Quando si pensa ad un condominio tipicamente si pensa ad un palazzo formato da varie parti comuni e appartamenti privati. In realtà, però, una gran parte delle unità immobiliari nei palazzi italiani è utilizzato a fini non abitativi.
Nel rapporto del 28 maggio 2015 sul mercato immobiliare, l’agenzia delle Entrate ha censito ben 4.239.886 unità immobiliari di tipologia non residenziale, intese come uffici, negozi, banche, edifici commerciali e alberghi.
Sovente, infatti, specie nelle grandi città, il piano terra dello stabile è occupato da negozi e locali, con vetrine che si affacciano sulla pubblica via.
Sebbene queste unità possano dare l’impressione di essere autonome rispetto al condominio, queste non lo sono e i proprietari degli immobili sono condòmini a tutti gli effetti.
I problemi di convivenza con i condòmini residenti sono generalmente di tre tipologie: i condòmini che lamentano l’invasività del negozio, i cui clienti parcheggiano in modo selvaggio davanti allo stabile e le cui insegne sono istallate sulla facciata del palazzo, e i proprietari dei negozi, che lamentano di dovere pagare spese condominiali per servizi quasi mai utilizzati.
Per quanto riguarda la questione dei clienti invasivi è chiaro come essi non possano parcheggiare i veicoli al di fuori dei parcheggi ufficialmente delimitati dal comune, neanche per i pochi minuti necessari per svolgere la commissione in negozio.
E’ chiaro infatti che l’abitudine di lasciare l’automobile di traverso in prossimità del portone condominiale è contraria alle norme stradali, prima ancora che alle norme interne del palazzo.
Starà quindi al proprietario del negozio di sensibilizzare i propri clienti abituali invitandoli a tenere condotte stradali che non impediscano ai condomini il libero accesso allo stabile.
Nel caso di reiterazione della sosta selvaggia, comunque, oltre ad avvertire la polizia stradale per ottenere la rimozione dei veicoli, si potrà domandare all’amministratore di condominio l’istallazione (compatibilmente con le regole comunali) di dissuasori di sosta da realizzare di fronte all’ingresso del palazzo di modo da rendere impossibile il parcheggio delle autovetture.
La questione dell’insegna del negozio apposta sulla facciata del palazzo, invece, deve essere considerata alla luce dell’articolo 1102 del Codice Civile, che afferma al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.
Il negoziante potrà quindi, chiesti i permessi necessari alla pubblica amministrazione e a sue spese, fare apporre una insegna al fine di promuovere il proprio negozio.
Un espresso limite al quale andrà incontro il negoziante sarà quello della necessità di tutelare il decoro architettonico del palazzo per cui un’insegna non conforme alle regole estetiche e storiche del palazzo sarà certamente considerata come innovazione vietata (si pensi all’insegna di un’autofficina apposta sulla facciata di un palazzo costruito in stile liberty).
L’ultimo comma dell’articolo 1120 del Codice Civile afferma infatti che “sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico”.
I condomini, tuttavia, potranno all’unanimità modificare il regolamento contrattuale vietando l’apposizione di insegne o targhe nel condominio e in particolare “con il consenso unanime i condomini, possono derogare od integrare la disciplina legale e, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’articolo 1120 del Cc, estendendo il divieto di immutazione sino a imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva” (Cassazione, sentenza n. 12582 del 17 giugno 2015 ).
Ulteriore problema di frequente sollevato nella difficile convivenza tra negozi e condomìni è la questione del pagamento delle spese condominiali da parte degli immobili ad uso non residenziale.
Sovente, infatti, il negoziante si sente parte estranea rispetto al condominio, dato che magari non partecipa alle assemblee, non utilizza scale e ascensori e vi si reca solamente durante le ore di apertura.
Di conseguenza può capitare che il commerciante veda come un’ingiustizia il fatto di dovere pagare spese come la manutenzione dell’ascensore, la pulizia delle scale o il riscaldamento anche nelle parti comuni.
Tale ragionamento, tuttavia, non pare corretto.
Il negozio, pur se apparato commerciale, è a tutti gli effetti parte integrante del condominio.
L’articolo 1118 del Codice Civile prevede in punto gestione e utilizzo delle parti comuni che “il condòmino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni” e che “il condòmino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”.
Di conseguenza anche il proprietario del negozio dovrà contribuire, in base ai millesimi di competenza, al pagamento delle spese condominiali.
Quelli sopra tratteggiati sono i conflitti statisticamente più rilevanti tra i condomini e i negozianti dello stabile, esistono tuttavia svariate ulteriori problematiche che possono cagionare attriti.
Per dirimere tali conflitti è necessario avere regole ben precise, definite puntualmente dal regolamento condominiale, e un amministratore in grado di farle rispettare.
In ogni caso le norme del regolamento condominiale e l’opera dell’amministratore possono essere utili e necessari per dirimere i conflitti più macroscopici mentre per le questioni più secondarie e meno evidenti è consigliabile esercitare buon senso e moderazione, anche al fine di evitare lunghe e costose liti giudiziarie.