La legittimazione dell’amministratore

Il previo mandato non è sempre necessario: la legittimazione dell’amministratore di condominio nella diesa delle parti comuni, per il rispetto del regolamento condominiale e per la riscossione dei crediti

Nomina del legale: l’amministratore può sceglierlo in autonomia?

La questione se l’amministratore necessiti della previa autorizzazione dell’assemblea ai fini della nomina del legale o se, al contrario, possa procedervi autonomamente è argomento dibattuto. Sul punto, la Cassazione ha dato indicazione precisa. Che succede se l’amministratore nomina, come difensore del condominio, un avvocato suo amico o, comunque, lo fa senza consultare l’assemblea prima di conferirgli il mandato? Nulla: in base all’attuale legge e giurisprudenza consolidata, tra le funzioni tipiche dell’amministratore rientrano anche quelle di conferire la delega al legale per difendere il condominio, ad esempio resistendo all’impugnazione fatta da un condomino a una delibera assembleare (v. Cass. sent. n. 8309/2015).

Allo stesso modo, senza prima informare l’assemblea l’amministratore potrebbe incaricare l’avvocato di fare appello contro una sentenza sfavorevole al condominio, in considerazione anche dei tempi stretti entro cui va notificato l’atto di impugnazione. Una decisione del genere, infatti, stando alla su citata sentenza, non comporta né preventiva autorizzazione né tantomeno successiva ratifica da parte dei condomini, poiché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano fra le attribuzioni proprie dell’amministratore e nell’esercizio delle sue funzioni: lo stesso principio aveva espresso la Suprema Corte nel 2014 (Cass. sent. n. 1451 del 23.01.2014).

Nella propria sfera di competenze (ordinarie o incrementate dall’assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di autorizzazione.

Non di meno la differenza tra le materie che rientrano nelle attribuzioni dell’amministratore e quelle che ne esorbitano è essenziale in tema di legittimazione passiva: passivamente legittimato nelle controversie aventi un oggetto che rientra nelle sue attribuzioni (autonomamente, ad esempio, costituendosi in giudizio per impugnare l’eventuale sentenza sfavorevole), maggiori dubbi solleva l’ipotesi nella quale la controversia abbia un oggetto che travalica le attribuzioni dell’amministratore. In tal caso è previsto un obbligo di previa informativa all’assemblea, in caso contrario può essere revocato ed è tenuto al risarcimento di eventuali danni.

La legittimazione dell’amministratore di condominio

In generale, l’amministratore di condominio è legittimato a intraprendere tutte le azioni giudiziali a tutela dei diritti del condominio e, quindi, indirettamente, anche degli stessi condomini. Rientra quindi nelle sue attribuzioni avviare una causa o difendere il condominio da un’azione intrapresa da altri (siano essi gli stessi condomini o i terzi) senza bisogno di richiedere prima l’autorizzazione dell’assemblea, come poc’anzi precisato.

È pacifico che l’amministratore possa agire autonomamente quando siano oggetto di giudizio questioni che rientrino nelle sue specifiche competenze istituzionali ai sensi degli art. 1130 e 1131 cod. civ. In tutti gli altri casi, egli deve sempre farsi prima autorizzare dall’assemblea o, in mancanza, richiedere da questa una ratifica dell’operato.

Altrettanto piano è il fatto che l’amministratore del condominio sia legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, disciplinare l’uso delle cose comuni così da assicurare il godimento a tutti i partecipanti al condominio, riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.

La delibera che autorizza il capo condomino a promuovere o resistere in una causa, nelle altre materie al di fuori degli esempi citati, deve essere assunta con il consenso della maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresenti almeno la metà dei millesimi dell’edificio.

Riscossione dei crediti condominiali e legittimazione dell’amministratore

L’amministratore può agire senza previa autorizzazione dell’assemblea per riscuotere i crediti nei confronti dei condomini morosi. Pertanto, è legittimato a nominare un avvocato affinché richieda un decreto ingiuntivo e può costituirsi in giudizio nel caso in cui il debitore proponga opposizione al decreto stesso.

L’amministratore ha l’autonomia, una volta ricevuta la notifica di un decreto ingiuntivo da parte di un fornitore, di nominare un avvocato di propria fiducia e incaricarlo di svolgere l’opposizione nelle modalità già descritte. Anche in questo caso, non necessita della previa autorizzazione dell’assemblea a meno che l’ oggetto del decreto non rientri tra le sue attribuzioni di competenza elencate dalla legge. Tra queste si può annoverare il pagamento dei fornitori.

Legittimazione dell’amministratore per il rispetto del regolamento condominiale

L’amministratore è legittimato ad agire in giudizio (sia in forma attiva che passiva), senza la necessità di una delibera preventiva di autorizzazione dell’assemblea per ottenere il rispetto del regolamento condominiale: ciò poiché l’esecuzione e la difesa delle delibere assembleari rientrano tra le attribuzioni proprie dell’amministratore (v. Cass. n. 1451/2014).

Niente case di riposo nei condomini

Il regolamento che vieta di svolgere negli appartamenti destinati ad uso abitativo attività di tipo commerciale, deve essere interpretato nel senso che tra le attività escluse ci sono anche le case di riposo per gli anziani. Trattasi infatti di attività che prevedono prestazioni assistenziali e alberghiere esercitate in forma imprenditoriale in cambio di una prestazione in denaro. L’assemblea può quindi inibirla con delibera, se il regolamento vieta lo svolgimento delle attività delle “industrie, professioni, laboratori, commerci, arti e mestieri.” Questi i chiarimenti forniti dalla Cassazione con la sentenza n. 38639/2021

Tralasciando l’esame delle questioni puramente procedurali e concentrando l’attenzione sul merito della questione, si evidenzia che la Corte di Cassazione ha rigettato le tesi difensive sollevate dai due condomini.

La Cassazione rileva che nel caso di specie il divieto di esercitare determinate attività all’interno del condominio è legittimo in quanto sancito da una “pattuizione contrattuale con cui, la fine di imprimere determinate caratteristiche all’edificio, si impongono limitazioni (il peso di cui all’art. 1027 c.c.) alla libertà di utilizzazione delle porzioni di proprietà esclusiva, attinenti non all’attività personale dei condomini, bensì alla proprietà del singolo immobile (…)”

Per quanto riguarda poi l’interpretazione delle clausole del regolamento che nel caso di specie vietano l’esercizio dell’attività di casa di riposo all’interno del Condominio, la Cassazione, dopo aver richiamato la corretta definizione della Corte di merito chiarisce che “Il dato che le case di riposo per anziani debbano comunque possedere i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione non contrasta con la diversa considerazione che le medesime case di riposo si connotano come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socio assistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero.”

Non rilevano, ai fini della esclusione delle case di riposo tra le attività commerciali vietate, le classificazioni della Camera di commercio, i pareri dell’Avvocatura dello Stato, le evoluzioni della legislazione in tema di servizi socio-assistenziali e il regime fiscale di esenzione stabilito per le prestazioni socio assistenziali.

Conclusioni che confermano anche la recente decisione del Tribunale di Napoli, che con la sentenza n. 147/2021 (sotto allegata) ha escluso la possibilità, all’interno di un condominio, di destinare gli appartamenti a case di riposo, perché trattasi di attività che prestano servizi anche di tipo alberghiero e assistenziale, non rileva che la destinazione dell’appartamento sia rimasta abitativa.

IL GREEN PASS IN CONDOMINIO

Il Decreto Legge n. 127 del 21 settembre 2021 ha introdotto il nuovo art. 9-septies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato). Secondo la nuova disposizione, dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, per prevenire la diffusione dell’epidemia, chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato ha l’obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19, proprio per accedere ai luoghi in cui si svolge l’attività stessa.

Tale disposizione si applica a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato anche sulla base di contratti esterni.

L’obbligo non si applica ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Dunque, alla luce del nuovo disposto normativo, sia i datori di lavoro sia i lavoratori sono obbligati al rispetto di queste nuove normative.

Le verifiche del possesso del Green Pass

I datori di lavoro sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni, anche a campione, procedendo prioritariamente con i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro.

I lavoratori che comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o che risultino comunque privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della certificazione, e non hanno diritto alla relativa retribuzione per il periodo di assenza.

Sia l’accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi sulla certificazione verde, sia la violazione delle disposizioni sui controlli, sono sanzionati amministrativamente. Sono previste sanzioni sia per il datore sia per i lavoratori.

L’amministratore di condominio quale professionista

La normativa non fa distinzione tra uffici aperti al pubblico o privati, o tra categorie e settori. Pertanto sia l’amministratore di condominio sia i suoi dipendenti in studio devono essere in possesso di Green Pass. Nel caso dei dipendenti, gli amministratori/datori di lavoro sono i soggetti ai quali viene attribuito il compito di definire le modalità operative per organizzare le verifiche, anche a campione, circa il possesso del Green Pass.

Dall’interpretazione delle ultime FAQ del 12 ottobre 2021, pare possibile dedurre che nei confronti dei clienti permane l’obbligo di adottare il protocollo di cui al DPCM 2 marzo 2021: cioè niente certificazione verde, ma solo misurazione della temperatura e mascherina.

Dalla lettura della norma, inoltre, si evince anche il Green Pass sembrerebbe obbligatorio anche per i formatori nel caso in cui lo studio di amministrazione organizzi corsi di formazione per il personale dipendente o aperti al pubblico.

Il condominio quale luogo di lavoro

Nella nozione di “luogo di lavoro” rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura. In base all’art. 62 del d.lgs. n. 81/2008, assumano tale qualifica “i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Pertanto, il condominio edilizio può certamente essere definito come “luogo di lavoro”.

L’amministratore e gli altri lavoratori in condominio

L’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale alla lettera b) stabilisce che per datore di lavoro s’intende “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Quindi l’amministratore di condominio va considerato un datore di lavoro solo quando il condominio è assimilabile a un’azienda o a una unità produttiva (Circ. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 5 marzo 1997, n. 28). Su questo aspetto, tuttavia, è importante sottolineare che nei rapporti di subordinazione con i lavoratori presenti in Condominio (ad esempio, portiere e gli addetti alla pulizia, giardinaggio, ecc.), il datore di lavoro è il “condominio” nella sua unitarietà.

Per tali ragioni, i citati lavoratori insieme all’amministratore sono obbligati ad avere il Green Pass.

Green pass in assemblea di condominio

Dal silenzio del legislatore sul punto, che non menziona in nessuna parte del decreto legge n. 127/2021 eventuali controlli o cause ostative alla partecipazione dei condòmini alle assemblee di condominio, attualmente non sarà necessario esibire il Green pass.

Tuttavia, come osservato dai primi commentatori, la partecipazione all’assemblea condominiale può imporre di essere provvisti della certificazione verde COVID-19 in caso di accesso in uno dei luoghi di cui all’articolo 9 bis del decreto legge n. 52/2021, come per esempio centri culturali, centri sociali e ricreativi, spettando in tal caso ai titolari o ai gestori il compito di procedere alle necessarie verifiche.

Negli altri casi – spazi comuni condominiali o presso lo studio dell’amministratore – il professionista e il presidente devono garantire la partecipazione in sicurezza considerato l’obbligo di indossare la mascherina e la sanificazione degli ambienti.

Grandi novità dell’ultimo minuto per quanto riguarda il Superbonus 110%.

Alcuni degli emendamenti inseriti nella Legge di Bilancio 2022, a pochi giorni dall’approvazione, che avrebbero stravolto rendendo più stringente l’applicazione del bonus verranno rimossi.

Le interlocuzioni tra maggioranza e Governo sono ancora in corso, ma sembra esserci un intesa sulla volontà di voler eliminare la soglia ISEE di 25.000 euro per i proprietari di villette e abitazioni unifamiliari.

Verrà rimosso anche il vincolo che prevede che la villetta debba essere necessariamente adibita ad abitazione principale per poter accedere al Superbonus 110%.

Si sta lavorando per trovare un intesa anche per cercare di rendere quanto più convenienti possibile anche altri bonus edilizi per il 2022.

E’ il caso del bonus facciate per il quale si prova a prorogare l’aliquota di detrazione del 90% evitando quanto previsto dalla bozza della manovra che prevede invece per il 2022 una detrazione del 60%.

Gli emendamenti contenuti nella Legge di Bilancio e che dovranno essere discussi nei prossimi giorni sono 690.

Molti di esse riguardano la categoria dei bonus edilizi, determinanti per il futuro di molte famiglie che in base alle nuove condizioni previste per il 2022 potranno decidere se avviare o meno lavori di riqualificazione energetica, di diminuzione del rischio sismico o di rifacimento delle facciate della propria abitazione o del proprio condominio.

Oltre alle famiglie le decisioni prese dal governo riguardo il Superbonus 110% insieme a tutte le altre misure saranno determinanti anche per il futuro di molti professionisti e sulle imprese che si occupano degli interventi.

Incentivi e agevolazioni fiscali che muovono milioni di euro, creano posti di lavoro e fanno risparmiare sui lavori in casa.

Le scelte che si prenderanno in Legge di Bilancio avranno ripercussioni importanti: vediamo le proposte in gioco e le ultime novità.

Superbonus 110% senza ISEE? Cambiano nuovamente le regole per villette e abitazioni unifamiliari

Il Governo dunque ha molto probabilmente raggiunto un intesa che dovrebbe avvicinare il Superbonus 110% a come lo abbiamo conosciuto nel 2021.

Gli emendamenti che vedevano la soglia ISEE di 25.000 euro per le abitazioni unifamiliari, oltre che il vincolo di dover dichiarare la propria villetta o abitazione come prima casa per poter usufruire delle agevolazioni previste, verranno rimossi dal testo della Legge di Bilancio 2022.

Queste sono le due più grandi novità dell’ultimo minuto, quando ormai tutto sembrava deciso, stravolgono nuovamente le regole Superbonus 110% allargando di fatto la platea dei potenziali beneficiari.

C’è però un nuovo limite, la soglia ISEE è stata sostituita con un limite temporale agli interventi.

Questo significa che ci sarà l’obbligo di presentare lo stato dei lavori dimostrando di aver completato almeno il 30% degli interventi previsti entro giugno, in modo tale da poter proseguire con i lavori fino a fine 2022.

Questo è dunque il compromesso che sembrerebbe aver messo tutti d’accordo in parlamento.

“Siamo tutti d’accordo sulle unifamiliari di tornare alla norma precedente” questo è quanto dichiarato dalla senatrice di Italia Viva Donatella Conzatti dopo il vertice di maggioranza tenutosi martedì scorso.

Superbonus 110%: il visto di conformità complica la misura

A fronte di emendamenti che vengono cancellati c’è ne sono altri che sono stati confermati e sono già operativi.

E’ il caso di quanto introdotto a partire dal 12 novembre riguardo la necessità di dover presentare il visto di conformità insieme al resto della documentazione richiesta.

La norma inizialmente valida solo per chi avesse deciso di usufruire dell’agevolazione fiscale prevista dal Superbonus 110% attraverso le modalità sconto in fattura e cessione del credito, a partire dal 26 novembre è stata estesa anche a chi decide di procedere con il rimborso  in dichiarazione dei redditi, ripartendo la detrazione spettante in 5 o 10 (a seconda del bonus) rate annuali di pari importo.

Visto di conformità che dunque entra a far parte in modo permanente della documentazione richiesta per tutti coloro che vorranno beneficiare di quanto previsto dal Superbonus 110%

Quest’ultimo documento è stato introdotto per combattere il fenomeno dei furbetti delle fatture “gonfiate” verificando la veridicità delle spese contenute.

Il biennio appena trascorso ci ha infatti dimostrato come quanto più l’agevolazione fiscale è conveniente quanto più spuntano fuori fenomeni di illegalità pronti a speculare sui benefici ricevuti con ingenti danni alle casse dello Stato oltre che all’intera comunità di cittadini onesti.

Fenomeni di questo tipo si sono verificati con il Superbonus 110% ed ancora prima con il reddito di Cittadinanza, vedremo se le misure prese nelle ultime settimane riusciranno dunque ad arginare queste casistiche.

Superbonus 110%: quali sono i lavori ammessi?

Dopo aver ampiamente trattato le novità dell’ultimo minuto che di fatto hanno cambiato per l’ennesima volta le regole del Superbonus 110% andiamo ora a ricordare quali sono i lavori ammessi da questa misura.

Il Superbonus 110% nasce con l’obiettivo di riqualificare dal punto di vista energetico circa il 50% del parco immobili italiano, questa è la promessa contenuta all’interno del PNRR.

Migliorare l’efficienza energetica delle nostre abitazioni o dei nostri condomini significa renderli, attraverso alcuni interventi, più economici grazie a minor dispersione energetiche che quindi ridurranno i consumi e quindi gli importi delle bollette di luce, gas, acqua.

I lavori ammessi si dividono in principali o trainanti:

– lavori riguardanti l’isolamento termico delle pareti esterne ( cappotto termico );

– lavori riguardanti la sostituzione della centrale termica e quindi dei vecchi impianti di climatizzazione e riscaldamento;

– interventi strutturali per il miglioramento antisismico (Sisma bonus).

Ed inoltre ci sono i lavori definiti trainati che consistono nella:

– sostituzione degli infissi;

– abbattimento delle barriere architettoniche

– installazione della colonnina per la ricarica di veicoli elettrici;

– installazione di pannelli fotovoltaici.

Per poter avviare il cantiere e cominciare con i lavori elencati si dovrà necessariamente procedere con l’invio agli organi competenti di tutta la documentazione richiesta.

Il mancato inoltro di uno solo tra i documenti richiesti porterebbe a non poter usufruire della detrazione del 110%, oltre che a rischiare una sanzione amministrativa  compresa tra 2.000 e 15.000 euro.

Superbonus 70%? Ecco cosa cambierà dal 2024!

Il Superbonus 110% quasi certamente sarà una misura che durerà nel tempo.

l Governo Draghi starebbe dunque valutando la possibilità di una proroga fino al 2024.

A fronte di un’ ottima longevità quello che sicuramente vedremo cambiare con il tempo sarà la riduzione delle agevolazioni fiscali.

La detrazione del 110% rende il Superbonus una misura molto dispendiosa per lo Stato e poco sostenibile.

L’intenzione del Governo Draghi è quella di confermare la misura per i prossimi anni avvenire a fronte di una graduale riduzione dell’aliquota di detrazione che si abbasserà inizialmente dal 110% al 70%.

Riduzione dell’aliquota che continuerà negli anni che potrebbe arrivare al 65% nel 2025 e così via fino al 2029 anno in cui lo Stato avrà terminato con i vari pagamenti e rimborsi fiscali per i richiedenti del Superbonus 110%.

Superbonus 110%: in cosa consistono lo sconto in fattura e la cessione del credito

Le modalità di accesso alle agevolazioni fiscali previste dal Superbonus 110% sono tre, tutte confermate anche per il 2022.

Due delle tre previste rendono la misura decisamente più conveniente poichè non prevedono che il beneficiario anticipi neanche un euro dell’intera somma preventivata per lo svolgimento dei lavori, si tratta della cessione del credito e dello sconto in fattura.

Per quanto riguarda lo sconto in fattura sarà l’impresa che avrà eseguito i lavori ad applicare uno sconto del 100% sulla somma totale, questo significa che il cittadino beneficiario non dovrà pagare nulla per i lavori effettuati.

La cessione del credito invece prevede che il beneficiario ceda il credito a banche o istituti finanziari consenzienti anche in questo caso il cittadino si troverà a non pagare nulla per i lavori eseguiti.

Infine la terza modalità, meno conveniente, è la detrazione Irpef con il rimborso previsto in denuncia dei redditi tramite 5 rate annuali di uguale importo.

Decreto ingiuntivo per debiti condominiali: basta una delibera di approvazione del consuntivo

Ogni condòmino che abbia un’esposizione debitoria verso il condominio, si è posto almeno una volta un interrogativo: la delibera che approva il consuntivo da cui emergono tutti i debiti di ciascun partecipante alla cosa comune, può costituire valido titolo per un’azione di recupero crediti? Non è una questione di poco conto: difatti, molti condòmini non attribuiscono la corretta rilevanza giuridica all’approvazione di un bilancio consuntivo; si tende erroneamente a pensare che il consuntivo sia soltanto un rendiconto insuscettibile di confermare la posta di debito di ogni condòmino.

L’iter procedurale

Tale errato convincimento, induce a ritenere che, se il condominio decidesse di agire per il recupero dei crediti maturati verso uno o più condòmini, sarebbe comunque necessario procedere ad individuare e produrre il titolo di credito specifico su cui si fonda la pretesa; si dovrebbe poi recapitare al/ai debitore/i un formale atto stragiudiziale di diffida e messa in mora per interrompere la prescrizione del credito; e solo dopo avere assolto ai passaggi precedenti, si potrebbe legittimamente chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo. Ebbene, con la recentissima ordinanza numero 27849 del 12 ottobre 2021, la Cassazione, torna su questo tema già oggetto di numerose ed uniformi pronunzie, facendoci comprendere che occorre guardare all’approvazione del consuntivo come ad un atto capace di dare pieno e legittimo fondamento ad un’ingiunzione di pagamento.

Il caso

Un condominio , in persona del suo amministratore, otteneva dal Giudice di pace l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di un condòmino debitore di somme per spese condominiali relative a più anni di gestione. Il decreto ingiuntivo veniva concesso sulla scorta della delibera di assemblea con cui erano stati approvati il consuntivo per l’anno 2017 ed il preventivo per l’anno 2018; da precisare che il consuntivo riportava dettagliatamente tutti i debiti rimasti insoluti negli anni precedenti. Il condòmino ingiunto, si determinava a spiegare opposizione, argomentando circa lil fatto che non fosse tenuto a corrispondere alcunché.

Difatti, secondo l’assunto del condòmino, il consuntivo 2017 poteva giustificare soltanto l’emissione di un decreto ingiuntivo volto al recupero di crediti maturati nel corso di quell’anno di gestione, essendo invece necessario fornire altro valido titolo per il recupero del pregresso. Si pronunziava sull’opposizione il Tribunale di Genova, che rigettava ogni richiesta avanzata dal condòmino moroso, adducendo il pieno valore della delibera di approvazione del consuntivo 2017 quale titolo idoneo all’ottenimento di un legittimo decreto ingiuntivo per i debiti antecedenti. Il condòmino, per nulla d’accordo con i giudici, decideva quindi a ricorrere in Cassazione.

Il valore della delibera di approvazione del consuntivo

La Suprema corte a questo punto, osserva come il consuntivo per successivi periodi di gestione che nel prospetto dei conti individuali per singolo condòmino, riporti tutte le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità precedenti, una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile.

Trattasi della norma che disciplina le sorti cui possono andare incontro tutte le deliberazioni adottate dall’assemblea dei condòmini: se uno dei compartecipanti alla cosa comune dissente rispetto alla delibera, ha 30 giorni di tempo (decorrenti dal momento in cui ha avuto conoscenza dell’atto) per ricorrere all’autorità giudiziaria e chiedere che sia pronunziata la sua nullità o annullabilità. Cosa succede, dunque, se il condòmino moroso non impugna il verbale con cui si approva il consuntivo che conferma la sua posta di debito? Ebbene, «il consuntivo approvato e non contestato, costituisce idoneo titolo del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non costituendo un nuovo fatto costitutivo del credito stesso» (Cassazione, 7741/2017; Cassazione, 3847/2021; Corte d’appello Milano, 1906/2021).

La delibera condominiale di approvazione, legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condòmino a pagare le somme; difatti, in sede di opposizione, occorre soltanto dimostrare la perdurante esistenza e validità della deliberazione assembleare di approvazione della spesa, e di ripartizione del relativo onere (Cassazione, Sezioni unite, 26629/2009). In buona sostanza, «dall’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, che è munito della forza vincolante propria degli atti collegiali ai sensi del primo comma dell’articolo 1137 del Codice civile, discende l’insorgenza, e quindi anche la prova, dell’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condòmini è tenuto a contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio».

Conclusioni

Tornando al caso di specie, la Cassazione, in perfetta coerenza con tutti i suoi pronunciamenti in argomento, con la sua ultima ordinanza dichiara validissimo e legittimo l’operato del Tribunale di Genova che, rilevando come la delibera di approvazione del consuntivo 2017 non fosse stata impugnata, benché il condòmino moroso fosse presente all’assemblea, ne ha conseguentemente ricavato la corretta deduzione che nessuna contestazione poteva essere sollevata nel giudizio di opposizione, essendosi la delibera ormai perfettamente consolidata. Attenzione, quindi, a dare la giusta rilevanza all’approvazione di un bilancio consuntivo: è sufficiente tale atto per avviare validamente il recupero coattivo dei crediti vantati dal condominio.

Superbonus: se cambia l’aspetto dell’edificio devono essere favorevoli tutti i condomini

In base all’ultimo comma dell’articolo 1120 del Codice civile “sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.

Quella di decoro architettonico è una espressione che lascia ampio spazio all’interpretazione; per questo è stata la giurisprudenza a stabilirne il perimetro ideale, definendo come tale quell’insieme armonico di linee architettoniche ed elementi estetici idonei a conferire al fabbricato la sua identità. Di conseguenza, il cambiamento dell’identità estetica di un edificio costituisce una alterazione del suo decoro architettonico; non importa se il cambiamento sia migliorativo o peggiorativo, che costituisce una valutazione opinabile per sua natura, ma è il fatto che un cambiamento ci sia a costituire una alterazione del decoro architettonico; alterazione vietata dal Codice civile.

Di questo si è occupata la tredicesima sezione civile della Corte d’Appello del Tribunale di Milano, in relazione all’installazione di un cappotto termico, nel contesto dei lavori di riqualificazione energetica previsti dal cosiddetto Superbonus, con la recente sentenza del 30 settembre 2021.

La delibera condominiale, approvata con le maggioranze previste dal comma 9-bis dell’articolo 119 del DL 34/2020 per il Superbonus, è stata contestata da alcuni condomini perché l’installazione del cappotto termico avrebbe comportato il cambio dei colori delle facciate e l’installazione di una fascia verticale in corrispondenza di ciascun balcone; fatto che, secondo i condomini contrari, avrebbe rappresentato una alterazione del decoro architettonico dell’edificio.

Per ovvi motivi la valutazione se l’intervento comporti effettivamente alterazione del decoro architettonico dell’edificio va fatta caso per caso, non essendo possibile generalizzare sull’entità delle modifiche estetiche; ma, nel caso specifico, il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso dei condomini contrari. Il punto è che, in tutti quei casi in cui l’aspetto esteriore degli edifici risulta modificato in modo sensibile, alla luce dell’articolo 1120 del Codice civile, la contrarietà anche di uno solo dei condomini è sufficiente a non autorizzare i lavori.

È infatti un divieto relativo quello imposto dall’ultimo comma dell’articolo 1120 del Codice civile; partendo dalla considerazione che l’alterazione del decoro architettonico di un edificio costituisce una valutazione opinabile, in questi casi il divieto si supera con il consenso unanime di tutti condomini, che, nel caso in questione, non vi è stato.

Dato che:

– gli interventi previsti avrebbero comportato il cambiamento dell’aspetto esteriore del fabbricato;

– la disciplina speciale del Superbonus non deroga le norme codicistiche;

– la delibera assembleare che ha autorizzato i lavori non presentava il consenso unanime di tutti i condomini.

Alla luce di ciò, il Tribunale di Milano ha sospeso l’esecutività della delibera.

In considerazione del fatto che l’installazione del cappotto termico costituisce uno dei principali interventi trainanti previsti dal Superbonus, l’assemblea che decide di approvare questi miglioramenti, senza l’unanimità dei condomini, dovrà fare attenzione alla circostanza che i lavori programmati non alterino sensibilmente l’aspetto esteriore dell’edificio.

Nel caso in ciò avvenga, anche un solo condomino potrebbe contestare la delibera assunta non all’unanimità, mettendo a rischio la possibilità di usufruire dell’agevolazione fiscale, dati i tempi tecnici del processo civile che avrà il compito di stabilire se ci sia stata effettiva violazione del decoro architettonico dell’edificio.

Superbonus e condominio: come superare l’impasse dell’assemblea

La normativa prevede la possibilità di liberare da responsabilità i condomini contrari al beneficio fiscale attraverso l’accollo della spesa da parte dei condomini favorevoli.

L’articolo 119 del DL 34/2020, il cosiddetto Decreto Rilancio, che regola i meccanismi di funzionamento del bonus fiscale comunemente chiamato Superbonus, è stato molte volte modificato, rispetto alla sua versione originaria.

Nel momento in cui si scrive, in base al comma 9-bis dell’articolo 119 del DL 34/2020, convertito dalla Legge 77/2020, le deliberazioni dell’assemblea del condominio che approvano la decisione di usufruire del Superbonus, e, eventualmente, di usufruire dello sconto in fattura o della cessione del credito, devono essere assunte “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio”.

La previsione normativa cerca di trovare un equilibrio tra la necessità di richiedere una maggioranza che sia abbastanza qualificata da deliberare interventi così importanti quali quelli che interessano il Superbonus, ma che non sia così ampia da divenire un ostacolo per l’effettiva assunzione delle deliberazioni.

Le maggioranze previste, che non sembrano proibitive, possono diventare importanti quando le dimensioni del condominio sono di notevole entità; in questi casi non è raro trovare tanti condomini interessati ad accedere al beneficio fiscale, ma in numero non sufficiente per approvare gli interventi.

Nel caso in cui la contrarietà degli altri condomini non sia un punto di principio, ma configuri solo la volontà di non usufruire del beneficio fiscale (a prescindere dalla motivazione, che resta una valutazione personale e che può essere di vario ordine, come la difficoltà a sostenere la spesa o la difformità urbanistica dell’unità immobiliare interessata), il medesimo comma 9-bis dell’articolo 119 del DL 34/2020, con le modalità enunciate dalla prassi in occasione della risposta a Interpello 620/2021, prevede la possibilità che i condomini interessati a realizzare gli interventi possano manifestare, in sede assembleare, l’intenzione di accollarsi l’intera spesa riferita a tali interventi.

Questa possibilità, offerta dal legislatore, permette ai condomini che hanno certezza di poter fruire dell’agevolazione fiscale di prendersi carico della parte della spesa che sarebbe a carico dei condomini che hanno espresso parere contrario, superando così l’impasse dell’assemblea; in questa situazione l’assemblea potrebbe approvare senza esitazione, avendo liberato da ogni incombenza i condomini contrari, in quanto, come espresso chiaramente dall’Agenzia delle Entrate “in tale ipotesi, ne risponderà in caso di non corretta fruizione del Superbonus esclusivamente il condomino o i condomini che ne hanno fruito”.

Sempre il comma 9-bis dell’articolo 119 del DL 34/2020, dispone che le deliberazioni dell’assemblea del condominio, che imputano a uno o più condomini l’intera spesa deliberata, sono anch’esse valide se approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno un terzo del valore dell’edificio, le medesime previste per l’approvazione del beneficio fiscale, e “a condizione che i condomini ai quali sono imputatele spese esprimano parere favorevole”.

La revoca anticipata senza giusta causa e/o rinuncia all’incarico

Quando l’amministratore può chiedere il risarcimento e quando rischia di vederselo domandato?

La deliberazione di nomina seguita dall’accettazione dell’incarico fa sorgere il contratto di mandato che lega la compagine all’amministratore. L’incarico, per espressa previsione legislativa, ha durata annuale e si rinnova automatica per un altro anno (art. 1129 c.c.).

Di fatto una sorta di contratto 1+1 come il più noto 4+4 per le locazioni. Ciò significa che al termine del periodo di gestione il mandatario decade ex lege dal proprio incarico.

 L’Amministratore di condominio e le basi del Mandato

La giurisprudenza ha chiarito che fino alla assemblea successiva assemblea di conferma o revoca, l’amministratore prosegue il proprio incarico nel regime così detto di prorogatio imperii (cfr. Cass. n. 1445 del 1993). L’indicazione giurisprudenziale è stata tradotta in legge ad opera della così detta riforma (cfr. art. 1129, ottavo comma, c.c.).

Si tratta di una sorta di mandato ad interim necessario a garantire la continuità amministrativa del condominio.

Ciò detto è ben possibile che il rapporto giuridico venga interrotto dal condominio prima del termine naturale.

Al riguardo è chiarissimo l’inciso iniziale dell’undicesimo comma dell’art. 1129 c.c. allorquando ricorda che la revoca del mandatario del condominio “?può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio”.

Per assurdo, quindi, l’amministratore potrebbe essere revocato anche subito dopo la nomina. È sufficiente farne richiesta nei modi e nei termini di cui all’art. 66 disp. att. c.c. e successivamente deliberarne la revoca con le maggioranze previste dalla legge (art. 1136 c.c.).In questo contesto il riferimento alle modalità regolamentari dev’essere inteso come individuazione di specifiche modalità attinenti al procedimento di convocazione ma non ai quorum o alla possibilità stessa di revocare in ogni tempo il mandatario in quanto l’art. 1129 c.c. è tra quelli assolutamente inderogabili ai sensi dell’art. 1138 c.c..

Rebus sic stantibus, ci si è domandati: la revoca assembleare, il cui effetto sostanziale è quello del recesso anticipato dal contratto, è esercitabile ad nutum o, comunque, dev’essere giustificata per evitare una richiesta di risarcimento del danno? S’è detto che tale rapporto contrattuale è disciplinato dagli artt. 1129-1130 c.c. e dalle norme sul mandato Ebbene, il codice civile parla chiaramente:

La revoca del mandato oneroso, conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante a risarcire i danni, se è fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che ricorra una giusta causa (art. 1725, primo comma, c.c.).

In sostanza se è vero che l’assemblea può revocare l’amministratore in qualsiasi momento, è altrettanto vero che la mancanza di una giusta causa alla base deliberazione de quo consente all’amministratore revocato di agire per ottenere il risarcimento del danno.

Questa impostazione ha trovato riscontro in seno alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Era il 2004 quando è stato affermato che “se la revoca interviene prima della scadenza dell’incarico, l’amministratore avrà diritto alla tutela risarcitoria, esclusa solo in presenza di una giusta causa a fondamento della revoca (art. 1725, co. 1°, cod. civ.).

E deve ritenersi che le tre ipotesi di revoca giudiziale previste dall’art. 1129, co. 3°, cod. civ. configurino altrettante ipotesi di giusta causa per la risoluzione ante tempus del rapporto” (così Cass. SS.UU. 29 ottobre 2004 n. 20957).

Sulla stessa lunghezza d’onda s’è espressa, in passato, autorevole dottrina. In sostanza una lettura coordinata di due norme, ossia gli artt. 1129, undicesimo comma, c.c. e 1725, primo comma, c.c., consente di affermare che l’amministratore, che sia retribuito per l’opera svolta, può ottenere il risarcimento del danno per inadempimento.

E’ bene ricordare che “sulla base della tradizione manualistica costituisce principio reiterato che l’art. 1218 c.c. stabilisce a favore del creditore un’inversione dell’onus probandi, sostanzialmente basata su una presunzione di colpa in capo al debitore inadempiente” (Cendon, 2008, 466 e conf. Cass. SS.UU. 30 ottobre 2001 n. 13533).

In sostanza aderendo a questa impostazione che presenta un chiaro favor per l’amministratore revocato, quest’ultimo, nei fatti, avrà il diritto a non essere revocato senza giusta causa o, qualora ciò accadesse, avrebbe la possibilità di ottenere il risarcimento del danno corrispondente quanto meno alla mancata percezione della retribuzione fino alla cessazione naturale dell’incarico.

Per fare ciò gli basterebbe dimostrare d’essere l’amministratore e di essere stato revocato anticipatamente affermando la mancanza di una giusta causa e quantificando il danno.

Spetterebbe al condominio fornire prova della presenza di una giusta causa rintracciabile anche tra quelle elencate dall’art. 1129, terzo comma, c.c.

Se ne converrà che se dimostrare l’omessa presentazione del bilancio per due anni consecutivi non è cosa difficile, farlo con riferimento ai “fondati sospetti di gravi irregolarità” di cui parla la norma testé citata è cosa tutt’altro che agevole.

Quando amministratore condominio può ricevere compensi extra? Ecco i casi per leggi 2021

Non è prevista per legge la possibilità per un amministratore di condomino di ricevere compensi extra rispetto a quello pattuito al momento della nomina. L’unico caso in cui, per legge, è ammesso che un amministratore di condominio riceva compensi extra è quello in cui la maggiore retribuzione per l’attività di straordinaria amministrazione viene riportata nel preventivo analitico approvato al momento della nomina.

Quando amministratore condominio può ricevere compensi extra? Quando un amministratore di condominio viene nominato, le norme sul condominio prevedono l’obbligo per lo stesso amministratore di riportare all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta.

Se l’amministratore di condominio non dovesse provvedere a indicare la cifra del compenso pattuito si corre il rischio di nullità della stessa nomina. Vediamo quali sono i casi in cui è possibile che un amministratore di condominio riceva compensi extra rispetto a quello pattuito.

Quando amministratore di condominio può avere compensi extra

Generalmente, quando un amministratore di condominio viene nominato dall’assemblea, la stessa, nella stessa sede, decide anche il compenso dovuto all’amministratore. Non è prevista per legge la possibilità per un amministratore di condomino di ricevere compensi extra e una maggiore remunerazione.

L’unico caso in cui, per legge, è ammesso che un amministratore di condominio riceva compensi extra è quello in cui la maggiore retribuzione per l’attività di straordinaria amministrazione viene riportata nel preventivo analitico approvato al momento della nomina.

Inoltre, secondo quanto previsto dalle norme in vigore, l’amministratore di condominio ha diritto al compenso aggiuntivo se non è preteso in maniera unilaterale ma oggetto di delibera da parte dell’assemblea e non è dovuto alcuna maggiore retribuzione rispetto al compenso fissato in assenza di apposita delibera condominiale in merito.

Compensi extra ad amministratore di condominio chi decide

Spetta esclusivamente all’assemblea di condominio riconoscere all’amministratore di condominio un eventuale compenso straordinario all’amministratore, perché si tratta di una valutazione che rientra nelle competenze assembleari.

Bonus facciate anche solo per rifare i balconi

Anche se, come anticipato ieri, la legge di Bilancio 2022 potrebbe prorogare per tutti i bonus edilizi (e non solo per il superbonus del 110%), la possibilità di cedere il credito o di scontarlo in fattura, per tre anni (fino al 2024), resta comunque il nodo relativo alla pesante riduzione dal 90% al 60% della percentuale della detrazione del bonus facciate per il 2022.

Si tratta, però, di un’agevolazione che dal 2020 ha contribuito non solo alla riqualificazione energetica di molti «palazzi e edifici storici e moderni», ma anche al miglioramento del «decoro urbano».

Si pensi, ad esempio, che il bonus facciate può spettare anche per il restauro dei soli balconi o dei soli ornamenti e fregi, senza la necessità di effettuare il cappotto termico sulla facciata.

Balconi senza cappotti

Il bonus facciate è possibile sia per la sola pulitura o tinteggiatura esterna, che per gli «interventi influenti dal punto di vista termico» o su più del 10% dell’intonaco. In questi ultimi due casi, servono le stesse pratiche previste per l’ecobonus ordinario, come l’asseverazione, il computo metrico, l’Ape finale, le schede tecniche dei materiali e la comunicazione all’Enea.

In ogni caso, sono detraibili «esclusivamente gli interventi sulle strutture opache della facciata, su balconi» (cioè i poggioli e non le persiane cosiddette a balcone) o su «ornamenti e fregi». Il bonus facciate si applica «anche agli interventi di restauro dei balconi, senza interventi sulle facciate».

In particolare, per gli interventi su balconi o su ornamenti e fregi, la detrazione spetta per il consolidamento, ripristino, inclusa la mera pulitura e tinteggiatura della superficie, orinnovo degli elementi costitutivi degli stessi. Spetta anche per gli altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi in questione, come ad esempio per la rimozione e impermeabilizzazione e rifacimento della pavimentazione del balcone, nonché per rimozione e riparazione delle parti ammalorate dei sotto-balconi e dei frontalini e successiva tinteggiatura.

Tra le spese agevolate per il rifacimento dei balconi, rientrano anche quelle per il rifacimento del parapetto in muratura, della pavimentazione e per la verniciatura della ringhiera in metallo.

Bonifici entro l’anno

Se non verrà modificata la riduzione dal 90% al 60% della detrazione del bonus facciate, per il 2022, il privato consumatore, che vorrà beneficiare in dichiarazione dei redditi della detrazione massima su tutta la spesa, dovrà effettuare il pagamento dell’intera spesa, tramite bonifico parlante, «entro il 31 dicembre 2021, indipendentemente dallo stato di completamento dei lavori previsti» (scelta non possibile per le imprese, perché applicano il principio di competenza), assumendosi i rischi e le conseguenze di un inadempimento da parte dell’impresa e iniziando a detrarre la quota decennale per il 2021 a partire dal modello 730/2022 o redditi PF 2022 per il 2021.

Il pagamento potrebbe ridursi al solo 10% della fattura complessiva dei lavori (sempre per sfruttare la detrazione massima del 90% prevista per quest’anno), nel caso di sconto in fattura da parte dell’impresa. Considerando che lo sconto in fattura è parziale (90%), l’intera spesa, comprensiva della parte coperta dallo sconto, si considera sostenuta, con il principio di cassa, quando viene effettuato il pagamento della parte non coperta dallo sconto.

La fattura va emessa per il 100% nella data del pagamento del 10%, indicando il relativo sconto in fattura.