Il regolamento ha natura contrattuale e vieta ogni innovazione sulle cose comuni: proprietario esclusivo non legittimato perché la decisione non può assurgere ad atto normativo valido verso tutti
Il condomino non ha interesse a impugnare la delibera assembleare che vieta all’altro proprietario di aprire un secondo ingresso di accesso sul pianerottolo. La natura pattizia del regolamento condominiale vieta qualsiasi innovazione alle cose comuni, a eccezione delle modifiche sulle strutture secondarie degli edifici. È quanto ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza 12420/17, pubblicata il 17 maggio.
Gli “ermellini” rigettano il ricorso di un condomino che impugna, al fine di farla annullare, una delibera assembleare con cui era stato vietato a un altro proprietario di realizzare un secondo accesso sul pianerottolo di casa. Dopo il rifiuto all’autorizzazione, il proprietario accetta la decisione dell’assemblea, al contrario del ricorrente che si gioca la carta dell’impugnazione per «veder rimosso un deliberato che avrebbe potuto essergli opposto in futuro nell’ipotesi di apertura del medesimo». La Cassazione non accoglie il ricorso, posto la carenza di interesse a impugnare.
La sentenza della Corte di appello ha ritenuto, in conformità al giudice di prime cure, «la natura pattizia della disposizione regolamentare, tesa a vietare “qualunque modifica o innovazione alle cose comuni, anche se in corrispondenza delle singole proprietà individuali”, fatte salve solo modifiche o innovazioni inerenti strutture secondarie degli edifici». La norma regolamentare condominiale ha natura contrattuale e dalla quale discende «l’imposizione di un vero e proprio onere reale al diritto del singolo cui poteva derogarsi solo con la procedura autorizzativa prevista». Ritornando al caso di specie, non c’era alcun interesse ad agire in relazione all’impugnazione della delibera relativa al rigetto dell’istanza autorizzativa per l’apertura di un altro ingresso «non degli odierni ricorrenti e del loro dante causa, ma di altra e terza condomina». Pertanto – conclude il collegio – poiché le delibere assembleari condominiali in materia, «non possono assurgere mai ad atti normativi generali valevoli per qualunque condomino, in modo immodificabile e per qualunque tipo di autorizzazione è evidente la rilevata carenza di interesse». La Corte suprema rigetta il ricorso.