Cartella nulla se la notifica dell’accertamento al condominio non è eseguita nelle mani dell’amministratore

Valgono le regole stabilite per le persone fisiche. L’atto, ma solo se esiste un locale ad hoc, può essere consegnato anche al portiere

Se il destinatario di un accertamento è il condominio a chi va notificato l’avviso? Si applicano le stesse regole stabilite per le persone fisiche e, quindi, la notifica va eseguita nelle mani dell’amministratore o ai soggetti abilitati a riceverlo, ma solo nei luoghi in cui ciò è consentito. Tra questi può essere compreso anche lo stabile condominiale a condizione che esistano locali, come ad esempio la portineria, destinati allo svolgimento della gestione dei servizi comuni.
Lo ha stabilito la Cassazione che, con l’ordinanza n. 25276/17, pubblicata oggi dalla quinta sezione civile, accoglie il ricorso di un condominio, destinatario di un accertamento della vecchia Ici. Il punto, secondo il ricorrente, è che la notifica dell’avviso non giunse mai a destinazione e, pertanto, l’omessa comunicazione comportò l’emissione delle cartelle di pagamento. Secondo la Ctr di Napoli che rigettava l’istanza del ricorrente, dagli atti risultava un avviso di ricevimento non consegnato al destinatario perché assente cui aveva fatto seguito l’immissione dell’avviso nella cassetta dello stabile, il deposito presso l’ufficio e la spedizione di una successiva comunicazione di avvenuto deposito. La commissione regionale riteneva non nulla né tantomeno inefficace la notifica perché tra le cassette doveva esserci anche quella dell’amministratore. D’altronde, secondo la tesi del giudice tributario, in assenza di un portiere non si può pensare che la notifica possa essere irregolare. La Cassazione non condivide il ragionamento e accoglie il ricorso.
Dalla decisione della Ctr risulta che la notifica degli avvisi è avvenuta presso il condominio e non presso il suo amministratore, inoltre, «la procedura relativa all’irreperibilità del destinatario per uno degli avvisi e quella di compiuta giacenza per l’altro è stata eseguita con riferimento al condominio e non alla persona fisica dell’amministratore». Non c’è prova che presso lo stabile condominiale esistessero locali, in particolare una portineria, «specificamente destinati e concretamente utilizzati per l’organizzazione e lo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni». Anzi, il mancato recapito e la compiuta giacenza depone proprio per la mancanza di un locale simile che poteva essere ritenuto “ufficio” dell’amministratore. Il collegio accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. Le cartelle di pagamento sono annullate.

Spese urgenti non rimborsabili al condomino che le ha anticipate sulle parti comuni a suo esclusivo uso

Accolto il ricorso di un proprietario che lamentava di non avere accesso alle aree ristrutturate senza il suo consenso

Non sono rimborsabili al condomino che le ha anticipate le spese urgenti sostenute per la manutenzione di parti comuni in uso esclusivo al proprietario che ha fatto fare i lavori.

Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 25729 del 30 ottobre 2017, ha accolto il ricorso di un condomino che si era visto richiedere le spese da un albergatore che aveva anticipato degli interventi urgenti su parti comuni ma a suo uso esclusivo.

I supremi giudici hanno dunque dato ragione al condomino che si era opposto al decreto ingiuntivo con il quale gli venivano richiesti i soldi di spese improcrastinabili.

Sul punto il Collegio di legittimità ha infatti precisato che Il Tribunale ha sì ritenuto che, trattandosi di un condominio, il rimborso delle spese per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni, anticipate da uno dei condomini, trova la sua disciplina nell’art. 1134 c.c., in base al quale il diritto è riconosciuto soltanto per le spese urgenti e non in base al mero dato della trascuratezza degli altri comunisti, ma ha poi – con falsa applicazione di legge che si riflette nella contraddittorietà della motivazione – ravvisato l’urgenza in una situazione di fatto in cui tale urgenza delle spese (intesa, secondo lo stesso Tribunale che si richiama alla pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006, come l’erogazione che non può essere differita senza danno o pericolo) non è ravvisabile (il Tribunale richiama infatti la diffusa inerzia degli altri titolari di immobili compressi nel complesso e la “difficoltà di procurarsi tempestivamente i! consenso e la necessaria cooperazione degli altri condomini”, in relazione all’ “adeguamento di tutti gli impianti e servizi comuni alle normative di igiene e sicurezza pubblica disciplinanti l’attività alberghiera” e, comunque, al mantenimento degli spazi comuni).

Condominio risarcisce il danno al condomino che è caduto per il dislivello fra ascensore e piano

Un condomino cade a causa del dislivello fra cabina dell’ascensore e pavimento del piano d’arresto. Ma il condominio non può essere ritenuto esente da responsabilità anche nel caso in cui la condotta della vittima risulta colposa. E ciò perché il giudice del merito deve verificare se il comportamento dell’infortunato fosse prevedibile da parte dall’ente di gestione: diversamente non si configura il caso fortuito che lo esonera della responsabilità da custodia. È quanto emerge dall’ordinanza 25837/17, pubblicata il 31 ottobre dalla terza sezione civile della Cassazione, che decide la causa in camera di consiglio.

E’ stato così accolto il ricorso dell’infortunato. Aveva sbagliato la Corte d’appello a escludere il risarcimento a carico del condominio sul rilievo che la distanza fra l’ascensore e il pavimento costituisca una situazione «normale e prevedibile». Il Condomino conosce l’impianto, che al momento del sinistro non è guasto né al buio. E dovrebbe stare più attento visto che ha difficoltà a camminare. Insomma: l’incidente sarebbe avvenuto per una mera distrazione dell’infortunato. Trova invece ingresso la censura secondo cui anche a ipotizzare una colpa della vittima la circostanza potrebbe al massimo rappresentare una concausa del danno. Soprattutto non basta la (eventuale) negligenza dell’infortunato non basta a escludere la responsabilità da custodia del condominio: la prevedibilità della condotta, infatti, costituisce l’altro elemento costitutivo ex articolo 2051 Cc. Altrimenti si rischia di ridurre se non di eliminare la presunzione di responsabilità prevista dalla norma. E ciò perché se la vittima è prudente, l’incidente non si verifica, mentre quando non lo è il custode della cosa risulta scriminato dal fortuito.

Revocato il decreto che ingiunge il pagamento in solido e non pro quota di oneri condominiali

L’amministratore deve rispettare la divisione parziaria del debito maturato dai singoli comproprietari della medesima unità immobiliare

Il decreto ingiuntivo che impone il pagamento in solido e non pro quota di oneri condominiali ai comproprietari di un appartamento deve essere revocato. La soluzione, infatti, contrasta con i criteri che disciplinano la suddivisione delle spese condominiali contenuti nell’articolo 1123 del codice civile.

Lo ha affermato il tribunale di Palermo con la sentenza 1163 del 2017 che ha accolto il ricorso di tre comproprietari di un appartamento pervenuto loro per successione in quote diverse.

Il condominio, consapevole della situazione, aveva originariamente chiesto a ciascuno il pagamento in base alla quota di proprietà ma il tribunale aveva ingiunto il versamento in solido. Di qui l’opposizione presentata dai proprietari.

Il tribunale, nel decidere la questione revocando il decreto ingiuntivo, ha spiegato che l’amministrazione condominiale era a conoscenza delle quote di proprietà delle unità immobiliari, come è documentato dalla richiesta dei contributi avanzata per l’attività di ristrutturazione dell’edificio pro-quota di proprietà. La sopravvenuta morte di uno dei comproprietari avrebbe quindi dovuto allertare l’amministratore per distribuire ai singoli comproprietari delle unità immobiliari oggetto della pretesa creditoria la giusta quota degli oneri condominiali singolarmente su di essi ricadente. A un cauto e diligente amministratore di un condominio, ha proseguito il tribunale, non può sfuggire che il condominio è creditore rispetto ai singoli comproprietari condomini degli oneri condominiali pro-quota di proprietà di ciascuno, non rispondendo degli oneri condominiali vantati dalla comunione condominiale i condomini in solido fra loro verso il condominio stesso ma soltanto parziariamente sia con riferimento alla proprietà delle singole unità immobiliari sia con riferimento ai rapporti interni fra comproprietari di una stessa unità immobiliare.

I criteri che disciplinano la suddivisione delle spese condominiali sono infatti contenuti nell’articolo 1123 del Cc che dispone al primo comma che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza dei condomini sono sostenute in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salva diversa convenzione.

Questo principio, ha spiegato il tribunale, costituisce criterio primario di suddivisione degli oneri condominiali ed è improntato alla ripartizione delle spese sulla base del valore delle proprietà dei singoli partecipanti alla comunione e, perciò, in base ai millesimi di proprietà di ciascuno dei condomini. Nulla di più semplice e immediato.

Nella specie, quindi, non ci si trova dinnanzi a un rapporto obbligatorio instaurato tra terzi estranei alla comunione condominiale ma a un’obbligazione che vincola i comproprietari pro-quota di una stessa unità immobiliare al condominio medesimo.

Ne consegue che il condominio, che è parte creditrice del rapporto obbligatorio, ha l’onere di rispettare la divisione parziaria del debito maturato nei suoi confronti dai singoli comproprietari della medesima unità immobiliare.

Nulla la delibera sulla ristrutturazione che viola proprietà individuali anche se il danneggiato ha prestato il consenso ai lavori

La decisione può essere considerata valida solo se l’interessato ha manifestato la volontà espressa di stipulare un negozio dispositivo in tal senso

La delibera condominiale che approva la ristrutturazione del fabbricato è nulla se viola diritti individuali di proprietà anche quando l’interessato ha prestato il consenso all’esecuzione dei lavori. La decisione, infatti, può essere considerata valida solo quando il danneggiato ha manifestato la volontà espressa di stipulare un negozio dispositivo in tal senso. Lo ha affermato la seconda sezione civile del tribunale di Nocera Inferiore con la sentenza 251/17 che ha accolto il ricorso di una donna nei confronti del condominio.
In particolare la ricorrente chiedeva che fosse dichiarata nulla la delibera condominiale in forza della quale erano stati approvati ingenti lavori di ristrutturazione dell’edificio. Le opere eseguite, infatti, avrebbero violato i diritti individuali di proprietà, in particolare provocandole la perdita dell’uso esclusivo della scala di accesso al sottotetto, la perdita dell’affaccio sul lato est, la perdita dell’uso di un locale adibito a bagno e la riduzione della superficie della sua proprietà in favore di un altro condomino.
Il condominio, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda sul presupposto che l’istanza doveva essere inquadrata nel rimedio dell’annullamento della delibera assembleare e che, pertanto, si doveva considerare tardiva.
Il tribunale, nell’accogliere la richiesta della donna, ha affermato invece che dalle risultanze della perizia tecnica si ricavano molteplici elementi che provano l’effettiva esistenza di diritti esclusivi della ricorrente intaccati dalla delibera impugnata e dalla successiva esecuzione dei lavori, quali la perdita dell’uso esclusivo della scala di accesso al sottotetto, dell’affaccio sul lato est e dell’uso di un locale adibito a bagno, nonché la riduzione della superficie complessiva della sua proprietà. Le delibere assembleari del condominio, ha proseguito il giudice, sono considerate nulle, tra l’altro, quando incidono sui diritti individuali con la conseguenza che appaiono infondate le eccezioni sollevate dai convenuti in punto di tardività dell’impugnazione, atteso che l’azione di nullità non è soggetta ad alcun termine di decadenza. Inoltre, ha concluso il tribunale, va espressamente escluso che nel prestare il consenso all’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, la ricorrente abbia inteso disporre dei propri diritti esclusivi. Infatti un’incidenza sui diritti individuali dei singoli condomini si può giustificare e non dar luogo a nullità della delibera solo nel caso in cui il condomino interessato abbia manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo in tal senso.

Dopo la divisione in due dell’edificio è condominiale la terrazza che copre tutti i piani della porzione

Per superare la presunzione ex articolo 1117 Cc il proprietario esclusivo dell’appartamento estraneo al fabbricato dovrebbe produrre un titolo con l’espressa disposizione o destinazione in suo favore

È comune e non di esclusiva proprietà la terrazza a livello che fa da copertura ai piani sottostanti di uno dei due edifici e attigua all’immobile compreso nell’altro edificio, a meno che non risulti da un titolo l’espressa disposizione o destinazione in favore del proprietario dell’appartamento confinante estraneo al condominio. A sancirlo è la Cassazione con l’ordinanza 21340/17, depositata oggi dalla sesta sezione civile.
Il collegio di legittimità accoglie il ricorso di una società immobiliare contro i condomini di un edificio vicino. La controversia ha ad oggetto una terrazza a livello, ritenuta dalla società ricorrente bene comune, mentre dai vicini di proprietà esclusiva che, con mobili e manufatti, la occupavano abusivamente. La Corte di appello, in conferma della decisione del tribunale, ritiene che la ricorrente non aveva prodotto in giudizio alcun titolo dimostrativo della proprietà della terrazza. La società ha, però, il suo riscatto in sede di legittimità. La controversia è tra i due aventi causa dall’originario proprietario di un unico complesso immobiliare suddiviso successivamente in due distinti condominii e riguarda la proprietà della terrazza sovrapposto a uno dei due. Ora la società ritiene, correttamente, che il manufatto fa da copertura dei piani sottostanti dell’edificio, operando una presunzione di comunione, come stabilisce l’articolo 1117 Cc: pertanto, la decisione della Corte di appello è errata perché ha mal interpretato la disposizione. Il giudice del rinvio, cui è rimandata la causa, dovrà rifarsi al seguente principio di diritto: «Nella controversia fra due aventi causa dall’unico originario proprietario di un complesso immobiliare, poi suddiviso in due distinti condomìni, la proprietà di una terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani di uno dei due edifici ed attigua ad un’unità immobiliare ricompresa nell’altro edificio condominiale, è da ritenersi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle unità immobiliari da essa coperte, a norma dell’articolo 1117, n. 1), Cc., quale parte necessaria all’esistenza del fabbricato, salvo che non risulti dal titolo l’espressa disposizione o destinazione della proprietà superficiaria della terrazza in favore del proprietario del contiguo appartamento estraneo al condominio». Il collegio accoglie il ricorso.

L’amministratore del condominio ottiene dal giudice il decreto ingiuntivo senza la delibera dell’assemblea.

Con la ratifica del suo operato, può impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione dell’assemblea. Lo sancisce la Cassazione con l’ordinanza n. 21313/17, pubblicata il 14 settembre dalla seconda sezione civile. Il collegio di legittimità richiama la pronuncia delle Sezioni unite (sentenza n. 18331/2010), secondo la quale l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131, secondo e terzo comma, Cc., può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.

Lecita la sosta auto temporanea in cortile

La necessità di trovare un parcheggio è, sovente, motivo di diverbio tra automobilisti nella caotica giungla del traffico cittadino. Quando, poi, lo scontro si sposta all’interno dell’universo condominiale, prevale la Legge nel determinarne ragioni e torti. Il caso trattato dalla Cassazione, con sentenza 18622/2017 del 27 Luglio u.s., vede protagonisti un condòmino che conveniva in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace, il proprio condominio ed altri cinque condòmini dello stesso immobile, chiedendo che venisse dichiarata l’inesistenza di un diritto di questi ultimi a parcheggiare la propria autovettura all’interno delle parti comuni e lungo le corsie di accesso ai box auto, salvo in caso di forza maggiore e per il tempo strettamente necessario.

Ad avviso del ricorrente, il fatto che il condominio fosse dotato di box auto di proprietà dei condòmini, era motivo fondato di divieto per la sosta di automobili nel cortile. Giudice di Pace e Tribunale respingevano e rigettavano, rispettivamente, il ricorso in quanto l’art. 23 del regolamento condominiale, vieta a tutti i condomini, salvo in casi eccezionali, l’occupazione permanente, con costruzioni provvisorie e oggetti mobili, di scale, terrazze, ripiani, anditi, e, più in generali di locali e spazi di proprietà o di uso comune, ma non la sosta temporanea delle autovetture dei condomini nel cortile comune e lungo la corsia di accesso, anch’essa comune, ai box di proprietà esclusiva. Inoltre, l’istruttoria ha evidenziato che, il parcheggio delle autovetture nelle modalità espresse nel ricorso, era avvenuto, solo per brevi periodi, soprattutto durante la pausa pranzo, senza ostacolare né impedire il passaggio o la circolazione dell’autovettura del ricorrente.

Per la Cassazione i motivi di ricorso espressi dal ricorrente sono stati ritenuti infondati, ribadendo che l’interpretazione di un regolamento di condominio, da parte del giudice del merito, è insindacabile in sede di legittimità a meno che non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici. Inoltre il Tribunale ha dato una plausibile interpretazione dell’art. 23 del regolamento condominiale, con il quale si è stabilito, in modo disciplinato, sia l’utilizzo e i modi di fruizione delle parti comuni, che la possibilità da parte dei condòmini di sostare le vetture negli spazi condominiali. E infine, la sosta temporanea dei veicoli da parte dei condomini non ha comportato alcuna alterazione della destinazione comune, né ha impedito agli altri partecipanti al condominio di farne uso secondo il loro diritto.

Rigettando il ricorso, la Cassazione ha condannato il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal condominio e dagli inquilini controricorrenti, che liquida, per ciascuna parte, in euro 2.200, di cui euro 2.000 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge, ed al versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Non serve autorizzazione dell’assemblea se nell’urgenza rientrano i lavori che conviene fare tutti insieme

Anche nei condomini minimi pesa il risparmio nel concetto di indifferibilità: si inizia con l’impianto elettrico non a norma e l’impalcatura usata per l’intonaco rende poi opportuno intervenire sul tetto

E’ rilevante la convenienza economica sulla nozione di lavori urgenti che possono essere realizzati a spese di un condomino senza autorizzazione dell’assemblea, salvo successivo rimborso. L’oggettivo risparmio deve essere valutato considerando l’indifferibilità delle opere «nella prospettiva dell’analisi economica del diritto». E la regola ex articolo 1134 Cc vale anche nei condomini minimi. È quanto emerge dalla sentenza 17393/17, pubblicata il 13 luglio dalla seconda sezione civile della Cassazione. E’ stato bocciato il ricorso della parte condannata a versare all’altra oltre 25 mila euro dopo i lavori realizzati all’immobile in condominio minimo. Anche in questa ipotesi si applica le regola secondo cui vanno rimborsate le spese sostenute dal singolo condomino per la conservazione della cosa anche senza autorizzazione dell’assemblea. E nella specie i lavori all’esito della Ctu si rivelano davvero indifferibili: in effetti anche l’altro condomino risulta aver prestato il consenso alle opere, per quanto fuori dall’assemblea. Il principio di diritto affermato dagli “ermellini”, tuttavia, riguarda ogni tipo di condominio: dalla consulenza svolta emerge che il fabbricato aveva bisogno di opere di conservazione, a partire dall’impianto elettrico che non era a norma. Ma ci sono anche gli intonaci «ammalorati» e dunque bisogna montare le impalcature: a quel punto diventa opportuno anche un intervento sul tetto che necessita di impermeabilizzazione». Il tutto in base a un principio di economie di scala da cui emerge la convenienza economica di effettuare tutti i lavori necessari nell’unico contesto temporale.

L’ex amministratore che rubò al condominio paga il compenso al successore oltre a coprire l’ammanco di cassa

Professionista condannato a ricostituire il fondo cassa per non aver onorato i debiti coi fornitori e versato i contributi al portiere: collega subentrato da retribuire perché ha fatto chiarezza sui conti

Un amministratore sotto accusa per la ” mala gestio” del condominio è stato condannato non solo a coprire l’ammanco nelle casse dell’ente del condominio gestione ma anche a pagare un compenso straordinario al suo successore che ha dovuto far luce sui vecchi conti. Il tutto rientra nell’obbligo restitutorio tipico del mandatario. È quanto emerge dalla sentenza 6591/17, pubblicata dalla quinta sezione civile del Tribunale di Roma.

L’amministratore dovrà pagare al condominio oltre 54 mila euro per una gestione definita «quantomeno approssimativa». E nella somma rientrano anche i 2.400 euro da riconoscere al professionista subentratogli, che ha dovuto rimettere a posto le carte redigendo vari bilanci. Alla scdenza del mandato, il condominio si era trovato esposto verso terzi per 30 mila euro di debiti non saldati, verosimilmente verso fornitori. E i pagamenti di un condomino non risultano contabilizzati. Non finisce qui: l’assemblea è costretta a deliberare subito la costituzione di un fondo spese di 20 mila euro perché per cinque anni l’amministratore non ha versato i contributi previdenziali al portiere dell’edificio e l’Inps notifica le cartelle esattoriali. D’altronde tre rendiconti non risultavano approvati dall’assemblea e alle inadempienze dell’ex amministratore stava rimediando con fatica il successore. Ora l’amministratore uscente ottiene soltanto il compenso per le prestazioni svolte negli ultimi tre anni ma non le somme reclamate per le gestioni straordinarie perché manca una delibera ad hoc con il condominio. All’ex amministratore non resta che pagare, anche le spese processuali.