Efficienza energetica degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva

A seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2014 del decreto 10 febbraio 2014, sono stati resi disponibili gli strumenti che consentono la completa attuazione, da parte del cittadino, di quanto prescrive il  decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74 (di seguito: D.P.R. 74/2013) recante la definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell’acqua per usi igienici e sanitari. Al fine di fornire le risposte ai quesiti pervenuti da amministrazioni locali, imprese, installatori, manutentori e privati cittadini, si riportano le risposte alle domande più frequenti.

 

IMPIANTO TERMICO

  1. Cosa si intende per “impianto termico”?

Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 e ss.mm.ii. (di seguito d.lgs. 192/2005) regolamenta la progettazione e la realizzazione dei nuovi edifici e degli impianti in essi installati, dei nuovi impianti installati in edifici esistenti nonché le opere di ristrutturazione degli edifici e degli impianti esistenti. Regolamenta infine l’esercizio, il controllo, la manutenzione e le ispezioni degli impianti termici e la certificazione energetica degli edifici.

A tali fini assume particolare importanza la definizione di “impianto termico” che è connessa a tutta la materia regolamentata dal D.lgs. 192/05. L’ultima definizione di impianto termico, introdotta dal decreto legislativo 48/2020 che ha modificato il D.lgs. 192/05 (art. 2, comma 1, l-tricies), recita:

(l-tricies)  “impianto  termico”:  impianto  tecnologico fisso destinato ai servizi di  climatizzazione  invernale  o  estiva  degli ambienti,  con  o  senza  produzione  di  acqua  calda  sanitaria,  o destinato  alla   sola   produzione   di   acqua   calda   sanitaria, indipendentemente dal  vettore  energetico  utilizzato,  comprendente eventuali  sistemi   di   produzione,   distribuzione,   accumulo   e utilizzazione  del  calore  nonché’  gli  organi  di  regolazione   e controllo, eventualmente combinato con impianti di ventilazione.  Non sono considerati impianti termici i sistemi  dedicati  esclusivamente alla produzione di acqua  calda  sanitaria  al  servizio  di  singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate;

Tenuto conto delle finalità del D.lgs. 192/05, e quanto specificato nella definizione aggiornata, l’impianto termico deve essere costituito da apparecchi, dispositivi e sottosistemi installati in modo fisso caratterizzanti il sistema edificio/impianto, senza limiti di potenza. La definizione di impianto termico comprende anche l’insieme di più apparecchi indipendenti tra loro, installati in modo fisso, al servizio della stessa unità immobiliare.

Non sono impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate. Tra le singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate sono da intendersi comprese anche:

Gli edifici residenziali monofamiliari.

le singole unità immobiliari utilizzate come sedi di attività professionali (ad esempio studio medico o legale) o commerciale (ad esempio agenzia di assicurazioni) o associativa (ad esempio sindacato, patronato) che prevedono un uso di acqua calda sanitaria comparabile a quello tipico di una destinazione puramente residenziale.

Sono assimilati agli impianti termici quegli impianti ad uso promiscuo nei quali la potenza utile dedicata alla climatizzazione degli ambienti sia superiore a quella dedicata alle esigenze tecnologiche e/o a fini produttivi, comprendenti anche la climatizzazione dei locali destinati ad ospitare apparecchi o sostanze che necessitano di temperature controllate.

CONTROLLO E MANUTENZIONE AI FINI DELLA SICUREZZA

  1. Chi stabilisce quali sono gli interventi di controllo e manutenzione da effettuare sugli impianti termici e la relativa frequenza?

Il responsabile dell’impianto termico o per esso un terzo che ne assume la responsabilità, ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. 192/05 e s.m.i. e dell’art. 7 del D.P.R. 74/2013, provvede affinché siano eseguite le operazioni di controllo e di manutenzione secondo le prescrizioni della normativa vigente. L’Allegato A al D.lgs. 192/05 definisce il responsabile dell’impianto termico come “l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di singole unità immobiliari residenziali; il proprietario, in caso di singole unità immobiliari residenziali non locate; l’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati amministrati in condominio; il proprietario o l’amministratore delegato in caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle persone fisiche”.

La predisposizione di istruzioni relative al controllo periodico degli impianti ai fini della sicurezza, con l’indicazione sia dei singoli controlli da effettuare che della loro frequenza, è compito dell’installatore, per i nuovi impianti, e del manutentore, per gli impianti esistenti, i quali devono tenere conto delle istruzioni fornite dai fabbricanti dei singoli apparecchi e componenti, ove disponibili. La vigente legislazione non contiene prescrizioni o indicazioni su modalità e frequenza dei controlli e degli eventuali interventi manutentivi sugli impianti di climatizzazione estiva e/o invernale né sui singoli apparecchi e componenti che li costituiscono.

I modelli di rapporto di controllo di efficienza energetica, pur prevedendo alcuni controlli di sicurezza sull’impianto e sui relativi sottosistemi di generazione di calore o di freddo, non sono rapporti di controllo o manutenzione ai fini della sicurezza e pertanto non sono esaustivi in tal senso.

Gli interventi di controllo e manutenzione devono essere eseguiti a regola d’arte, da  operatori abilitati a dette operazioni, nel rispetto della normativa vigente. L’operatore, al termine delle medesime operazioni, con la cadenza prevista dall’allegato del D.P.R. 74/2013, ha inoltre l’obbligo di effettuare un controllo di efficienza energetica i cui esiti vanno riportati sulle schede 11 e 12 del libretto di impianto e sul pertinente rapporto di controllo di efficienza energetica allegato al D.M. 10 febbraio 2014 da rilasciare al responsabile dell’impianto che ne sottoscrive copia per ricevuta e presa visione. Sui modelli di rapporto di controllo di efficienza energetica devono essere annotate, nel campo osservazioni, le manutenzioni effettuate, e nei campi raccomandazioni e prescrizioni quelle da effettuare per consentire l’utilizzo sicuro dell’impianto. Sullo stesso modello il manutentore riporterà la data prevista per il successivo intervento.

  1. In occasione degli interventi di controllo e manutenzione di cui all’art. 7 del DPR n.74/2013, quale documentazione deve essere rilasciata dal manutentore al responsabile dell’impianto?

L’art. 7 del D.lgs. 192/2005 e s.m.i. impone all’operatore, dopo aver eseguito a regola d’arte le operazioni di controllo e eventuale manutenzione, di redigere e sottoscrivere un rapporto di controllo tecnico conforme agli allegati F e G allo stesso decreto legislativo. Tali allegati sono stati sostituiti dal DM 10/02/2014 con i rapporti di efficienza energetica, tipo 1, 2, 3 e 4, pubblicati in allegato allo stesso DM. Pertanto i suddetti rapporti di efficienza energetica devono essere utilizzati come rapporto di controllo tecnico al termine delle operazioni di controllo ed eventuale manutenzione di cui all’art. 7 del DPR n. 74/2013. Sugli stessi rapporti di efficienza energetica il manutentore dichiara in forma scritta ai sensi del comma 4 lettera a) dell’art.7 del DPR n.74/2013 le operazioni di controllo e manutenzione di cui necessita l’impianto per garantire la sicurezza delle persone e delle cose nelle sezioni “raccomandazioni” e “prescrizioni”, e la relativa frequenza, ai sensi del comma 4 lettera b) dello stesso articolo, alla voce: “si raccomanda un intervento manutentivo entro il ……..”.

Per quanto riguarda l’esecuzione del controllo di efficienza energetica del sottosistema di generazione (che nel caso del rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 1 si identifica con la misurazione in opera del rendimento di combustione), che negli allegati F e G non era previsto obbligatoriamente ad ogni compilazione del rapporto di controllo tecnico, si ritiene che, ferma restando obbligatoria tale esecuzione:

In occasione degli interventi di cui all’art. 8 comma 3 del DPR n. 74/2013;

con la periodicità di cui alla tabella dell’allegato A del DPR n. 74/2013, con contestuale invio all’indirizzo indicato dalla Regione o Provincia autonoma competente per territorio;

nei restanti casi la scelta sia demandata alla professionalità del manutentore, previa valutazione dello stato del generatore.

LIBRETTO DI IMPIANTO

  1. Quando si compila il libretto di impianto, quale modello bisogna usare e chi compila questo documento?

Ai sensi del D.P.R. 74/2013, art. 7, c. 5 – gli impianti termici per la climatizzazione o produzione di acqua calda sanitaria devono essere muniti di un “Libretto di impianto per la climatizzazione”. Il modello da usare è quello previsto dal D.M. 10/02/2014 (G.U. n. 55 del 07/03/2104) che sostituisce i preesistenti modelli di “libretto di impianto” e “libretto di centrale” e comprende anche gli impianti di condizionamento, finora esenti da tale adempimento. Esso è stato concepito in modo modulare per tenere conto delle diverse possibilità di composizione dell’impianto termico. L’installatore, cui compete la prima compilazione del libretto per i nuovi impianti, o il responsabile dell’impianto, per gli impianti esistenti, provvede a compilare soltanto le schede pertinenti al caso e nel numero necessario a descrivere tutti i componenti dell’impianto termico. Per gli impianti esistenti la compilazione del nuovo libretto, a cura del responsabile dell’impianto, va fatta in occasione e con la gradualità dei controlli periodici di efficienza energetica previsti dal D.P.R. n. 74/2013 o di interventi su chiamata di manutentori o installatori. Con decreto del Ministro dello Sviluppo economico 20 giugno 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 153 del 4 luglio 2014, è stata introdotta una proroga agli adempimenti di cui agli articoli 1 e 2 del DM 10 febbraio 2014. La proroga comporta di fatto che, a partire dal 15 ottobre 2014, a seguito di nuove installazioni di impianti termici o in occasione di controlli periodici di efficienza energetica previsti dal D.P.R. n. 74/2013 o degli interventi su chiamata di manutentori o installatori, sarà obbligatorio l’uso dei nuovi modelli di libretto introdotti con DM 10 febbraio 2014.

Per ogni sistema edificio/impianto, di norma, va compilato un solo libretto di impianto in modo da stabilire un legame univoco tra edificio e codice di impianto che sarà attribuito dal catasto regionale degli impianti termici. Solo nel caso di impianti centralizzati nei quali l’impianto di climatizzazione invernale è distinto (impianti che in comune hanno soltanto il sistema di rilevazione delle temperature nei locali riscaldati e raffreddati) dall’impianto di climatizzazione estiva è possibile compilare due diversi libretti di impianto.

Nel caso in cui uno dei servizi sia centralizzato (riscaldamento o raffrescamento) e all’altro, si provveda in modo autonomo, vanno anche compilati i libretti degli impianti autonomi.

  1. Il DM 10 febbraio 2014 consente al responsabile dell’impianto di selezionare, fare compilare e aggiornare le sole schede del libretto pertinenti alla tipologia dell’impianto termico e, nel caso di successive aggiunte di componenti o apparecchi, di aggiornare il libretto mediante compilazione delle sole schede pertinenti agli interventi eseguiti. Nell’ottica di adattare ancora meglio il libretto all’effettiva composizione dell’impianto, è consentito, nel libretto in formato elettronico e, conseguentemente, nella copia conforme stampata su carta, aggiungere ulteriori campi nel caso di un numero di componenti maggiore di quelli riportati nella versione pubblicata in allegato al decreto, e/o eliminare parti di schede non pertinenti all’impianto, che, se lasciate non compilate, potrebbero essere interpretate come omissioni?

La risposta è affermativa: se, ad esempio, sono presenti nell’impianto quattro vasi di espansione e due pompe di circolazione, è possibile inserire sotto le righe relative ai tre vasi di espansione VX1, VX2 e VX3 una quarta riga eguale alle preesistenti contrassegnandola con VX4, e duplicare la parte di scheda di cui al punto 6.4 creando un campo per la situazione iniziale e le eventuali successive sostituzioni per la seconda pompa di circolazione. Analogamente, se l’impianto non fornisce un servizio di climatizzazione estiva, o se questo è presente ma non necessita di un sistema di trattamento dell’acqua di raffreddamento, è possibile eliminare la parte 2.5 della scheda 2 che altrimenti, non compilata, darebbe adito a dubbi sulla completa compilazione del libretto (richiesta alla voce B del rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 2).

TRATTAMENTO DELL’ACQUA DI RAFFREDDAMENTO DELL’IMPIANTO DI CLIMATIZZAZIONE ESTIVA

  1. Nel nuovo modello del libretto di impianto nel riquadro 2.5, cosa si intende per “senza recupero termico”, “ a recupero termico parziale” e “ a recupero termico totale”?In relazione al punto 2.5 del nuovo libretto di impianto si precisa che:

il termine “senza recupero termico” individua i circuiti con acqua a perdere;

il termine “a recupero termico parziale” individua i circuiti in cui l’acqua viene parzialmente riciclata (es. torri evaporative);

il termine “a recupero termico totale ” individua circuiti chiusi.

CONTROLLI DI EFFICIENZA ENERGETICA

  1. Quando e su quali impianti si eseguono i controlli di efficienza energetica?

I controlli di efficienza energetica, si eseguono, ai sensi dell’art.8, comma 1 del D.P.R. 74/2013 “in occasione degli interventi di controllo ed eventuale manutenzione di cui all’articolo 7 su impianti termici di climatizzazione invernale di potenza termica utile nominale maggiore di 10 kW e sugli impianti di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale maggiore di 12 kW, si effettua un controllo di efficienza energetica riguardante:
a) il sottosistema di generazione come definito nell’Allegato A del decreto legislativo;
b) la verifica della presenza e della funzionalità dei sistemi di regolazione della temperatura centrale e locale nei locali climatizzati;

  1. c) la verifica della presenza e della funzionalità dei sistemi di trattamento dell’acqua, dove previsti.”

La cadenza da rispettare è quella dell’allegato A del D.P.R. 74/2013.

L’art. 8, comma 3 del D.P.R. 74/2013, prevede che i controlli di efficienza energetica devono essere inoltre realizzati:

  1. a) all’atto della prima messa in esercizio dell’impianto, a cura dell’installatore;
  2. b) nel caso di sostituzione degli apparecchi del sottosistema di generazione, come per esempio il generatore di calore;
  3. c) nel caso di interventi che non rientrino tra quelli periodici, ma tali da poter modificare l’efficienza energetica.”

Per quanto riguarda le macchine frigorifere e/o pompe di calore, in accordo con la tabella dell’allegato A del D.P.R. 74/2013, si procede al controllo di efficienza energetica solo quando la potenza utile, in una delle modalità di utilizzo (climatizzazione invernale/estiva), è maggiore o uguale a 12 kW.

Per quanto riguarda i limiti degli intervalli di potenza di cui alla nota “1” dell’allegato A del D.P.R. 74/2013 che recita “I limiti degli intervalli sono riferiti alla potenza utile nominale complessiva dei generatori o delle macchine frigorifere che servono lo stesso impianto”, si precisa che per “stesso impianto” si intende che la somma delle potenze va effettuata solo quando le macchine siano al servizio dello stesso sottosistema di distribuzione. Per i singoli apparecchi con potenza inferiore ai valori limite riportati sul suddetto allegato A non si compilano, pertanto, i rapporti di controllo di efficienza energetica.

Circa i limiti delle potenze, (maggiore o uguale o semplicemente maggiore e segni adottati) citati nel comma 1 dell’art. 8 e nell’allegato A del D.P.R. 74/2013, vanno interpretati nel senso di “maggiore o uguale” in accordo con l’art. 9 del D.P.R. 74/2013 che stabilisce i limiti di potenza per gli accertamenti e le ispezioni. Non si possono, infatti, fare gli accertamenti e/o le ispezioni se non sono previsti i controlli di efficienza energetica.

L’articolo 2, comma 2, del DM 10 febbraio 2014, prevede che “gli impianti termici alimentati esclusivamente con fonti rinnovabili” siano esclusi dai controlli di efficienza energetica di cui all’articolo 2, comma 1.

Ai fini della applicazione del DM 10 febbraio 2014, la definizione di “impianti termici alimentati esclusivamente con fonti rinnovabili” resta valida anche in presenza di eventuali consumi elettrici degli ausiliari.

 

PERIODICITÀ DELL’INVIO DEL RAPPORTO DI CONTROLLO DI EFFICIENZA ENERGETICA

  1. Quando deve essere trasmesso il rapporto di controllo di efficienza energetica all’autorità competente?

I commi 1 e 2 dell’art. 8 del D.P.R 74/2013 prevedono l’obbligo di compilazione del rapporto di controllo di efficienza energetica in occasione dell’esecuzione dei controlli ed eventuale manutenzione secondo le indicazioni fornite dall’installatore o dal manutentore ai sensi dell’art. 7 dello stesso decreto.

Il comma 5 dell’art.8 del D.P.R. 74/2013, circa la cadenza di trasmissione del rapporto di controllo di efficienza energetica alla Regione o Provincia autonoma o alle autorità da queste all’uopo designate, rimanda all’allegato A dello stesso decreto. Le suddette cadenze devono, comunque, essere rispettate.

 

REQUISITI MANUTENTORI

  1. Quali sono i requisiti che devono avere i manutentori degli impianti termici e come li devono dimostrare?

Le operazioni di controllo e  manutenzione dell’impianto devono essere eseguite da ditte abilitate ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 (D.M. 37/08), per le tipologie impiantistiche pertinenti. Le tipologie impiantistiche riguardanti gli impianti termici degli edifici sono quelle previsti dalle lettere c) ed e) del suddetto D.M. 37/08. In particolare esse sono:

lettera c) impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali;

lettera e) impianti per la distribuzione e l’utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e ventilazione ed aerazione dei locali.
Nella maggior parte dei casi, impianti termici alimentati a gas, occorrono entrambe le abilitazioni che la ditta manutentrice dimostra attraverso un documento rilasciato dalla Camera di Commercio.

Nel caso di impianti con macchine frigorifere contenenti gas serra occorre, inoltre, che l’impresa sia inscritta al registro nazionale delle persone e delle imprese ai sensi del DPR 43/2012.

 

MACCHINE FRIGORIFERE

  1. Per gli impianti con macchine frigorifere e/o pompe di calore è sufficiente compilare e tenere aggiornato il libretto di impianto?

Per le macchine frigorifere, contenenti gas HFC (F-gas) in quantità uguale o superiore a 3 kg, oltre al libretto di impianto, occorre tenere aggiornato il Registro dell’apparecchiatura pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente. Entro il 31 maggio di ogni anno, anche in assenza di modifiche o interventi sulle apparecchiature, va presentata, inoltre, al Ministero dell’ambiente, per il tramite dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), una dichiarazione contenete informazioni riguardanti la quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati relativi all’anno precedente sulla base dei dati contenuti nel relativo registro dell’apparecchiatura.

  1. All’articolo 8 comma 9 del DPR 16 aprile 2013, n. 74, è prescritto che le macchine frigorifere e le pompe di calore per le quali nel corso delle operazioni di controllo sia stato rilevato che i valori dei parametri che caratterizzano l’efficienza energetica sono inferiori del 15 per cento rispetto a quelli misurati in fase di collaudo o primo avviamento riportati sul libretto di impianto, devono essere riportate alla situazione iniziale, con una tolleranza del 5 per cento. Manca però una norma tecnica che prescriva le procedure operative e le condizioni di prova. Come garantire l’affidabilità e la ripetibilità dei risultati ottenuti?

Attualmente è disponibile solo una norma tecnica che consente di effettuare il controllo del sottosistema di generazione previsto all’articolo 8 comma 9 del DPR 16 aprile 2013, n. 74 – la UNI 10389-1, per gli impianti con generatore di calore a fiamma. Per le altre tipologie di impianti, in attesa che l’UNI pubblichi le pertinenti norme tecniche o prassi di riferimento, si provvede a redigere e sottoscrivere il relativo rapporto di controllo di efficienza energetica, e le relative pagine del libretto di impianto, senza effettuare il controllo del sottosistema di generazione.

Contemperamento d’interessi in condominio: legittima l’installazione dell’ascensore che incide sulla larghezza delle scale

Corte di Cassazione – II sez. civ. -sentenza n. 19087 del 14-06-2022

All’esito della comparazione tra vantaggi e svantaggi che l’opera comporta per i condomini risulta legittima l’installazione dell’ascensore che pur incide sulla larghezza delle scale

La vicenda

Alcune condomine dei piani alti citavano in giudizio i proprietari degli altri quattro appartamenti posti ai piani primo e secondo dello stabile, chiedendo che fosse accertato il loro diritto di installare, a proprie spese, un ascensore all’interno dell’edificio realizzato nell’anno 1960, che ne era sprovvisto. In particolare, come da progetto di fattibilità, le attrici intendevano occupare con il vano ascensore la tromba delle scale e piccola parte degli scalini. I convenuti eccepivano che nell’edificio mancava uno spazio idoneo ad alloggiare l’ascensore all’interno del vano scala, poiché non vi era la tromba delle scale; di conseguenza precisavano che l’installazione dell’ascensore avrebbe gravemente compromesso l’uso delle scale e della cabina al condomino. In ogni caso sostenevano come la riduzione in questione (che si intendeva effettuare mediante taglio parziale dei gradini per consentire l’alloggiamento del vano ascensore) fosse vietata dalla legge. Il Tribunale dichiarava il diritto delle attrici all’installazione dell’ascensore, a loro cura e spese, all’interno dell’edificio. La Corte di Appello confermava la decisione di primo grado. A sostegno dell’adottata pronuncia i giudici rilevavano che la legge n. 13/1989 e il decreto attuativo n. 236/1989 non regolavano il caso esaminato, con la conseguenza che la realizzabilità dell’opera era stata esaminata sotto il profilo della comparazione tra i vantaggi e gli svantaggi che essa avrebbe potuto determinare; che doveva essere confermata la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla conformità dell’installazione dell’ascensore alle condizioni prescritte dall’art. 1102 c.c.; che, considerate attentamente le abitudini attuali di vita, il sacrificio minore si sarebbe realizzato incidendo sulla larghezza delle scale, ridotta a cm. 77,00, al netto del corrimano, per tutte le rampe, e a cm. 74,00, sempre al netto del corrimano, per la sola prima rampa, peraltro con la possibilità che l’ingombro del corrimano potesse essere ridotto mediante accorgimenti particolari. I soccombenti ricorrevano in cassazione.

La questione

Tenendo conto dei vantaggi e degli svantaggi che l’opera comporta può essere considerata legittima l’installazione dell’ascensore che riduce la larghezza delle scale a cm. 77,00, al netto del corrimano, per tutte le rampe, e a cm. 74,00, sempre al netto del corrimano, per la sola prima rampa?

 

La soluzione

La Cassazione ha ritenuto legittimo il progetto relativo all’installazione dell’ascensore nelle scale. Secondo i giudici supremi, considerate attentamente le abitudini attuali di vita e le esigenze degli abitanti delle grandi città, nonché le attuali caratteristiche della popolazione italiana (composta in misura di gran lunga prevalente da persone non giovani), tale installazione è legittima anche se comporta la riduzione della larghezza delle scale che costituisce il sacrificio minore. Infatti- ad avviso della Cassazione – l’interesse all’installazione, nonostante il dissenso di alcuni condomini, dell’impianto di ascensore è funzionale al perseguimento di finalità non limitabili alla sola tutela delle persone versanti in condizioni di minorazione fisica, ma individuabili anche nell’esigenza di migliorare la fruibilità dei piani alti dell’edificio da parte dei rispettivi utenti, apportando una innovazione che, senza rendere talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all’uso o al godimento degli altri condomini, faciliti l’accesso delle persone a tali unità abitative, in particolare di quelle meno giovani. Come hanno notato i giudici supremi detto contemperamento è stato espressamente effettuato dai giudici di secondo grado, che, all’esito del bilanciamento tra utilità e svantaggi di due esigenze non conciliabili, hanno (con motivazione ineccepibile) dato preferenza all’installazione dell’ascensore.

 

Le riflessioni conclusive

La sentenza prosegue il nuovo orientamento formatosi dopo l’importante sentenza della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999, decisione che ha contribuito ad un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività.

Di conseguenza si è cominciato ad affermare che il principio di solidarietà condominiale, che presuppone la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato, implica il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche (o comunque delle persone che hanno difficoltà ad affrontare le rampe), trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass., sez. II, 28/03/2017, n. 7938). Alla luce di quanto sopra è risultata legittima la riduzione delle scale alla larghezza di 80 centimetri pur comportando un lieve aumento delle difficoltà di transito o di trasporto con barella (Trib. Roma 27 maggio 2016); ma è apparsa non contestabile pure l’installazione dell’impianto in questione anche quando la larghezza della scala rimasta a disposizione per il transito è risultata pari a 0,72 m (Cass., sez. II, 05/08/2015, n. 16468)

Appalto lavori in condominio: se manca la contabilità finale addio al decreto ingiuntivo

Solamente la contabilità finale rende il credito certo ed esigibile

Torniamo ancora ad esaminare il contratto di appalto per l’esecuzione di lavori in Condominio; stavolta, però, in relazione all’aspetto del pagamento del prezzo, che costituisce l’obbligazione principale del Condominio quale committente.

Vediamo quindi a quale approdo è giunto il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 2131 del 1° giugno 2022.

 

Appalto lavori in condominio e opposizione a decreto ingiuntivo: la pronuncia

Un Condominio si oppone al decreto ingiuntivo notificatogli dalla Alfa, appaltatrice, per € 80.000,00 circa, richiesti ed intimati quale residuo del prezzo del contratto di appalto per la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio e delle sue facciate, di rifacimento del manto impermeabilizzante dei terrazzi di copertura e dei canali pluviali, nonché per i lavori ai balconi e per altri interventi di manutenzione.

A giustificazione di tale importo, in sede monitoria, la Alfa depositava n. 3 fatture.
Il Condominio opponente sostiene, non contestando il rapporto di appalto con la Alfa, che avrebbe già provveduto al pagamento di quanto dovuto e che, inoltre, il diritto al pagamento si sarebbe prescritto. Inoltre, il Condominio solleva eccezione di inadempimento, affermando che Alfa non aveva redatto la contabilità finale dei lavori, nonostante ciò fosse suo onere come da contratto stipulato, così che il Condominio aveva sì sospeso il pagamento, ma ciò solamente in quanto la Alfa non aveva redatto la contabilità finale dei lavori.
In assenza di contabilità finale dei lavori, il credito azionato da Alfa non sarebbe infatti né certo né esigibile, come invece richiesto quale una delle condizioni fondamentali per concedere il decreto ingiuntivo dall’art. 633 c.p.c.

Rammentiamo a noi stessi ed al lettore che il diritto dell’appaltatore di richiedere il prezzo dell’appalto si prescrive in 10 anni dal momento in cui il credito diventa esigibile, quindi dall’accettazione dell’opera o dalla scadenza dell’ultima delle rate pattuite; nel caso sottoposto al Tribunale ed in esame, il contratto era stato stipulato nel 2000, il decreto ingiuntivo emesso nel 2017.

Alfa, costituitasi in opposizione, contesta la prescrizione, osservando che erano stati richiesti lavori extracapitolato che aveva comportato l’esecuzione, su richiesta del Condominio, di lavori aggiuntivi non contabilizzati.

Alfa sostiene di aver inoltrato ad uno dei Direttori dei Lavori la nota di quanto eseguito ed i conteggi del dovuto, senza ricevere contestazioni o censure.

Secondo Alfa, non essendo state contestate le fattura, vi sarebbe accettazione tacita dell’opera da parte del Condominio.

Osserva ancora Alfa che i lavori oggetto di appalto siano stati totalmente modificati in corso d’opera, essendo stati rilevati gravi problemi strutturali, con conseguenze duplici, da un lato, lo slittamento del termine dei lavori e dall’altro, l’aumento dei costi.

In sede di memorie istruttorie, Alfa avanza domanda di condanna del Condominio per indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c. in relazione alla sola fattura contestata dal Condominio stesso.

Il Tribunale di S.ta Maria Capua Vetere accoglie l’opposizione del Condominio.

L’inadempimento dell’appaltatore e la contabilità finale

Il Giudice campano costruisce il proprio ragionamento partendo dall’asserito inadempimento di Alfa, quale appaltatrice.

Innanzitutto, l’obbligo di rendicontazione finale era stato imposto ad Alfa dall’Art. 6 del contratto siglato con il Condominio, che prevedeva che la stessa dovesse provvedere «in collaborazione con il Direttore dei Lavori».

In secondo luogo, il Giudice ne valuta la gravità, ritenendo che non si trattasse di un obbligo minore o secondario, a fronte del tenore del contratto, dell’importo appaltato (circa 80.000,00 €) e del fatto che si trattasse di elemento che incideva direttamente sulla principale prestazione del committente, cioè il pagamento del prezzo.

Prezzo che, peraltro, risulta diverso da quello iniziale a fronte della documentazione in atti.
Rileva infatti il Giudice che il Condominio, stipulato un contratto che prevedeva una spesa di € 80.000,00 circa, aveva pagato sino a quel momento circa € 150.000,00, quindi quasi il doppio.

Ebbene, pur essendo possibile che il prezzo, teoricamente, potesse ‘lievitare’, come conseguenza delle variazioni ordinate dal committente, tuttavia a maggiore ragione la contabilità dei lavori eseguiti avrebbe dovuto essere ancora più esaustiva e puntuale.

Sottolinea ancora il Tribunale che il computo metrico depositato in sede istruttoria dalla Alfa non vale a surrogare la contabilità richiesta, atteso che lo stesso non risulta controfirmato dal Direttore dei Lavori in collaborazione con il quale la Alfa doveva muoversi come da contratto.

Peraltro, il computo metrico rende ancora più incerta la situazione, perché riporta stime ancora diverse rispetto al contratto ed al decreto ingiuntivo, indicando, come totale dovuto, ora una somma vicina agli € 180.000,00 ca, ora invece un’altra somma di €. 200.000,00 ca.

Recentemente, il Tribunale di Roma, richiamando la giurisprudenza della Corte di legittimità, si è così espresso circa il diritto dell’appaltatore al pagamento del prezzo: «Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 cod. civ., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte” (Cass., n. 936 del 20/01/2010; conformi, Cass., n. 3472 del 13/02/2008; Cass., Ord. n. 98 del 04/01/2019)». (Trib. Roma, sent. 17 febbraio 2022, n. 2630).

L’arricchimento senza causa

L’art. 2041 c.c. tutela colui che abbia arricchito un’altra persona in assenza di giusta causa.

Chi ha pagato o dato una cosa determinata ad un altro, così arricchendolo e in assenza di una giusta causa, può chiedere l’indennizzo a colui cui abbia versato o consegnato: costui è a sua volta obbligato, a fronte della richiesta e del ricorrere delle condizioni di legge, a tenere indenne il primo della relativa diminuzione patrimoniale o a restituire in natura la cosa consegnata, se sussiste al tempo della domanda.

L’art. 2042 c.c. precisa tuttavia che l’azione di arricchimento è sussidiaria, cioè è proponibile quando il danneggiato non abbia a sua disposizione altre azioni per ottenere ristoro del pregiudizio subito.

Osserva il Tribunale di S.ta Maria Capua Vetere: «Ora, però, ci si domanda se detta sussidiarietà vada vista in astratto o in concreto. Ci si chiede, in altri termini, se tale azione sia invocabile solo se nell’ordinamento non sussistono altri rimedi di per sé idonei a tutelare il proprio diritto oppure anche nel caso in cui astrattamente detti strumenti esistano ma, calandoli nel caso concreto, per talune ragioni (quale è, ad esempio e per quanto interessa, la mancanza di certezza del credito o l’impossibilità di riconoscerlo per accoglimento dell’eccezione di inadempimento) essi non possono portare alcun giovamento».

La risposta che si dà il Tribunale è nel senso della sussidiarietà in astratto:

così anche la Cassazione (sent. n. 20747/2007, citata nella sentenza in commento), perché si sottolinea che la ratio della sussidiarietà risiede nella protezione dell’ordinamento rispetto ad iniziative ‘parassitarie’ ed infondate, che avrebbero portato ad una fuorviante prassi di abuso del diritto di indennizzo.

Come spiega il Tribunale, «si sono volute evitare ipotesi specifiche: che il venditore potesse cumulare, all’eventuale credito per il prezzo pattuito, un’ulteriore pretesa per il maggior valore della cosa venduta; che il lavoratore potesse chiedere, in aggiunta al salario, il plusvalore; che potesse applicarsi la disciplina dell’ingiustificato arricchimento al cosiddetto arricchimento mediato o indiretto; che attraverso il viatico di tale strumento si potessero aggirare le regole di prescrizione e decadenza».

Nel caso in esame, non siamo peraltro nemmeno dinnanzi ad un’ipotesi in cui manchi la giusta causa, perché, a ben vedere, il rapporto sottostante esiste (il contratto di appalto in virtù del quale il Condominio deve un corrispettivo ad Alfa), è provato ed incontestato; ciò che manca è che, in concreto, il credito derivante dal contratto non può essere riconosciuto perché non risulta certo ed esigibile.

Inoltre, l’indennizzo per arricchimento senza causa non può mai includere il lucro cessante, ma solamente il depauperamento, mentre la richiesta di Alfa, nel caso specifico, andava proprio nel senso di richiedere il lucro cessante.

Peraltro Alfa avrebbe dovuto provare, volendo sostenere la debenza dell’indennizzo menzionato, l’an, cioè che l’esecuzione delle opere avesse comportato un mancato guadagno ed anche una perdita economica, che non risulta in re ipsa per il solo fatto del mancato guadagno.

Cioè, Alfa non poteva sostenere che fosse presente la «diminuzione patrimoniale» di cui all’art. 2041 c.c. per il solo fatto di non essersi vista pagata la fattura in contestazione da parte del Condominio.

Appropriazione indebita, l’amministratore condannato va in carcere se non risarcisce il danno

L’articolo 47 del Dpr 354/1975 consente di espiare la pena detentiva inflitta, come misura alternativa al carcere, con l’affidamento in prova ai servizi sociali per un periodo uguale a quello da scontare. La misura consente al condannato di soggiornare nella sua abitazione, di solito dalle 21.00 fino alle 06,00, con alcune prescrizioni, e di svolgere l’attività lavorativa, sempre che la pena inflitta non superi i quattro anni e il reato non sia di particolare gravità. La concessione della misura non è automatica, ma viene concessa dal Tribunale di sorveglianza a seguito della richiesta del condannato e sulla base di un’approfondita istruttoria.

Il caso trattato

Un amministratore condominiale era stato condannato, in via definitiva, per il reato di appropriazione indebita aggravata e continuata perché, dal 2008 al 2011, si era impossessato di euro ottantamila, sottraendoli illecitamente ai condòmini. Il condannato chiedeva al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ai servizi sociali e tale richiesta veniva rigettata in quanto, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite ( procedimenti pendenti, informazioni di polizia giudiziaria , relazione Uepe , nota dell’Ispettorato del lavoro), risultavano problematicità relative alla disponibilità abitativa, alla relazione con la moglie, al mancato risarcimento del danno alle persone offese , se non attraverso offerte palesemente inadeguate, alla mancanza di una presa di coscienza delle sue responsabilità e di una rivisitazione critica delle sue condotte criminose, all’assenza di un’attività lavorativa.

Tale elementi non consentivano al Tribunale di sorveglianza di formulare, nei confronti del condannato, una ragionevole prognosi di mancata reiterazione dei reati. Il condannato ricorreva avverso la sentenza, lamentandone l’ingiustizia, in quanto il Tribunale aveva aderito acriticamente alla relazione Uepe, non aveva valutato la disponibilità del ricorrente a risarcire il danno attraverso importi proporzionati alla sua disponibilità economica e non avesse considerato che la mancata attività lavorativa derivava dalla sua età e che il giudizio prognostico negativo fosse infondato.

La decisione della Cassazione

La Suprema corte nella sentenza 20473/2022 dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente a pagare euro 3.000 alla Cassa delle ammende poiché:
– per formulare il giudizio prognostico favorevole il Tribunale deve valutare anche la condotta del condannato tenutasi successivamente al reato che è essenziale per accertare l’esistenza di un effettivo recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Cassazione 31420/2015);
– ai fini del diniego della concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali il Tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima, non ostando a tale considerazione la mancata previsione del risarcimento del danno, quale condizione per la concessione del beneficio (Cassazione 39266/2017).

La Cassazione affermava che il Tribunale di sorveglianza aveva legittimamente negato il beneficio al condannato poiché, nell’ esercizio della sua discrezionalità e in modo non illogico, aveva attribuito valore preponderante alla mancanza di una revisione critica del passato deviante del condannato. Il ricorrente aveva dichiarato di avere fatto sempre del bene, nei colloqui intrattenuti con il personale Uepe, e non aveva adottato condotte riparatrici a favore delle vittime del reato, a fronte della rilevante entità delle somme (pari ad euro ottantamila) oggetto dell’indebita appropriazione indebita commessa in qualità di amministratore condominiale.

Conclusioni

Il ricorrente infatti non risarciva il danno, offriva a ciascuna delle parti offese 1.500 euro, somma notevolmente inferiore a quella sottratta, soltanto a seguito di plurime ed inutili richieste dilatorie di rinvio delle udienze del giudizio di cognizione. Le parti offese rifiutavano detta offerta ritenendola, giustamente, non congrua. Per la Cassazione, a fronte delle fondate argomentazioni del Tribunale di sorveglianza, il ricorso consisteva in una rilettura parcellizzata della motivazione e dei fatti già esaminati in primo grado e non consentita nel giudizio di legittimità.

L’amministratore condominiale era stato condannato per il reato di appropriazione indebita aggravata alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione e poiché la stessa è superiore al limite edittale di anni due di reclusione , previsto dall’articolo 163 Codice penale per ottenere la sospensione della pena , e in quanto l’istanza di affidamento è stata respinta, il procuratore deve emettere , nei suoi confronti, l’ordine di esecuzione per la carcerazione, ai sensi dell’articolo 656 Codice procedura penale.

Non è legittima l’assemblea camuffata da riunione di fruitori di un servizio

I comproprietari e gli inquilini di uno stabile in Piemonte si riuniscono in assemblea, in qualità non di condòmini ma di fruitori del servizio, e decidono di affidare a una determinata ditta la fornitura di gasolio per il riscaldamento centralizzato e, nel contempo, incaricano l’amministratore dello stabile di firmare per conto loro il relativo contratto.
La ditta scelta, avendo effettuato la fornitura di combustibile e non essendo stata pagata, chiede e ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti del condominio. Quest’ultimo si ritiene però del tutto estraneo alla faccenda e inizia una causa di opposizione, sostenendo che l’assemblea che aveva deciso la conclusione del contratto di fornitura non avesse un carattere e una funzione condominiale.

Le pronunce di merito e quella di legittimità
La Corte d’Appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado, accoglie la tesi difensiva del condominio, in ragione della circostanza che i partecipanti alla riunione si erano qualificati come utenti del servizio e non come condòmini. La Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza 13583 del 29 aprile 2022 ribalta di nuovo la decisione e annulla la sentenza della Corte d’appello, per la seguente spiegazione. L’articolo 10 della legge 392 del 1978 (cosiddetta legge dell’equo canone) attribuisce espressamente al conduttore dell’unità abitativa di partecipare alle assemblee condominiali relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento.

Di conseguenza, la partecipazione in tale tipo di assemblee di soggetti non condòmini, ma titolari di diritto di godimento, costituisce una fattispecie tipica prevista dalla legge e non può pertanto considerarsi un dato eccentrico, tale da escludere la natura condominiale della riunione, che anzi è rimarcata dalla stessa disposizione normativa. Non ha perciò nessun rilievo che gli intervenuti si siano qualificati “utenti” e non condòmini o conduttori di unità abitative dello stabile, trattandosi di un dato nominale e formalistico, che non può alterare la sostanziale, e anche formale, natura condominiale dell’assemblea.

Il carattere vincolante delle disposizioni sul condominio
La Cassazione ha poi chiarito che le disposizioni in materia di condominio, che attribuiscono da un lato all’assemblea le decisioni sui beni comuni e dall’altro all’amministratore sia il compito di attuarle che l’attività di gestione dei beni stessi e di tenuta della contabilità delle spese comuni, hanno carattere vincolante, delineando un sistema di organizzazione rigida, che non derogabile se non nei limiti previsti espressamente dalla legge. Pertanto, nel caso di un condominio, non sono ammissibili né permesse forme alternative per la gestione e amministrazione dei beni comuni.

Nuovo codice ateco 97.00.02 per tutti i condomini

Il 1° Aprile è entrata in vigore la nuova classificazione dei codici ATECO che coinvolge numerosi settori, tra cui appunto il condominio.

Il codice ATECO dei Condomini è ora il 97.00.02, specifico per le “attività di condomini” e sostituisce tutti quelli utilizzati fino ad ora.

La variazione non è automatica e va comunicata all’Agenzia delle Entrate con l’apposito modello AA5/6 da inviare con Fisconline o Entratel. La sanzione per ritardata comunicazione non si applica se il nuovo codice viene aggiornato entro il termine di presentazione del modello di dichiarazione 770, in quanto “la violazione commessa nel ritardo nella comunicazione del dato non incide sulla base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo e, una volta regolarizzata con l’indicazione nella dichiarazione e la variazione dati effettuata all’ufficio finanziario, non arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo“.

Bonus 75% per nuovi ascensori in condomini esistenti: tutte le condizioni

Un’importante novità della Legge di Bilancio 2022 (n° 234/2021) riguarda proprio gli ascensori. Prevede, infatti, la possibilità di usufruire del bonus 75% per l’installazione di nuovi ascensori in edifici privati o condomini già esistenti per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche. Vediamo insieme come funziona e quali sono i requisiti per poterlo ottenere.

Il bonus ascensore del 75% è un’agevolazione fiscale riconosciuta per tutti gli interventi finalizzati all’installazione di nuovi ascensori in edifici privati o in condomini già esistenti ed è disponibile per tutto il 2022. Prevede, infatti, una detrazione Irpef del 75% per le spese documentate e sostenute appunto dal primo gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.

Il rimborso fiscale avviene in 5 anni, attraverso cinque quote di uguale importo, e sono ammessi sia lo sconto in fattura che la cessione del credito pari alla detrazione spettante.

I lavori effettuati devono, però, rispettare i requisiti previsti dal decreto del Ministro dei lavori pubblici del 14 giugno 1989, n. 236 in materia di prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche.

La detrazione è prevista, dunque, solo per interventi sugli immobili effettuati per favorire la mobilità interna ed esterna del disabile e spetta anche in assenza di disabili nell’unità immobiliare o nell’edificio (Circolare n°19/E 2020).

tetti massimi di spesa coperti dal bonus ascensore del 75% sono i seguenti:

  • 50.000 euro per gli edifici unifamiliari o per le unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno;
  • 40.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio per gli edifici composti da 2 a 8 unità immobiliari;
  • 30.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio per gli edifici composti da più di 8 unità immobiliari.

Per poter beneficiare del bonus ascensore del 75% è necessario non solo come già detto che il condominio sia già esistente ma è richiesto anche che la cabina dell’ascensore rispetti degli standard prestabiliti:

  • almeno 1 metro e 20 centimetri di profondità e 80 centimetri di larghezza, con la porta con una luce netta minima di 75 centimetri posta sul lato corto;
  • davanti alla cabina ci deve essere almeno 1 metro e 40 di spazio libero;
  • le porte devono restare aperte almeno 8 secondi e chiudersi in minimo 4 secondi;
  • al piano le porte devono sempre essere chiuse se l’ascensore è fermo.

Il bonus spetta anche per gli interventi di automazione degli impianti degli edifici e delle singole unità immobiliari funzionali ad abbattere le barriere architettoniche.

In caso di sostituzione dell’impianto, il bonus ascensore del 75% è ammesso per le spese relative allo smaltimento e alla bonifica dei materiali e dell’impianto sostituito.

La tipologia di spese condominiali

Le spese ordinarie

Le spese ordinarie sono quelle che si rendono necessarie per la gestione, la manutenzione e il funzionamento dei beni comuni. Si tratta di spese periodiche, solitamente versate con cadenza annuale.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, si considerano ordinarie le spese relative alla pulizia delle scale, illuminazione dei beni comuni, revisione degli impianti, riparazioni generiche come la sostituzione delle lampadine delle scale, l’assicurazione del condominio e il compenso dell’amministratore.

Per la loro approvazione non è indicata una maggioranza specifica, pertanto, si impiegano le regole generali del quorum richiesti dalla prima e dalla seconda convocazione, ex art. 1136 cc.

Le spese straordinarie

Sono, invece, considerate straordinarie le spese relative ad interventi occasionali, come accade quando diventa necessario sostituire la caldaia, rifare la facciata, il tetto o il solaio.

Generalmente, sono esborsi che superano di gran lunga le somme che di solito vengono impiegate nella manutenzione ordinaria e quando si tratta di spese di notevole entità, per la loro approvazione è necessaria una maggioranza qualificata, ovvero un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

L’entità della spesa va parametrata al valore dell’edificio e non alle possibilità economiche dei condomini, tenendo conto dell’ammontare complessivo e il rapporto di quest’ultimo con il valore dell’edificio e la spesa proporzionalmente ricadente sui singoli condomini (Cass. civ. n. 25145 del 26.11.2014).

In giurisprudenza vengono qualificate come urgenti le opere che, secondo il criterio del buon padre di famiglia, siano indifferibili in quanto necessarie a evitare un possibile perimento della cosa comune (Cass. Civ. 18759/2016).

Le spese urgenti

Per tali motivi le spese urgenti non ammettono ritardo e riguardano le opere di manutenzione che non rientrano nella consueta periodicità; a titolo di esempio, rientrano in tale tipologia di spese quelle relative al tetto scoperchiato da un evento atmosferico o al cornicione gravemente danneggiato.

In virtù del carattere d’urgenza, anche un singolo condomino può porre in essere un intervento diretto senza l’autorizzazione dell’amministratore (che a sua volta ha il potere di ordinare lavori di manutenzione straordinaria in caso di urgenza, ex art. 1135 comma 2 c.c.) e dell’assemblea, dimostrando l’urgenza di non aver potuto allertare il condominio (Cass. civ. 4684/2018) e, di conseguenza, avrà diritto di ottenere il rimborso di quanto speso dagli altri condomini, ex art. 1134 c.c

Le spese di godimento

Sono le spese di esercizio che riguardano il funzionamento degli impianti comuni e vengono meno qualora si rinunci al servizio; un classico esempio è rappresentato dalle spese necessarie per il riscaldamento e l’energia elettrica; il condomino che decide di staccarsi dall’impianto centralizzato, dovrà pagare solo le spese necessarie per la conservazione dell’impianto che resta comunque un bene comune.

La rinuncia del singolo condomino, poi, non deve comportare notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri partecipanti alla comunione.

Le spese gravose e voluttuarie

Sono considerate gravose le spese la cui entità non è commisurata al valore dell’immobile, mentre sono voluttuarie le spese non necessarie, prive di utilità, come ad esempio l’installazione di ornamenti decorativi nel giardino condominiale.

Pertanto, qualora venissero deliberate innovazioni gravose o voluttuarie chi non intende trarne vantaggio potrà rifiutarsi di contribuire alla spesa e se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, a meno che la maggioranza dei condomini non decida di accollarsi integralmente la spesa.

Le spese dell’amministratore che non necessitano di autorizzazione

Manutenzione ordinaria e atti conservativi

La regolare gestione del condominio comporta la sussistenza di ampi poteri in capo all’amministratore, per la conclusione di contratti inerenti all’ordinaria manutenzione delle parti comuni. In tali casi, e non solo, non è necessario ottenere la preventiva autorizzazione dell’assemblea per concludere validamente un contratto in nome e per conto del condominio.

Ad esempio, in base all’art. 1130 c.c., 1° comma, n. 3, rientra tra i doveri dell’amministratore di condominio quello di erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni.

Questo significa, in altre parole, che tra i poteri di gestione propri dell’amministratore rientra anche quello di impegnare il condominio attraverso la conclusione di contratti non preventivamente autorizzati in sede di assemblea, relativi alla manutenzione ordinaria delle parti comuni.

All’amministratore sarà sufficiente rappresentare tali spese in sede di bilancio consuntivo, per ripartirne i costi tra i vari condomini e ottenerne il rimborso.

A titolo di esempio, rientrano tra queste spese quelle relative alla pulizia delle parti comuni dell’edificio, alla loro manutenzione periodica, agli interventi di riparazione degli impianti e al pagamento delle bollette relative alla fornitura di luce e acqua.

Le azioni esperibili senza preventiva autorizzazione

L’amministratore, inoltre, è tenuto a compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio. Di conseguenza, egli ha il dovere di esperire, ove necessario, le c.d. azioni possessorie e le azioni di nunciazione, senza necessità di ottenere la preventiva autorizzazione dell’assemblea

Le azioni possessorie sono l’azione di reintegrazione, prevista dall’art. 1668 c.c., e l’azione di manutenzione, di cui al successivo art. 1670 c.c. L’amministratore, pertanto, può agire in giudizio per reagire all’occupazione abusiva dell’immobile da parte di terzi, oppure per inibire atti che alterino il decoro architettonico dell’edificio.

Con le azioni di nunciazione (denunce di nuova opera e di danno temuto, ex artt. 1171 e 1172 c.c.), di natura cautelare, l’amministratore può in piena autonomia agire in giudizio qualora ritenga che da una nuova costruzione o da una cosa altrui possa derivare un danno al condominio. Egli può, inoltre, agire in caso di immissioni, esalazioni e rumori oltre la normale tolRientrano nel potere d’azione dell’amministratore anche le azioni di responsabilità contro il costruttore per gravi difetti che mettano in pericolo la stabilità dell’edificio (v. art. 1669 c.c.).

Si ritiene che nelle suddette ipotesi l’amministratore possa agire contestualmente anche per il risarcimento dei danni che riguardino le parti comuni dell’edificio, non invece per i danni occorsi alle singole proprietà esclusive.

Va sottolineato che, in base al dettato dell’art. 1130 c.c., compiere atti conservativi nell’interesse del condominio non è solo un potere, ma un vero e proprio dovere dell’amministratore. Ne deriva che, in caso di inerzia, i condomini sono legittimati a chiedergli il risarcimento degli eventuali danni che ne siano derivati.

L’urgenza negli atti di manutenzione straordinaria

Anche nei casi in cui è obbligatorio chiedere la preventiva autorizzazione di spesa all’assemblea, può configurarsi un margine di autonomia in capo all’amministratore.

In particolare, quando vi sia urgenza di provvedere, quest’ultimo è legittimato a disporre pagamenti autonomamente, salvo poi riferire e chiedere la ratifica nella prima assemblea successiva (art. 1135, comma 2 c.c.), con una delibera adottata dalla maggioranza qualificata prevista dal codice.

Sono straordinarie, ad esempio, le spese relative ad interventi di rilievo sui muri portanti o sul solaio dell’edificio, la sostituzione dell’autoclave o degli ascensori, al rifacimento integrale degli impianti.

Se l’assemblea non dovesse ratificare la spesa, l’amministratore ha facoltà di ricorrere in giudizio per fare accertare il carattere di urgenza della spesa sostenuta. In caso di soccombenza, egli rimarrà personalmente obbligato con l’impresa e non potrà ottenere il rimborso dai condomini.

IL GREEN PASS IN CONDOMINIO

Il Decreto Legge n. 127 del 21 settembre 2021 ha introdotto il nuovo art. 9-septies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato). Secondo la nuova disposizione, dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, per prevenire la diffusione dell’epidemia, chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato ha l’obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19, proprio per accedere ai luoghi in cui si svolge l’attività stessa.

Tale disposizione si applica a tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato anche sulla base di contratti esterni.

L’obbligo non si applica ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.

Dunque, alla luce del nuovo disposto normativo, sia i datori di lavoro sia i lavoratori sono obbligati al rispetto di queste nuove normative.

Le verifiche del possesso del Green Pass

I datori di lavoro sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni, anche a campione, procedendo prioritariamente con i controlli al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro.

I lavoratori che comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o che risultino comunque privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sono considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della certificazione, e non hanno diritto alla relativa retribuzione per il periodo di assenza.

Sia l’accesso di lavoratori ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi sulla certificazione verde, sia la violazione delle disposizioni sui controlli, sono sanzionati amministrativamente. Sono previste sanzioni sia per il datore sia per i lavoratori.

L’amministratore di condominio quale professionista

La normativa non fa distinzione tra uffici aperti al pubblico o privati, o tra categorie e settori. Pertanto sia l’amministratore di condominio sia i suoi dipendenti in studio devono essere in possesso di Green Pass. Nel caso dei dipendenti, gli amministratori/datori di lavoro sono i soggetti ai quali viene attribuito il compito di definire le modalità operative per organizzare le verifiche, anche a campione, circa il possesso del Green Pass.

Dall’interpretazione delle ultime FAQ del 12 ottobre 2021, pare possibile dedurre che nei confronti dei clienti permane l’obbligo di adottare il protocollo di cui al DPCM 2 marzo 2021: cioè niente certificazione verde, ma solo misurazione della temperatura e mascherina.

Dalla lettura della norma, inoltre, si evince anche il Green Pass sembrerebbe obbligatorio anche per i formatori nel caso in cui lo studio di amministrazione organizzi corsi di formazione per il personale dipendente o aperti al pubblico.

Il condominio quale luogo di lavoro

Nella nozione di “luogo di lavoro” rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura. In base all’art. 62 del d.lgs. n. 81/2008, assumano tale qualifica “i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Pertanto, il condominio edilizio può certamente essere definito come “luogo di lavoro”.

L’amministratore e gli altri lavoratori in condominio

L’art. 2, comma 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale alla lettera b) stabilisce che per datore di lavoro s’intende “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Quindi l’amministratore di condominio va considerato un datore di lavoro solo quando il condominio è assimilabile a un’azienda o a una unità produttiva (Circ. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 5 marzo 1997, n. 28). Su questo aspetto, tuttavia, è importante sottolineare che nei rapporti di subordinazione con i lavoratori presenti in Condominio (ad esempio, portiere e gli addetti alla pulizia, giardinaggio, ecc.), il datore di lavoro è il “condominio” nella sua unitarietà.

Per tali ragioni, i citati lavoratori insieme all’amministratore sono obbligati ad avere il Green Pass.

Green pass in assemblea di condominio

Dal silenzio del legislatore sul punto, che non menziona in nessuna parte del decreto legge n. 127/2021 eventuali controlli o cause ostative alla partecipazione dei condòmini alle assemblee di condominio, attualmente non sarà necessario esibire il Green pass.

Tuttavia, come osservato dai primi commentatori, la partecipazione all’assemblea condominiale può imporre di essere provvisti della certificazione verde COVID-19 in caso di accesso in uno dei luoghi di cui all’articolo 9 bis del decreto legge n. 52/2021, come per esempio centri culturali, centri sociali e ricreativi, spettando in tal caso ai titolari o ai gestori il compito di procedere alle necessarie verifiche.

Negli altri casi – spazi comuni condominiali o presso lo studio dell’amministratore – il professionista e il presidente devono garantire la partecipazione in sicurezza considerato l’obbligo di indossare la mascherina e la sanificazione degli ambienti.