Decoro architettonico dell’edificio

“Il decoro architettonico è costituito dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio, e all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonia fisionomica; a tal fine non è necessario che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico. Per decidere sull’incidenza di un’opera sul decoro architettonico, si devono adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente, e in quale misura, un’unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all’innovazione dedotta in giudizio, oltre all’eventuale compromissione di essa dovuta a precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. Inoltre, si deve accertare se le modifiche apportate siano tali da provocare un pregiudizio estetico dell’insieme suscettibile di un’apprezzabile valutazione economica”.

Natura condominiale di alcuni beni

“L’azione di rivendica può essere esercitata anche nei confronti di alcuni o di tutti i condomini qualora la loro condotta comporti una lesione dell’esercizio del diritto del proprietario, non solo sul bene di proprietà individuale, ma anche sul bene comune e, in sostanza, un vero e proprio spossessamento da questo subito circa lo ius utendi del bene medesimo; in questo caso il condomino può far valere in via petitoria il suo diritto al compossesso, anche limitatamente alla propria quota in quanto il fine sarà quello di conseguire l’accertamento del diritto di comproprietà, nonché l’uso e il godimento della cosa comune nei limiti della sua quota”.

Obblighi e potere di rappresentanza dell’amministratore

“Il condominio, nella persona dell’amministratore è rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione di una parte comune, ivi compreso il condomino che di una parte comune abbia eventualmente l’uso esclusivo, compresa l’ipotesi in cui una parte dell’edificio condominiale sia comune soltanto ad alcuni dei condomini. I criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione di tutte le parti comuni dell’edificio condominiale non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 c.c.“.

Cosa accade quando non si usufruisce dell’impianto di riscaldamento?

“Il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall’impianto di riscaldamento centrale, che sia però potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell’art. 1117, n. 3 c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell’immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione”.

Dimensioni e caratteristiche strutturali del sottotetto

“Se il sottotetto ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’uso come vano autonomo e se esso risulta in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, va annoverato tra le parti comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma di cui all’art. 1117 c.c., la quale si ritiene operi ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi”.

Impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale

“L’art. 1136, co. 2, 3, 4 e 5 Cc, afferma che le deliberazioni de quibus devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza, semplice o qualificata, dei partecipanti alla riunione e del valore dell’edificio e che sebbene tale disposto normativo non contempli altrettanto espressamente l’individuazione e la verbalizzazione dei nominativi dei partecipanti alla votazione, dissenzienti e astenuti, né l’indicazione dei valori delle rispettive quote millesimali, ciononostante siffatte indicazioni risultano essere essenziali al fine non solo di permettere la verifica dell’avvenuto raggiungimento della maggioranza prescritta per la validità della deliberazione, ma anche allo scopo di consentire la chiara individuazione dei votanti favorevoli e contrari sia per far emergere ipotesi di conflitto di interessi, sia per individuare i condomini legittimati ad impugnare la stessa deliberazione. Per l’effetto, l’omessa verbalizzazione dell’indicazione nominatim dei singoli condomini favorevoli e contrari e delle loro quote di partecipazione al condominio viola la disciplina dettata nell’art. 1136 Cc, impedendo il controllo sulla sussistenza delle specifiche maggioranze richieste dalla stessa norma in ordine alle singole questioni”.

Riscossione dei contributi: niente questioni attinenti alla validità della delibera

“In tema di opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso ai sensi dell’art. 63 disp. att.Cc per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale ma solo questioni riguardanti l’efficacia della medesima. Tale delibera infatti costituisce titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l’esistenza di tale credito e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto, e il cui ambito è dunque ristretto alla sola verifica della esistenza e della efficacia della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere”.

Non ha un registro a norma di privacy? L’amministratore non può essere rimosso

Anche se non tiene un registro a norma di privacy, l’amministratore non può essere rimosso. Ciò significa che non è un problema, per l’amministratore, non tenere un doppio registro dell’anagrafe condominiale, uno completo e l’altro depurato da tutti i dati sensibili, da mostrare, su richiesta, ad un proprietario esclusivo. “Le esigenze di tutela della privacy devono essere garantite con un documento solo. Il singolo condomino deve dunque accontentarsi delle informazioni fornitegli dall’amministratore al netto dei dati catastali degli immobili vicini al suo“.

E se l’amministratore di condominio, per esempio, è un avvocato, questi è liberissimo di conservare il registro nel proprio studio. Questo è quanto stabilisce il decreto 3842/16, pubblicato dalla terza sezione civile della Corte di appello di Milano.

L’amministratore non può essere rimosso per non avere un registro a norma di privacy: il caso

Stando al secondo comma dell’articolo 1129 CC, ogni interessato ha il diritto a prendere visione del registro di anagrafe condominiale. Ma il fatto che la norma parli di “soggetti interessati” ne circoscrive in qualche modo l’accesso, come se escludesse l’esistenza di un diritto “incondizionato e illimitato” dei condomini a prendere visione di questo documento.

Spetta pertanto all’amministratore il compito di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di protezione della privacy  dei condomini e sulle richieste dei singoli proprietari di accedere ai al registro di anagrafe condominiale per degli interessi comuni. Dovendo infatti rispettare il decreto legislativo 196/03, l’amministratore deve adottare ogni tipo di azione necessaria a tutelare la privacy dei propri condomini. Per esempio, alla ditta che deve eseguire lavori all’interno di uno stabile, l’amministratore non può e non deve comunicare tutti i dati richiesti. E se un condomino è contrario a questo modo che l’amministratore ha di tenere il registro di anagrafe condominiale, non può ottenere la sua rimozione, anche se questi, al rinnovo della carica, non ha ancora comunicato i propri dati al condominio.

Abbattimento dell’albero in cortile: il Comune deve mostrare la perizia

Se si vuole l’abbattimento dell’albero in cortile, il Comune è obbligato a mostrare ai proprietari esclusivi le carte sulle quali è espresso il giudizio dell’amministrazione sull’eventuale pericolosità dell’arbusto in questione.  Lo ha stabilito la sentenza 7332/16, emessa dalla sezione seconda bis del Tar Lazio, basandosi sulla perizia di un agronomo che ha attestato che un pino marittimo posto sul cortile di un condominio sarebbe potuto cadere da un momento all’altro.

Per questo motivo, l’ente locale avrebbe esortato l’amministratore dello stabile in questione a provvedere immediatamente alla rimozione dell’arbusto.

Abbattimento del’albero in cortile: il caso

Visto però, che questo arbusto, con la sua ombra, protegge più di un appartamento dal calore estivo, uno dei proprietari esclusivi avrebbe chiesto al Comune di vedere la perizia secondo la quale l’albero era stato giudicato un pericolo. E lo stesso Comune, dal canto suo, non può negare l’accesso ai documenti, in quanto ogni singolo condomino ha, in base alla legge sulla trasparenza, il diritto di prendere visione delle carte in questione. Pertanto, il Comune dovrà tirare fuori la perizia entro, e non oltre, un mese.

Inoltre, secondo la legge, le spese per la rimozione dell’arbusto ricadono sull’ente di gestione, ovvero sulla collettività dei proprietari. A questo punto, quindi, un condomino affezionato all’albero ha voluto consultare la relazione dell’agronomo e conoscere il parere dell’ufficio tecnico del comune. Questi, in base all’articolo 22 della legge 241/90, in quanto proprietario esclusivo, risulta titolare di una posizione qualificata.

L’amministrazione, dal canto suo, è tenuta a riconoscere implicitamente che la richiesta del condomino è assolutamente legittima e, visto che non ha ottemperato al suo compito, è tenuta, per volere del giudice, a pagare le spese di giudizio al condomino. Inoltre, qualora l’albero fosse già stato abbattuto, è probabile che la causa tra le due parti non finisca qui.

Interventi di manutenzione straordinaria e clausola penale

Spesso all’interno di un condominio si deve procedere ad eseguire interventi di manutenzione straordinaria. un esempio su tutti è il rifacimento del tetto: “l’assemblea delibera i lavori, istituendo il relativo fondo spese o stabilendo il versamento a rate, ai Sal (articolo 1135 del Codice civile, come modificato dalla legge 220.2012). E nel contratto di appalto è prevista la clausola penale. Sul tema è intervenuta la recente decisione della Cassazione n. 13902/2016 del 7.7.2016“.
Nel caso di specie, l’impresa appaltatrice aveva già ottenuto l’ingiunzione per il pagamento del saldo; il condominio, invece, si opponeva con varie motivazioni, tra cui spiccava quella riguardo l’eccessiva onerosità della penale, unico motivo portato in Cassazione. La Corte di Appello. dal canto suo,  aveva già preso in considerazione la riduzione della penale già operata dal condominio, facendola anche decorrere dalla data dell’inizio della causa, decidendo pertanto di non effettuare alcuna riduzione a equità. Il condominio, invece,  lamentava “la violazione dei principi della clausola penale (art. 1382 c.c.) e dei tassi di interesse (art. 1815 c.c.): l’importo giornaliero della penale decorrente dall’inizio della causa comportava il superamento della soglia del tasso usuraio“.

Interventi di manutenzione straordinaria: la decisione della Cassazione

Per questi motivi, la  Suprema Corte ha ritenuto fondate le motivazioni, ha delineato una nuova finalità della penale: “la realizzazione dell’equilibrio delle parti del contratto, evitando l’abuso di posizione dell’adempiente, senza tutelare l’inadempiente ma bilanciando il rapporto contrattuale. Fino a ieri la penale era definita negozio autonomo, con oggetto e funzione propria (Cass. 16492/2002 e Cass. 6561/1991). In passato si leggeva che: «il contraente adempiente ha diritto di richiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento o all’inesatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto, ai sensi dell’art. 1453, comma 1, del Codice civile in ogni caso e, cioè, sia quando egli chieda anche la risoluzione del contratto, sia quando rivendichi la relativa esecuzione, ed anche quando le conseguenze dell’inadempimento siano ancora eliminabili o attualmente eliminate, per cui la pretesa risarcitoria è accoglibile solo in relazione al pregiudizio realizzato nel tempo dell’inadempimento e fino alla cessazione di questo». (Cass. 5100/2006; Cass. 9926/2005)“.
Quindi, con la decisione n. 13902.2016 dove «il riferimento all’interesse del creditore contenuto nella norma e considerato che la possibilità della riduzione ad una misura equa trova la sua r della Suprema Corte ragion d’essere nell’interesse del debitore inadempiente, consente di identificare quel criterio nell’equo contemperamento degli interessi contrapposti, che assicuri, cioè, il posizionamento del soggetto adempiente sulla curva di indifferenza più vicina a quella su cui si sarebbe co0llocato qualora il contratto fosse stato adempiuto».

Per concludere, ecco l’affermazione, assolutamente degna di nota, del Collegio: «D’altra parte, tenuto conto che dal nuovo e moderno sistema contrattuale, quale viene sempre più emergendo, anche dalla normativa europea, corollario di un liberismo che al contempo è anche solidaristico, emerge una maggiore attenzione per la giustizia contrattuale, cioè per un contratto che non presenti né uno squilibrio strutturale, né e soprattutto uno squilibrio tra prestazioni o di contenuto, appare ragionevole che anche la clausola penale debba essere espressione di un corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti».