Conferma del condominio parziale

Si parla di condominio parziale, disciplinato dall’art. 1123 c.c., comma 3, quando un bene è in comune solo tra alcuni condomini. Cosa che accade, per esempio, quando solo alcuni condomini hanno “la proprietà esclusiva dei posti auto ovvero nell’ipotesi in cui alcune tubazioni siano a servizio solo di alcuni immobili” (Cass. n. 10483, depositata il 21 maggio 2015).
Ovviamente, quando arriva il momento di eseguire dei lavori su tali beni comuni, sorge spontaneamente alcuni problemi. Per esempio, come vengono ripartite le spese?

Condominio parziale: come ripartire le spese?

Per ciò che riguarda la deliberazione vi è da dire che all’assemblea possono partecipare solo i condomini interessati e le relative maggioranze saranno formate prendendo in considerazione i loro millesimi di partecipazione al condominio parziale.
Con la logica conseguenza che in caso di diversa composizione, ad esempio delibera assunta in sede di assemblea generale invece che parziale, la stessa sarà da ritenersi del tutto nulla per incompetenza assoluta dell’assemblea”.
Passando in rassegna la sentenza, la Suprema Corte ha voluto esaminare la questione in ordine alla “configurabilità della comunione o del condominio parziale” riferendosi ad un cancello che serviva un’area che era in comproprietà solo per alcuni condomini, risolvendola in favore di questo ultimo istituto.

Condominio parziale: ecco cosa stabilisce la sentenza della Cassazione

Infatti, la Cassazione con la sentenza n. 4127 del 02.03.2016 ha confermato che “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio, parte oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. 24 novembre 2010, n. 23851; Cass. 28 aprile 2004, n. 8136).
Per tale motivo, dovendo dare risposta al secondo quesito in ordine al corretto riparto delle spese, occorre ritenere che nel caso del condominio parziale trova applicazione l’art. 1123 c.c. 3 comma, che ripartisce le spese relative alla conservazione e godimento in proporzione dell’uso che ciascuno può farne o meglio, o meglio in relazione all’utilità’ che ciascun condomino trae dal bene comune (Cass. n. 6359/1996): così, per esempio, le spese per l’installazione delle porte tagliafuoco necessarie a garantire un sufficiente livello di sicurezza delle autorimesse, viene ripartita esclusivamente tra i proprietari dei box auto (Cass. n. 7077/1995; Cass. n. 5179/1992)“.

Risarcimento per danno emergente e lucro cessante

La mancata locazione di un immobile per cause imputabili al condominio (infiltrazioni di acqua nell’appartamento, proveniente dalle coperture condominiali) ne comporta il mancato godimento per colpa altrui e, pertanto, non comporta alcun risarcimento per danno emergente.
Questa è la sintesi della sentenza (la 10870/2016) emessa dalla Corte di cassazione, che ha dato ragione ad un condòmino “che aveva citato in giudizio il condominio per sentirlo condannare al rifacimento dei lavori di alcune coperture condominiali e al risarcimento dei danni derivanti dalle infiltrazioni presenti all’interno di un suo immobile di proprietà che non aveva potuto locare, causandogli un notevole pregiudizio economico“.

Quando il condomino non deve alcun risarcimento per danno emergente

Pertanto, in primo grado, il condominio è stato condannato al rifacimento dei lavori indicati dalla Ctu nonché al pagamento dei danni in favore del condomino, mentre è stato chiamato in causa anche il terzo attore, ovvero la ditta che aveva eseguito i lavori, in base all’articolo 1667 del Codice civile, pertanto anche la Corte di appello rigettava la domanda di risarcimento danni in quanto, “pur essendo un danno derivante dal mancato godimento di un diritto reale , l’attore non aveva fornito alcun elemento per la sua quantificazione.
La ditta appaltatrice veniva così obbligata al risarcimento, al posto del condominio, delle spese che avrebbe dovuto affrontare per il rifacimento delle opere ordinate dai giudici. E veniva confermata la legittimazione passiva del condominio in quanto l’attore non aveva agito in giudizio per far valere i diritti derivanti dal contratto di appalto ma in qualità di condòmino per la realizzazione dei lavori necessari alla tutela delle parti comuni dell’edificio e per il risarcimento dei danni derivanti dalle parti comuni stesse“.

Il risarcimento per danno emergente lo deve il condominio!

Per quanto riguarda il risarcimento del danno emergente, i giudici della Corte di Cassazione hanno ribaltato però la sentenza della Corte di appello. “Appurato che le infiltrazioni lamentate avevano impedito al condòmino danneggiato – che non si era disinteressato all’utilizzo del bene – di locare l’immobile, per i giudici di legittimità il pregiudizio andava risarcito mediante ricorso ad elementi di carattere presuntivo, tra i quali quelli che emergevano dalla Ctu , con i quali poter procedere al calcolo, a sua volta presuntivo, del valore locativo dell’immobile.
Riguardo, invece, al difetto di legittimità passiva del condominio, osservava la Corte che, dagli atti di causa, si evinceva che il danneggiato non aveva inteso far valere in giudizio le garanzie e le azioni discendenti dal contratto di appalto, bensì aveva agito in qualità di condòmino per ottenere l’esecuzione dei lavori per la tutela delle parti comuni, nonché per il risarcimento dei danni derivati dalle stesse parti. Per queste motivazioni la Cassazione rigettava il ricorso incidentale del condominio e dava pienamente ragione al condòmino danneggiato“.

Mancata consegna della documentazione? L’amministratore non viene revocato!

Anche se non consegna la documentazione contabile, a meno che non lo faccia con delle modalità contrarie alla buona fede, e anche se non ottiene il consenso dell’assemblea alla modifica delle tabelle millesimali, l’amministratore non viene revocato.
Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Avellino con la sentenza del 22 marzo 2016 al termine di una causa in cui alcuni condomini avevano chiesto che l’amministratore del proprio stabile venisse revocato per via di alcune gravi irregolarità ai sensi dell’art. 1129 c.c., nonché di nominare di un amministratore giudiziario in attesa che l’assemblea provvedesse a nominare un nuovo amministratore.

Anche se non presenta la documentazione contabile, l’amministratore non viene revocato

In primo luogo, c’è da dire che suddetti condomini “hanno chiesto la revoca dell’amministratore, in quanto, benché l’assemblea condominiale gli avesse dato incarico di ottenere dai condomini il consenso alla modifica delle tabelle millesimali vigenti, egli non vi aveva provveduto, non avendo l’assemblea mai modificato le tabelle in vigore. Sotto altro profilo, i condomini hanno lamentato che, nonostante fosse stata avanzata formale richiesta di avere copia della documentazione contabile del condominio, l’amministratore non vi aveva provveduto, essendosi limitato a invitare i condomini a fissare un appuntamento presso lo studio per l’estrazione delle copie“.
Pertanto, il Tribunale di Avellino ha deciso di respingere le domande dei condomini, e, con l’occasione, ha ribadito le cause che possono condurre alla revoca per gravi irregolarità dell’amministratore di condominio.
Ai sensi dell’art. 1129, undicesimo comma c.c., infatti, l’amministratore condominiale può essere revocato, oltre che in forza di delibera assembleare, anche su ricorso di ciascun condomino se non informa (“senza indugio”) l’assemblea circa i giudizi instaurati contro il condominio, se non rende il conto della gestione, ovvero nel caso in cui commetta gravi irregolarità. Costituiscono gravi irregolarità, inter alia, la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e delle deliberazioni dell’assemblea e la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale“.

Perché se non presenta la documentazione contabile, l’amministratore non viene revocato?

Per quanto riguarda invece il caso in esame, il Giudice irpino ha spiegato che tra i doveri dell’amministratore non rientra anche quello di ottenere delle specifiche deliberazioni da parte dell’assemblea, e pertanto, come ciò, a suo avviso, non rappresenta affatto una grave irregolarità, o per lo meno non così grave da giustificare addirittura la revoca dell’amministratore.
Inoltre, per quanto riguarda il secondo profilo, anche se ai sensi dell’art. 1130 bis, primo comma, c.c., “i condomini abbaino diritto di prendere visione ed estrarre copia dei giustificativi di spesa del condominio e, in forza dell’art. 1129, secondo comma, c.c., possano richiedere anche di prendere visione ed estrarre copia dei registri condominiali (registro dell’anagrafe condominiale, dei verbali assembleari, della nomina e revoca degli amministratori, e della contabilità), il Tribunale ha evidenziato che, poiché la richiesta era stata avanzata nel mese di agosto (mese tipicamente di vacanza) e con un termine per l’adempimento dell’amministratore di soli cinque giorni, e visto che all’invito dell’amministratore a presentarsi presso l’ufficio per l’estrazione delle copie non era seguita risposta da parte degli interessati, la richiesta doveva ritenersi contraria a buona fede e non poteva dunque sussistere alcuna grave irregolarità“.

Tosap anche sulle griglie di aereazione condominiali

Tosap anche sulle griglie di areazione condominiali dei garage:  il condominio è obbligato a pagare la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap), in quanto corrispettivo della sottrazione della superficie all’uso pubblico.
Questo è quanto ha stabilito di recente la Corte di Cassazione (ordinanza n. 11449 del 1° giugno 2016)  per un condominio costituito da un garage sotterraneo (“realizzato in forza di un diritto di superficie ipogeo – ossia di costruire al di sotto del suolo – concesso dal comune“) al quale era già stato notificato un avviso di pagamento della Tosap per aver occupato suolo pubblico con l’apposizione di griglie di areazione.

Pagamento Tosap anche sulle griglie di aereazione condominiali

Il condominio aveva quindi deciso di ricorrere alla Commissione tributaria provinciale e, successivamente, anche al Tribunale amministrativo regionale ma, in entrambi i casi, veniva comunque condannato “al pagamento dell’imposta non avendo, il ricorrente, provato, tra l’altro, l’esistenza di atti di trasferimento, dal condominio al comune, delle aree coperte dalle griglie, né l’esistenza di alcun diritto di superficie relativamente a queste ultime né di un eventuale trattamento fiscale di favore concessogli dal Comune“. Inoltre, anche la Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso.

Pagamento Tosap anche sulle griglie di aereazione condominiale: la decisione della Cassazione

Infatti, spiegano i giudici di legittimità, “l’oggetto dell’avviso di accertamento ai fini Tosap non era l’occupazione di sottosuolo pubblico, determinata dalla fabbricazione del garage, ma solo l’occupazione del suolo pubblico con le griglie di areazione poste su detto suolo a vantaggio del garage condominiale che costituisce il presupposto impositivo (articoli 38 e 39 del Dlgs 507/93)“.
Inoltre, al contrario di ciò che sostiene il condominio, per i supremi giudici, queste griglie non costituiscono una «occupazione irreversibile» poiché, anche se incidono sull’utilizzo del suolo pubblico, di certo non ne modificano né la natura né la destinazione in quanto, una volta rimosse le griglie, (“non essenziali perché il garage sotterraneo potrebbe essere areato ed illuminato con altri sistemi“), verrebbe immediatamente ripristinato il loro uso collettivo.
Occorre precisare – spiegano i giudici della Suprema Corte – che qualora il Comune acquistasse l’area circostante il perimetro di un fabbricato, nella quale siano state precedentemente realizzate griglie ed intercapedini, finalizzate a permettere la circolazione dell’aria ed il passaggio della luce nei locali sotterranei dell’edificio, non sorgerebbe a carico del condominio l’obbligo di corrispondere il relativo canone qualora il prezzo pattuito per la cessione sia stato ridotto proprio a causa dell’esistenza delle intercapedini, giustificandosi tale riduzione con la volontà delle parti di escludere dal trasferimento le porzioni di suolo in cui sono state realizzate le intercapedini, ovvero con la contestuale costituzione in favore del condominio di un diritto reale sul suolo trasferito, con la conseguenza che viene a mancare nella specie il presupposto dell’obbligazione, costituito dall’occupazione del suolo pubblico” (Cassazione, Sezioniunite, sentenza 1611/2007).

Parcheggio condominiale: se vengono assegnati a maggioranza posti auto solo ad alcuni condomini senza indicare i turni, la delibera è nulla

Parcheggio condominiale: è nulla, e non soltanto annullabile, la delibera dell’assemblea che assegna in via esclusiva posti auto ad alcuni condomini, al di fuori di ogni logica di turnazione, “magari per compensare qualcuno di loro di qualche vecchia pendenza verso il Condominio“. La maggioranza semplice basta soltanto quando si tratta di destinare il cortile comune al parcheggio dei veicoli. Ma, stando all’attuale comma quarto dell’articolo 1120 Cc. sono vietate le innovazioni che si risolvono rendendo la parte comune del comprensorio residenziale inservibile all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Ecco dunque la necessità di far scattare d lo stop per questa delibera che introduce “un utilizzo particolare di un bene comune che finisce per invadere i diritti degli altri condomini”.

Parcheggio condominiale: assegnazione dei posti auto

Questo è quanto ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza 11034/16, pubblicata il 27 maggio dalla seconda sezione civile, ha
accolto il ricorso di alcuni condomini contro il privilegio riconosciuto ad altri da una delibera che risaliva addirittura ad oltre trentacinque anni prima, e che autorizzava alcuni residenti a parcheggiare l’auto in delle piazzole diverse da quelle stabilite nell’atto di compravendita. Pertanto, la Suprema corte ha deciso nel merito ponendo nel nulla la decisione dell’assemblea dichiarando che “sbaglia la Corte d’appello a ritenere legittima la delibera perché assunta per compensare uno dei residenti della perdita di un’area di proprietà esclusiva dopo la scissione dell’originario condominio: la maggioranza semplice risulta infatti sufficiente quando la delibera introduce un’innovazione che consente un uso più comodo o proficuo della cosa comune; mentre il divieto ex articolo 1120, quarto comma, C.c serve proprio a evitare che il singolo proprietario veda contrarsi il suo diritto di godere entro la sua quota delle parti comuni del condominio. Ecco allora perché è illegittima la delibera che senza stabilire turni fra i proprietari assegna in via esclusiva e a tempo indeterminato i posti macchina nel complesso residenziale: finisce col limitare l’uso e il godimento che compete agli altri condomini sul bene comune, la cui compressione non può essere giustificata da alcuna esigenza di compensazione. Spese di giudizio compensate“.

Gli effetti della nomina dell’amministratore cessano dopo due anni

Con una pronuncia del 15 Aprile 2016 il Tribunale di Brescia (R.G. 5103/2015) conferma che gli effetti della nomina dell’amministratore cessando dopo due anni, pertanto il rinnovo dell’amministratore deve avvenire “dopo il primo anno, a pieni poteri, senza il raggiungimento del quorum dei 500 millesimi e metà più uno degli intervenuti

Tutto ciò, per via dell’orientamento delle recenti sentenze dei vari Tribunali nei quali si dà ormai per assodata la durata biennale dell’incarico senza dover necessariamente inserire “il punto all’ordine del giorno alla scadenza del primo anno di mandato“. Inoltre,in questo modo si rafforza anche la tesi accolta nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia, seconda sezione, pubblicata il 14/1/15 R.G. 364/2014 V.G..
La pronuncia bresciana specifica poi che “l’intervento del Tribunale in volontaria giurisdizione è possibile solo quando l’amministratore sia dimissionario o revocato in carica o per uno dei motivi di cui al comma 11 dell’articolo 1129 e l’assemblea non provveda alla nomina; e chiarisce che gli effetti della nomina cessano comunque alla fine dei 730 giorni, legittimando l’amministratore al compimento delle sole attività di cui al comma 8 dell’articolo 1129 del Codice civile“.

Spese condominiali e prescrizione

Spese condominiali e prescrizione: nel condominio degli edifici vige la regola generale, stabilita dal comma 1 dell’art. 1123 cod. civ., per cui le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione ovvero casi specifici, comunque dettagliatamente disciplinati, che attengono per lo più all’uso differenziato del bene comune e alla destinazione parziale o esclusiva degli anzidetti beni, opere e impianti.
Da ciò discende che, fatta eccezione per le particolarità sopra delineate, l’obbligo contributivo incombe su tutti i condòmini, in relazione alle rispettive quote millesimali.
A tal proposito può accadere che, stante magari l’inerzia dell’amministratore, i contributi condominiali vengano concretamente richiesti, quand’anche giudizialmente, a distanza di anni dall’insorgenza del credito, anche se con la riforma del condominio e, in particolare, con la nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. cod. civ., il legislatore pare abbia voluto in qualche modo imporre una scadenza nella riscossione dei contributi, prevedendo la facoltà dello stesso amministratore di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, in caso di mora nei pagamenti protrattasi per oltre un semestre.
In questi casi occorre fare i conti con l’eventuale prescrizione del diritto al pagamento delle quote condominiali che, come è noto, rappresenta un modo di estinzione del diritto, quando il titolare non lo esercita per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.

Spese condominiali e prescrizione: Il caso

Per poter parlare di questo tema, facciamo riferimento ad una recente sentenza del Giudice di pace di Campobasso, pubblicata in data 5 Aprile 2016 .
In quel giudizio, afferente l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino avverso l’ingiunzione di pagamento chiesta e ottenuta dal condominio per il pagamento delle quote condominiali, l’opponente eccepiva tra l’altro la prescrizione del diritto di cui era portatore il condominio.
Nella sentenza si affronta innanzitutto la problematica relativa al periodo dell’insorgenza del credito, in altri termini, da quando inizia a decorrere il termine prescrizionale.
A tal proposito, la sentenza sembrerebbe porsi in contrasto con la giurisprudenza più recente formatasi sul punto.
Tanto è vero che nella stessa è dato leggere come: «l’obbligo del condomino di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge con la delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, che può peraltro anche mancare ove esistano le tabelle millesimali, strumento questo che permette di individuare con certezza, attraverso un semplice calcolo matematico, le somme concretamente dovute dai singoli condomini».
Continua il Giudice di pace sostenendo come il riferimento va alle spese di ordinaria gestione «per le quali neppure è indispensabile, se non per una doverosa trasparenza nella gestione stessa, una preventiva approvazione da parte dell’assemblea. Sono esborsi da effettuarsi a scadenze fisse e che parimenti devono essere anticipati dai condomini all’amministratore, il quale può provvedervi sulla base dei poteri attribuitigli dalla legge ed indipendentemente dal deliberato dell’assemblea».
Se da una parte lo stesso sembrerebbe sostenere, pertanto, che l’obbligo di contribuzione sorge nel momento dell’approvazione delle spese, termine pertanto dal quale iniziare a far decorrere la prescrizione, continua in maniera contraddittoria affermando come: «E’ in sede di consuntivo che le spese devono invece essere sottoposte all’approvazione dell’assemblea, unitamente al piano di riparto definitivo. Con l’approvazione del consuntivo l’amministratore adempie il proprio compito di rendere comunque conto ai condomini del proprio operato al termine della gestione; con quella del riparto egli ottiene invece la legittimazione di agire nei confronti dei condomini morosi per il recupero delle somme da loro con certezza dovute. Infatti l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera assembleare che approva le spese stesse» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 2 settembre 2008, n. 22024), con ciò spostando il tempo dell’insorgenza del credito al momento di approvazione della delibera di ripartizione delle spese, che può anche essere adottata in un momento successivo all’approvazione delle stesse.
La sentenza sicuramente non risulta di immediata intellegibilità e, come detto, sul punto appare oltre modo ambigua, e sembrerebbe sposare la tesi prospettata da una certa giurisprudenza che, tuttavia, specie dopo la riforma del condominio, non appare più condivisibile.
Ed invero, parte della giurisprudenza ha ritenuto che: «L’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica» (Cassazione civile, Sezione II, sent. 21 luglio 2005, n. 15288), di contrario avviso, tuttavia, altra parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure risalente, oltre che quella di merito, che sul punto hanno evidenziato come: «L’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 n. 3 c. c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese; ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dell’esercizio di bilancio» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 5 novembre 1992, n. 11981; Giudice di pace Palermo, 15 novembre 2011).
Orientamento ribadito tuttavia di recente dalla Suprema Corte nella sentenza della II Sezione civile del 25 febbraio 2014, n. 4489 che ha stabilito come la prescrizione: «decorre dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino».
Tale ultima prospettazione appare senz’altro condivisibile, in considerazione del fatto che, se il momento dell’insorgenza dell’obbligazione condominiale venisse effettivamente anticipato a quello della delibera di approvazione delle spese, ciò contrasterebbe con il dettato del nuovo art. 63 disp. att. cod. civ., che appunto prevede come l’amministratore può ottenere, anche senza autorizzazione assembleare, ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, ma solo sulla scorta dello stato di ripartizione approvato dall’assemblea, e non certo dalla mera approvazione delle spese.
Peraltro, diversamente opinando ci sarebbero evidenti problemi di liquidità ed esigibilità del credito, condizioni indispensabili per l’ottenimento dell’ingiunzione di pagamento.
Chiarito che appare preferibile considerare quale momento iniziale della decorrenza del termine della prescrizione la delibera di approvazione del piano di riparto, analizziamo la durata del predetto termine.

Spese condominiali e prescrizione: il perché della sentenza!

La sentenza in commento si pone in linea con il consolidato orientamento per cui: «In tema di spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’articolo 2948 cod. civ., n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti” (Ex multis: Cassazione civile, Sezione II, sentenza 25 febbraio 2014, n. 4489), preceduta da analoga sentenza resa in materia di compenso dell’amministratore: «Poiché il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 n.4 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica; né tale carattere riveste l’obbligazione relativa al compenso dovuto all’amministratore, atteso che la durata annuale dell’incarico, comportando la cessazione “ex lege” del rapporto, determina l’obbligo dell’amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno” (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 4 ottobre 2005, n. 19348)
Tuttavia, il termine quinquennale della prescrizione viene espressamente riferito alle solo obbligazioni a carattere periodico, nel caso concreto alle ordinarie spese di gestione, la cui insorgenza infatti ha cadenza annuale ovvero più breve.
Per quanto concerne invece le spese per le quali appare esclusa l’incidenza periodica, il riferimento va alle spese straordinarie che, in quanto tali, sorgono una tantum, in mancanza di diversa disposizione legislativa il termine di prescrizione è quello ordinario, vale a dire decennale, in virtù del disposto di cui all’articolo 2946 cod. civ., per il quale: «Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni».
A tal proposito, la sentenza in commento, espressamente riferisce come: «Diverso discorso vale, invece, per le spese relative ai lavori di straordinaria manutenzione, per le quali il termine prescrizionale, in virtù del loro carattere occasionale, si amplia rimanendo normali crediti assoggettati all’ordinario regime di prescrizione di dieci anni. Infatti in un giudizio analogo con la recente sentenza 18826/2015, la quinta sezione civile del Tribunale di Roma ha rigettato un’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da alcuni condomini avverso l’atto notificatogli dal condominio al fine di recuperare alcune somme dovute in forza dei lavori di straordinaria manutenzione effettuati sul balcone di loro proprietà. Per il giudice, infatti, il termine breve ha senso solo con riferimento a spese periodiche, che si rinnovano annualmente».
Di talché, per tutte le spese straordinarie, si pensi ad esempio al rifacimento dei balconi, dei solai, delle terrazze o della facciata, fermo restando l’inizio del termine di decorrenza, la prescrizione del diritto al pagamento della quota posta a carico dei singoli condòmini si prescrive in dieci anni.

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio?: L’amministratore può essere revocato

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio? Allora l’amministratore può essere revocato. Ciò è quanto prevede la riscrittura dell’istituto condominiale da parte della legge n. 220/2012, che ha visto l’interesse del Legislatore per la tutela dei condòmini consumatori, introducendo, tra le altre cose, “il caso di revoca dell’Amministratore che attua una gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomìni“.
La rilevanza di questo caso, sta nel fatto che “sia ritenuto sufficiente una “potenziale” confusione patrimoniale, senza che se ne pretenda l’accertamento di tipo documentale o peritale. E’ evidente, dunque, come la ratio della norma sia quella di scongiurare dal principio modus operandi poco chiari e che possono dare adito a dubbi circa la buona fede dell’Amministratore. Tuttavia, risulta evidente come in un procedimento promosso in camera di consiglio per la revoca giudiziaria dell’Amministratore scatti comunque un profilo di “causa e contraddittorio” nell’attività giurisdizionale-amministartiva posta in essere dal Giudice che, tra le altre cose, a mente del nuovo art. 64 disp. att. c.c., ha l’obbligo proprio di sentire l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente“.

L’amministratore può essere revocato quando confonde il proprio conto corrente con quello del condominio

Ecco quindi il motivo della necessità impellente di giungere ad una forma di “accertamento” benché della sola possibilità di confusione patrimoniale, così come richiamata dall’art. 1129 codice civile, c. 11, n. 4. Pertanto, si tratterà di individuare la semplice modalità di gestione sufficiente a delineare lo scenario del mero pregiudizio della confusione patrimoniale. Tuttavia, un elenco, non certamente esaustivo della casistica, possiamo provare a redigerlo. Senza alcun dubbio, a creare confusione patrimoniale, potrebbe essere la presenza in contabilità e nelle rendicontazioni periodiche dei conti correnti, di banche e poste del condominio, di bonifici in entrata o in uscita da o verso altri condomìni amministrati dallo stesso Amministratore. Per questo motivo, a nulla varrà dimostrare che comunque tali operazioni possano essere compensate tra entrate ed uscite, e l’Amministratore può scongiurare la revoca soltanto nel caso in cui riuscirà a fornire convincenti spiegazioni al Giudice come per esempio nel caso di errore materiale nell’utilizzo dell’home banking. “E’ chiaro, però, che ripetute operazioni di questo tipo non potranno mai essere giustificate da alcuna distrazione di sorta atteso che, al contrario, una siffatta modalità di gestione tende verosimilmente a celare spostamenti di fondi da un condominio all’altro per coprire buchi di bilancio e ammanchi. Stessa cosa dicasi nel caso di versamenti in entrata e in uscita tra il conto corrente condominiale e quello personale dell’amministratore per quegli importi che andranno oltre la soglia del compenso giustificato.
Può certamente costituire motivo di confusione patrimoniale anche la presenza di versamenti in contanti da parte dell’Amministratore sul conto corrente del condominio senza che ciò sia possibile accompagnarlo con una specifica causale da riportarsi nella movimentazione bancaria, come ad esempio “4° rata ordinaria Sig. Rossi Mario”, in tutti quesi casi in cui l’Amministratore riscuote quote condominiali in contanti. In questi particolari circostanze, la possibilità di confusione patrimoniale nasce dalla soluzione di continuità nel percorso di tracciabilità che va dal versamento in contanti da parte del condòmino Mario Rossi al versamento fatto successivamente per contanti in banca dall’Amministratore e questo per due ordini di motivi. Il primo è che risulterebbe, da un punto di vista strettamente peritale non sostenibile la tesi secondo la quale sarebbe comunque la ricevuta rilasciata dall’Amministratore a documentare e provare la tracciabilità atteso che la ricevuta potrebbe andare smarrita o potrebbe risultare oggetto di contestazione di falso da parte dell’Amministratore, e il secondo perché in ogni caso l’amministratore potrebbe raccogliere quote in contanti in un dato periodo, utilizzarle a scopo personale e solo dopo diverso tempo versare suoi soldi sul conto condominiale a rimedio“.

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea, e l’eventuale delibera già presa va annullata se l’avviso di convocazione dell’assemblea non è comunicato almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione. Allo stesso modo, l’assemblea condominiale si ritiene nulla nel caso in cui questa eserciti il potere di richiedere somme di denaro o altre prestazioni, violando così gli art. 1123 e 1135 c.c.

Perché le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea?

Questa decisione nasce in seguito all’impugnazione di una delibera assembleare ordinasi e straordinaria di un condominio, contestata dai condomini per:
1)” violazione degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile per il fatto che l’avviso di convocazione dell’assemblea del condominio, tenutasi in prima convocazione in data 22 febbraio, è stato comunicato all’attrice, per il tramite del custode del condominio, solo in data 18 febbraio, senza quindi il rispetto del termine minimo di cinque giorni a far data dall’adunata assembleare di prima convocazione, con conseguente annullabilità dell’intero deliberato assembleare“;
2) “violazione dell’art. 1123 c.c. con riferimento al punto numero uno dell’ordine del giorno che ha approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013, avendo addebitato a un condòmino spese personali per complessivi Euro 5.071,84, con conseguente nullità in parte qua della delibera stante il fatto che assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava;
Il condominio resisteva. Ma il Tribunale di Milano, Sez. XIII^, nella Sentenza n. 5195/2016 pubblicata il 27/04/2016, accoglieva l’impugnazione della delibera“.

Del resto la persona che aveva impugnato la delibera assembleare, faceva presente proprio il fatto che risultava provato che aveva avuto in consegna dal custode l’avviso della convocazione dell’assemblea, prevista per le date del 22 e 24 febbraio,ed indicate rispettivamente per la prima e per la seconda convocazione, soltanto in data 18 febbraio 2014.

Ciò risultava in evidente violazione del combinato disposto degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile, che richiedono che l’avviso di convocazione dell’assemblea debba essere comunicato al condomino, a pena di invalidità della delibera, almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione“.
Dal canto suo, invece, il condominio replicava che le convocazioni assembleari destinate ai condomini fossero già disponibili in data 16 febbraio, senza però avere dato la prova della suddetta circostanza.
Stante, pertanto, la natura di atto recettizio dell’avviso di convocazione assembleare e la mancata prova del fatto che la condòmina avesse ricevuto tale avviso, fissata l’assemblea, in prima convocazione, in data 22 febbraio, vale a dire almeno cinque giorni prima come richiesto dalla legge, conseguiva la declaratoria di annullabilità dell’intero deliberato assembleare assunto per violazione di legge.
Nonostante questo motivo fosse assorbente su tutti gli altri, il giudice si pronunciava su ulteriori profili di doglianza di parte attrice.
Si evidenziava, infatti, anche che nella parte della delibera in cui veniva approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013 erano addebitate alla condòmina spese personali per complessivi Euro 5.071,84. L’assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava ex art. 1135 c.c., non rientrando tra le prerogative assembleari quelle di addossare ai condomini, in violazione dell’art. 1123 c.c., fantomatiche spese di natura personale, posto che l’assemblea non è dotata di “autodichia”, cioè non può farsi giustizia da sé.
Tali deliberati, infatti, esulavano dalle attribuzioni dell’assemblea, che non aveva il potere di imputare al singolo condòmino una determinata spesa, al di fuori di quelle inerenti la gestione, manutenzione e conservazione dei beni comuni condominiali e solo per la quota di sua spettanza, senza che la stessa fosse accettata e riconosciuta espressamente dalla condomina”.

Le spese private non possono essere deliberate dall’assemblea: il caso

Queste stesse spese, inoltre, non erano state in precedenza oggetto di accertamento giudiziale (non c’era stata quindi alcuna condanna al pagamento), “laddove, invece, all’assemblea dei condomini non può essere riconosciuto, al di fuori delle proprie attribuzioni previste e regolate dalla normativa codicistica sopra richiamata, un potere di “autodichia” consistente nel farsi giustizia da sé e nel richiedere somme di danaro e/o altre prestazioni che non rientrino in quelle sopra richiamate, con conseguente nullità delle delibere che, invece, statuissero in tal senso (Cass. civ., Sez. II, 30/04/2013, n. 10196; Cass. civ. Sez. II, 21/05/2012, n. 8010; Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)”.
Ciò significa che la spesa in questione andava necessariamente ripartita tra tutti condòmini, in base ai millesimi di proprietà, ai sensi dell’art.1123 c.c., “quale criterio legale generale di ripartizione delle spese, esulando, quindi dalle attribuzioni dell’assemblea il potere di imputare, con l’efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, le spese in maniera difforme, in mancanza di diversi criteri convenzionali. (Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890; Trib. Milano, Sez. XIII, 17/07/2012;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)“.
Inoltre per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali, queste sono affette da nullità, e la cosa può essere fatta valere anche da parte dello stesso condomino che le ha votate. Pertanto “le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario, per esse, il consenso unanime dei condomini.
In senso conforme si pone anche la recentissima Sentenza della Cassazione Civile sez. II del 23.03.2016 n. 5814 che afferma: «Le attribuzioni dell’assemblea condominiale, previste dall’art. 1135 cod. civ. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri legali di riparto delle spese».
Logica conseguenza di ciò è che deve ritenersi nulla e non meramente annullabile, anche se assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’art. 1126 cod. civ., senza che tutti i condòmini abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso“.

Le spese per i lavori di impermealizzazione vanno ripartite in parti uguali tra i proprietari

Secondo l’articolo 1125 Cc, “la pavimentazione non funge da copertura solo per box privati, ma anche per aree condominiali“. Pertanto le spese per i lavori di impermealizzazione vanno ripartite in parti uguali  tra i proprietari dei box sottostanti o soprastanti l’area interessata. Lo ha stabilito la sentenza 24432/13 della quinta sezione del Tribunale di Roma.

La sentenza: le spese per i lavori di impermealizzazione  vanno ripartite in parti uguali tra i proprietari

Pronunciandosi in questo modo, il giudice ha rigettato la domanda di un alcuni proprietari che avevano chiamato in causa il condominio. Oggetto della controversia, in questo caso, era la ripartizione delle spese per i lavori straordinari riguardanti la copertura del piano “piloty”. Nella fattispecie, con una precedente delibera, il condominio stabiliva una divisione equa tra i proprietari degli appartamenti sovrastanti e sottostanti degli oneri per gli interventi di impermealizzazione. Tale criterio, secondo i ricorrenti, “poteva trovare applicazione solo nel caso di rifacimento dei lastrici solari cui non poteva essere assimilato quello della pavimentazione“. Per il tribunale di Roma, invece, “la domanda è infondata nel merito, perché il piano in questione non fungeva da copertura solo per unità private, ma anche per parti comuni, come ad esempio, l’area di manovra d’accesso ai singoli box. Il condominio, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, ha correttamente applicato il criterio di ripartizione previsto dall’articolo 1125 Cc“.
Inoltre, nell’emettere la sentenza, il giudice ha ricordato che “in materia di condominio qualora si debba procedere alla ripartizione del cortile o viale di accesso all’edificio condominiale che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condominio, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall’articolo 1126 Cc ma si deve, invece, procedere a un applicazione analogica dell’articolo 1125 Cc il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificati con il pavimento del piano superiore a chi con l’uso esclusivo della stessa determina la necessità della inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un’applicazione particolare del principio generale dettata dall’articolo 1123 Cc“.

Pertanto, il condominio ha fatto una più che corretta applicazione del criterio di riparto degli oneri, e di conseguenza la domanda dei proprietari è stata respinta.