgenza negli atti di manutenzione straordinaria

Anche nei casi in cui è obbligatorio chiedere la preventiva autorizzazione di spesa all’assemblea, può configurarsi un margine di autonomia in capo all’amministratore.

In particolare, quando vi sia urgenza di provvedere, quest’ultimo è legittimato a disporre pagamenti autonomamente, salvo poi riferire e chiedere la ratifica nella prima assemblea successiva (art. 1135, comma 2 c.c.), con una delibera adottata dalla maggioranza qualificata prevista dal codice.

Sono straordinarie, ad esempio, le spese relative ad interventi di rilievo sui muri portanti o sul solaio dell’edificio, la sostituzione dell’autoclave o degli ascensori, al rifacimento integrale degli impianti.

Se l’assemblea non dovesse ratificare la spesa, l’amministratore ha facoltà di ricorrere in giudizio per fare accertare il carattere di urgenza della spesa sostenuta. In caso di soccombenza, egli rimarrà personalmente obbligato con l’impresa e non potrà ottenere il rimborso dai condomini.

La legittimazione dell’amministratore

Il previo mandato non è sempre necessario: la legittimazione dell’amministratore di condominio nella diesa delle parti comuni, per il rispetto del regolamento condominiale e per la riscossione dei crediti

Nomina del legale: l’amministratore può sceglierlo in autonomia?

La questione se l’amministratore necessiti della previa autorizzazione dell’assemblea ai fini della nomina del legale o se, al contrario, possa procedervi autonomamente è argomento dibattuto. Sul punto, la Cassazione ha dato indicazione precisa. Che succede se l’amministratore nomina, come difensore del condominio, un avvocato suo amico o, comunque, lo fa senza consultare l’assemblea prima di conferirgli il mandato? Nulla: in base all’attuale legge e giurisprudenza consolidata, tra le funzioni tipiche dell’amministratore rientrano anche quelle di conferire la delega al legale per difendere il condominio, ad esempio resistendo all’impugnazione fatta da un condomino a una delibera assembleare (v. Cass. sent. n. 8309/2015).

Allo stesso modo, senza prima informare l’assemblea l’amministratore potrebbe incaricare l’avvocato di fare appello contro una sentenza sfavorevole al condominio, in considerazione anche dei tempi stretti entro cui va notificato l’atto di impugnazione. Una decisione del genere, infatti, stando alla su citata sentenza, non comporta né preventiva autorizzazione né tantomeno successiva ratifica da parte dei condomini, poiché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dell’amministratore e nell’esercizio delle sue funzioni: lo stesso principio aveva espresso la Suprema Corte nel 2014 (Cass. sent. n. 1451 del 23.01.2014).

Nella propria sfera di competenze (ordinarie o incrementate dall’assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di autorizzazione.

Non di meno la differenza tra le materie che rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore e quelle che ne esorbitano è essenziale in tema di legittimazione passiva: passivamente legittimato nelle controversie aventi un oggetto che rientra nelle sue attribuzioni (autonomamente, ad esempio, costituendosi in giudizio per impugnare l’eventuale sentenza sfavorevole), maggiori dubbi solleva l’ipotesi nella quale la controversia abbia un oggetto che travalica le attribuzioni dell’amministratore. In tal caso è previsto un obbligo di previa informativa all’assemblea, in caso contrario può essere revocato ed è tenuto al risarcimento di eventuali danni.

La legittimazione dell’amministratore di condominio

In generale, l’amministratore di condominio è legittimato a intraprendere tutte le azioni giudiziali a tutela dei diritti del condominio e, quindi, indirettamente, anche degli stessi condomini. Rientra quindi nelle sue attribuzioni avviare una causa o difendere il condominio da un’azione intrapresa da altri (siano essi gli stessi condomini o i terzi) senza bisogno di richiedere prima l’autorizzazione dell’assemblea, come poc’anzi precisato.

È pacifico che l’amministratore possa agire autonomamente quando siano oggetto di giudizio questioni che rientrino nelle sue specifiche competenze istituzionali ai sensi degli art. 1130 e 1131 cod. civ. In tutti gli altri casi, egli deve sempre farsi prima autorizzare dall’assemblea o, in mancanza, richiedere da questa una ratifica dell’operato.

Altrettanto piano è il fatto che l’amministratore del condominio sia legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio, riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.

La delibera che autorizza il capo condomino a promuovere o resistere in una causa, nelle altre materie al di fuori degli esempi citati, deve essere assunta con il consenso della maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresenti almeno la metà dei millesimi dell’edificio.

Riscossione dei crediti condominiali e legittimazione dell’amministratore

L’amministratore può agire senza previa autorizzazione dell’assemblea per riscuotere i crediti nei confronti dei condomini morosi. Pertanto, è legittimato a nominare un avvocato affinché richieda un decreto ingiuntivo e può costituirsi in giudizio nel caso in cui il debitore proponga opposizione al decreto stesso.

L’amministratore ha l’autonomia, una volta ricevuta la notifica di un decreto ingiuntivo da parte di un fornitore, di nominare un avvocato di propria fiducia e incaricarlo di svolgere l’opposizione nelle modalità già descritte. Anche in questo caso, non necessita della previa autorizzazione dell’assemblea a meno che l’ oggetto del decreto non rientri tra le sue attribuzioni di competenza elencate dalla legge. Tra queste si può annoverare il pagamento dei fornitori.

Legittimazione dell’amministratore per il rispetto del regolamento condominiale

L’amministratore è legittimato ad agire in giudizio (sia in forma attiva che passiva), senza la necessità di una delibera preventiva di autorizzazione dell’assemblea per ottenere il rispetto del regolamento condominiale: ciò poiché l’esecuzione e la difesa delle delibere assembleari rientrano tra le attribuzioni proprie dell’amministratore (v. Cass. n. 1451/2014).

Niente case di riposo nei condomini

Il regolamento che vieta di svolgere negli appartamenti destinati ad uso abitativo attività di tipo commerciale, deve essere interpretato nel senso che tra le attività escluse ci sono anche le case di riposo per gli anziani. Trattasi infatti di attività che prevedono prestazioni assistenziali e alberghiere esercitate in forma imprenditoriale in cambio di una prestazione in denaro. L’assemblea può quindi inibirla con delibera, se il regolamento vieta lo svolgimento delle attività delle “industrie, professioni, laboratori, commerci, arti e mestieri.” Questi i chiarimenti forniti dalla Cassazione con la sentenza n. 38639/2021

Tralasciando l’esame delle questioni puramente procedurali e concentrando l’attenzione sul merito della questione, si evidenzia che la Corte di Cassazione ha rigettato le tesi difensive sollevate dai due condomini.

La Cassazione rileva che nel caso di specie il divieto di esercitare determinate attività all’interno del condominio è legittimo in quanto sancito da una “pattuizione contrattuale con cui, la fine di imprimere determinate caratteristiche all’edificio, si impongono limitazioni (il peso di cui all’art. 1027 c.c.) alla libertà di utilizzazione delle porzioni di proprietà esclusiva, attinenti non all’attività personale dei condomini, bensì alla proprietà del singolo immobile (…)”

Per quanto riguarda poi l’interpretazione delle clausole del regolamento che nel caso di specie vietano l’esercizio dell’attività di casa di riposo all’interno del Condominio, la Cassazione, dopo aver richiamato la corretta definizione della Corte di merito chiarisce che “Il dato che le case di riposo per anziani debbano comunque possedere i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione non contrasta con la diversa considerazione che le medesime case di riposo si connotano come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socio assistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero.”

Non rilevano, ai fini della esclusione delle case di riposo tra le attività commerciali vietate, le classificazioni della Camera di commercio, i pareri dell’Avvocatura dello Stato, le evoluzioni della legislazione in tema di servizi socio-assistenziali e il regime fiscale di esenzione stabilito per le prestazioni socio assistenziali.

Conclusioni che confermano anche la recente decisione del Tribunale di Napoli, che con la sentenza n. 147/2021 (sotto allegata) ha escluso la possibilità, all’interno di un condominio, di destinare gli appartamenti a case di riposo, perché trattasi di attività che prestano servizi anche di tipo alberghiero e assistenziale, non rileva che la destinazione dell’appartamento sia rimasta abitativa.

IL GREEN PASS IN CONDOMINIO

Il Decreto Legge n. 127 del 21 settembre 2021 ha introdotto il nuovo art. 9-septies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato). Secondo la nuova disposizione, dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, per prevenire la diffusione dell’epidemia, chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato ha l’obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19, proprio per accedere ai luoghi in cui si svolge l’attività stessa.

Tale disposizione si applica a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato anche sulla base di contratti esterni.

L’obbligo non si applica ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Dunque, alla luce del nuovo disposto normativo, sia i datori di lavoro sia i lavoratori sono obbligati al rispetto di queste nuove normative.

Le verifiche del possesso del Green Pass

I datori di lavoro sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni, anche a campione, procedendo prioritariamente con i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro.

I lavoratori che comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o che risultino comunque privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della certificazione, e non hanno diritto alla relativa retribuzione per il periodo di assenza.

Sia l’accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi sulla certificazione verde, sia la violazione delle disposizioni sui controlli, sono sanzionati amministrativamente. Sono previste sanzioni sia per il datore sia per i lavoratori.

L’amministratore di condominio quale professionista

La normativa non fa distinzione tra uffici aperti al pubblico o privati, o tra categorie e settori. Pertanto sia l’amministratore di condominio sia i suoi dipendenti in studio devono essere in possesso di Green Pass. Nel caso dei dipendenti, gli amministratori/datori di lavoro sono i soggetti ai quali viene attribuito il compito di definire le modalità operative per organizzare le verifiche, anche a campione, circa il possesso del Green Pass.

Dall’interpretazione delle ultime FAQ del 12 ottobre 2021, pare possibile dedurre che nei confronti dei clienti permane l’obbligo di adottare il protocollo di cui al DPCM 2 marzo 2021: cioè niente certificazione verde, ma solo misurazione della temperatura e mascherina.

Dalla lettura della norma, inoltre, si evince anche il Green Pass sembrerebbe obbligatorio anche per i formatori nel caso in cui lo studio di amministrazione organizzi corsi di formazione per il personale dipendente o aperti al pubblico.

Il condominio quale luogo di lavoro

Nella nozione di “luogo di lavoro” rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura. In base all’art. 62 del d.lgs. n. 81/2008, assumano tale qualifica “i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Pertanto, il condominio edilizio può certamente essere definito come “luogo di lavoro”.

L’amministratore e gli altri lavoratori in condominio

L’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale alla lettera b) stabilisce che per datore di lavoro s’intende “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Quindi l’amministratore di condominio va considerato un datore di lavoro solo quando il condominio è assimilabile a un’azienda o a una unità produttiva (Circ. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 5 marzo 1997, n. 28). Su questo aspetto, tuttavia, è importante sottolineare che nei rapporti di subordinazione con i lavoratori presenti in Condominio (ad esempio, portiere e gli addetti alla pulizia, giardinaggio, ecc.), il datore di lavoro è il “condominio” nella sua unitarietà.

Per tali ragioni, i citati lavoratori insieme all’amministratore sono obbligati ad avere il Green Pass.

Green pass in assemblea di condominio

Dal silenzio del legislatore sul punto, che non menziona in nessuna parte del decreto legge n. 127/2021 eventuali controlli o cause ostative alla partecipazione dei condòmini alle assemblee di condominio, attualmente non sarà necessario esibire il Green pass.

Tuttavia, come osservato dai primi commentatori, la partecipazione all’assemblea condominiale può imporre di essere provvisti della certificazione verde COVID-19 in caso di accesso in uno dei luoghi di cui all’articolo 9 bis del decreto legge n. 52/2021, come per esempio centri culturali, centri sociali e ricreativi, spettando in tal caso ai titolari o ai gestori il compito di procedere alle necessarie verifiche.

Negli altri casi – spazi comuni condominiali o presso lo studio dell’amministratore – il professionista e il presidente devono garantire la partecipazione in sicurezza considerato l’obbligo di indossare la mascherina e la sanificazione degli ambienti.

Grandi novità dell’ultimo minuto per quanto riguarda il Superbonus 110%.

Alcuni degli emendamenti inseriti nella Legge di Bilancio 2022, a pochi giorni dall’approvazione, che avrebbero stravolto rendendo più stringente l’applicazione del bonus verranno rimossi.

Le interlocuzioni tra maggioranza e Governo sono ancora in corso, ma sembra esserci un intesa sulla volontà di voler eliminare la soglia ISEE di 25.000 euro per i proprietari di villette e abitazioni unifamiliari.

Verrà rimosso anche il vincolo che prevede che la villetta debba essere necessariamente adibita ad abitazione principale per poter accedere al Superbonus 110%.

Si sta lavorando per trovare un intesa anche per cercare di rendere quanto più convenienti possibile anche altri bonus edilizi per il 2022.

E’ il caso del bonus facciate per il quale si prova a prorogare l’aliquota di detrazione del 90% evitando quanto previsto dalla bozza della manovra che prevede invece per il 2022 una detrazione del 60%.

Gli emendamenti contenuti nella Legge di Bilancio e che dovranno essere discussi nei prossimi giorni sono 690.

Molti di esse riguardano la categoria dei bonus edilizi, determinanti per il futuro di molte famiglie che in base alle nuove condizioni previste per il 2022 potranno decidere se avviare o meno lavori di riqualificazione energetica, di diminuzione del rischio sismico o di rifacimento delle facciate della propria abitazione o del proprio condominio.

Oltre alle famiglie le decisioni prese dal governo riguardo il Superbonus 110% insieme a tutte le altre misure saranno determinanti anche per il futuro di molti professionisti e sulle imprese che si occupano degli interventi.

Incentivi e agevolazioni fiscali che muovono milioni di euro, creano posti di lavoro e fanno risparmiare sui lavori in casa.

Le scelte che si prenderanno in Legge di Bilancio avranno ripercussioni importanti: vediamo le proposte in gioco e le ultime novità.

Superbonus 110% senza ISEE? Cambiano nuovamente le regole per villette e abitazioni unifamiliari

Il Governo dunque ha molto probabilmente raggiunto un intesa che dovrebbe avvicinare il Superbonus 110% a come lo abbiamo conosciuto nel 2021.

Gli emendamenti che vedevano la soglia ISEE di 25.000 euro per le abitazioni unifamiliari, oltre che il vincolo di dover dichiarare la propria villetta o abitazione come prima casa per poter usufruire delle agevolazioni previste, verranno rimossi dal testo della Legge di Bilancio 2022.

Queste sono le due più grandi novità dell’ultimo minuto, quando ormai tutto sembrava deciso, stravolgono nuovamente le regole Superbonus 110% allargando di fatto la platea dei potenziali beneficiari.

C’è però un nuovo limite, la soglia ISEE è stata sostituita con un limite temporale agli interventi.

Questo significa che ci sarà l’obbligo di presentare lo stato dei lavori dimostrando di aver completato almeno il 30% degli interventi previsti entro giugno, in modo tale da poter proseguire con i lavori fino a fine 2022.

Questo è dunque il compromesso che sembrerebbe aver messo tutti d’accordo in parlamento.

“Siamo tutti d’accordo sulle unifamiliari di tornare alla norma precedente” questo è quanto dichiarato dalla senatrice di Italia Viva Donatella Conzatti dopo il vertice di maggioranza tenutosi martedì scorso.

Superbonus 110%: il visto di conformità complica la misura

A fronte di emendamenti che vengono cancellati c’è ne sono altri che sono stati confermati e sono già operativi.

E’ il caso di quanto introdotto a partire dal 12 novembre riguardo la necessità di dover presentare il visto di conformità insieme al resto della documentazione richiesta.

La norma inizialmente valida solo per chi avesse deciso di usufruire dell’agevolazione fiscale prevista dal Superbonus 110% attraverso le modalità sconto in fattura e cessione del credito, a partire dal 26 novembre è stata estesa anche a chi decide di procedere con il rimborso  in dichiarazione dei redditi, ripartendo la detrazione spettante in 5 o 10 (a seconda del bonus) rate annuali di pari importo.

Visto di conformità che dunque entra a far parte in modo permanente della documentazione richiesta per tutti coloro che vorranno beneficiare di quanto previsto dal Superbonus 110%

Quest’ultimo documento è stato introdotto per combattere il fenomeno dei furbetti delle fatture “gonfiate” verificando la veridicità delle spese contenute.

Il biennio appena trascorso ci ha infatti dimostrato come quanto più l’agevolazione fiscale è conveniente quanto più spuntano fuori fenomeni di illegalità pronti a speculare sui benefici ricevuti con ingenti danni alle casse dello Stato oltre che all’intera comunità di cittadini onesti.

Fenomeni di questo tipo si sono verificati con il Superbonus 110% ed ancora prima con il reddito di Cittadinanza, vedremo se le misure prese nelle ultime settimane riusciranno dunque ad arginare queste casistiche.

Superbonus 110%: quali sono i lavori ammessi?

Dopo aver ampiamente trattato le novità dell’ultimo minuto che di fatto hanno cambiato per l’ennesima volta le regole del Superbonus 110% andiamo ora a ricordare quali sono i lavori ammessi da questa misura.

Il Superbonus 110% nasce con l’obiettivo di riqualificare dal punto di vista energetico circa il 50% del parco immobili italiano, questa è la promessa contenuta all’interno del PNRR.

Migliorare l’efficienza energetica delle nostre abitazioni o dei nostri condomini significa renderli, attraverso alcuni interventi, più economici grazie a minor dispersione energetiche che quindi ridurranno i consumi e quindi gli importi delle bollette di luce, gas, acqua.

I lavori ammessi si dividono in principali o trainanti:

– lavori riguardanti l’isolamento termico delle pareti esterne ( cappotto termico );

– lavori riguardanti la sostituzione della centrale termica e quindi dei vecchi impianti di climatizzazione e riscaldamento;

– interventi strutturali per il miglioramento antisismico (Sisma bonus).

Ed inoltre ci sono i lavori definiti trainati che consistono nella:

– sostituzione degli infissi;

– abbattimento delle barriere architettoniche

– installazione della colonnina per la ricarica di veicoli elettrici;

– installazione di pannelli fotovoltaici.

Per poter avviare il cantiere e cominciare con i lavori elencati si dovrà necessariamente procedere con l’invio agli organi competenti di tutta la documentazione richiesta.

Il mancato inoltro di uno solo tra i documenti richiesti porterebbe a non poter usufruire della detrazione del 110%, oltre che a rischiare una sanzione amministrativa  compresa tra 2.000 e 15.000 euro.

Superbonus 70%? Ecco cosa cambierà dal 2024!

Il Superbonus 110% quasi certamente sarà una misura che durerà nel tempo.

l Governo Draghi starebbe dunque valutando la possibilità di una proroga fino al 2024.

A fronte di un’ ottima longevità quello che sicuramente vedremo cambiare con il tempo sarà la riduzione delle agevolazioni fiscali.

La detrazione del 110% rende il Superbonus una misura molto dispendiosa per lo Stato e poco sostenibile.

L’intenzione del Governo Draghi è quella di confermare la misura per i prossimi anni avvenire a fronte di una graduale riduzione dell’aliquota di detrazione che si abbasserà inizialmente dal 110% al 70%.

Riduzione dell’aliquota che continuerà negli anni che potrebbe arrivare al 65% nel 2025 e così via fino al 2029 anno in cui lo Stato avrà terminato con i vari pagamenti e rimborsi fiscali per i richiedenti del Superbonus 110%.

Superbonus 110%: in cosa consistono lo sconto in fattura e la cessione del credito

Le modalità di accesso alle agevolazioni fiscali previste dal Superbonus 110% sono tre, tutte confermate anche per il 2022.

Due delle tre previste rendono la misura decisamente più conveniente poichè non prevedono che il beneficiario anticipi neanche un euro dell’intera somma preventivata per lo svolgimento dei lavori, si tratta della cessione del credito e dello sconto in fattura.

Per quanto riguarda lo sconto in fattura sarà l’impresa che avrà eseguito i lavori ad applicare uno sconto del 100% sulla somma totale, questo significa che il cittadino beneficiario non dovrà pagare nulla per i lavori effettuati.

La cessione del credito invece prevede che il beneficiario ceda il credito a banche o istituti finanziari consenzienti anche in questo caso il cittadino si troverà a non pagare nulla per i lavori eseguiti.

Infine la terza modalità, meno conveniente, è la detrazione Irpef con il rimborso previsto in denuncia dei redditi tramite 5 rate annuali di uguale importo.